Nel mio viaggio in Armenia (link qui) sono stato nella casa museo del regista Paradjanov, considerato il principale artista armeno e secondo in Unione Sovietica solo a Tarkovskij. Paradjanov era nato nel 1924 a Tblisi per morire a Yerevan nel 1990, vivendo così di fatto tutta la sua vita sotto l’oppressivo potere sovietico. Surrealista e visionario, la sua arte non veniva compresa né accettata. Il film di cui vi voglio parlare per esempio fu terminato nel 1969, ma le autorità non ne consentirono la distribuzione. Nel 1974 fu addirittura arrestato l’accusa di omosessualità e contrabbando di opere d’arte e poté tornare al cinema solo negli anni Ottanta! Solo negli ultimi anni riuscì ad ottenere un po’ di libertà e gli fu concessa l’abitazione ora trasformata nel museo a lui dedicato. Nel museo erano presenti molti riferimenti al suo film più noto, Il Colore del Melograno, dove Paradjanov nel film affronta appunto nella sua chiave surrealista e visionaria la vita di Sayat Nova (ca. 1712-1795), trovatore armeno (ashugh) che componeva i suoi versi in lingua armena, azera e georgiana.
La nostra guida, Bagrat, illustrandoci il museo ci aveva anticipato che la visione del film non sarebbe stata così facile come per le opere a cui siamo normalmente abituati, sebbene ultimamente fosse in corso un revival dell’opera in occidente grazie al video musicale 911 di Lady Gaga che ne richiama l’estetica e che lo cita in uno dei manifesti cinematografici inquadrati alla fine del video.
Tornato in Italia ho scoperto che la versione restaurata e sottotitolata in italiano è disponibile su RayPlay (link qui) e quindi con calma me lo sono visto.
Come anticipatoci da Bagrat effettivamente le scene del film sono dei veri e propri tableaux vivants, dove la parte biografica della vita di Sayat-Nova lascia spazio all’inconscio e al simbolismo. La pellicola è un susseguirsi di immagini, allegorie, canti armeni, folklore, metafore. Fondamentalmente prende la vita del trovatore armeno solo come spunto per analizzare in realtà quell’identità nazionale che rischiava di essere cancellata dall’Unione Sovietica. Nella pellicola ritornano infatti ripetutamente elementi com il melograno, simbolo dell’Armenia e spesso rappresentato sui manoscritti e raffigurato nei khachkar (i cippi funerari con croci finemente scolpite tipici della cultura armena) insieme all’uva e ai suoi tralci.
Uno degli elementi cardine del film è indubbiamente il colore. Ogni scena è ricca di colori vibranti e saturi, che contribuiscono a creare un’atmosfera visivamente stimolante. Ovviamente tutti i colori usati hanno un loro significato ben preciso e niente è lasciato a caso – ad esempio il bianco viene utilizzato per esprimere un senso di spiritualità. Altro elemento simbolico, come già anticipato, è il melograno, che rappresenta la fertilità e il senso di desiderio, mentre i suoi semi rimandano alla vita e alla rinascita. Inoltre nel lungometraggio troviamo la presenza di numerosi oggetti rituali come incensi, candele o iconografie e strumenti musicali, elementi che ci rimandano a una componente narrativa sacra e alquanto mistica. Inoltre troviamo la presenza di numerose maschere e travestimenti il cui compito è esplorare la dualità e la natura nascosta dell’individuo.
Ribadisco come non sia un film per tutti e ne era cosciente lo stesso regista che aveva sottolineato come la staticità di molte scene, contrapposta alla vividezza dei colori, avesse l’obiettivo di suscitare una risposta emotiva molto potente nello spettatore. Sempre Paradjanov aveva confermato che la messa in scena delle pose ed i colori scelti traessero ispirazione diretta dai manoscritti miniati armeni. I dialoghi sono minimi, per lo più limitati a citazioni di poesie di Sayat-Nova. Un’altra caratteristica per cui il film è rimasto famoso è che l’attrice (Sofiko Ciaureli) interpreta ben sei personaggi diversi: il giovane poeta, l’amata del poeta, la musa del poeta, un mimo e l’angelo della resurrezione.
È importante sottolineare che il film sia altamente simbolico e quindi aperto all’interpretazione personale. Gli stessi simboli, onnipresenti all’interno del lungometraggio, possono essere interpretati in modi diversi da diversi spettatori. Paradjanov ha dichiarato di aver intenzionalmente creato un’opera d’arte complessa e multistrato, lasciando agli spettatori la libertà di dare un significato personale ai simboli presenti nel film.
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