28 luglio 2008

Ci spostiamo di isola in isola con voli della Air Tahiti (che è una compagnia diversa dalla Air Tahiti Nui con cui abbiamo volato da L.A.). Huahine è un’isola sonnolenta, immersa nel verde e perfettamente in linea con quello che ci si aspetta venendo in questa parte del mondo. All’aeroporto ci recupera Moe, un signore simpatico e loquace, che col suo pulmino ci porterà a Fare, il capoluogo dell’isola. La pensione dove alloggeremo era di sua proprietà ma solo due mesi prima l’ha venduta ad una coppia francese.




Arrivati alla pensione Chez Guynette (link qui) veniamo accolti da Laurence col marito e la figlia Pauline, una ragazza bionda di dieci anni. Ci raccontano la loro storia. Due impieghi in diverse ditte di cosmesi nel Principato di Monaco, una vita passata sempre al lavoro, una figlia perennemente affidata ai nonni. Venivano qui in vacanza e ad un certo punto hanno deciso di vendere tutto e di trasferirsi. Meno agi, meno comodità ma la possibilità di far crescere loro figlia in un posto stupendo. Chez Guynette è una pensione modesta, ma dignitosa. Comprende anche una cucina negli spazi comuni ed un prato dove volendo si può montare una tenda per dormire. Nei bagni c’è addirittura l’acqua calda – un unicum nel nostro viaggio… non che ce ne sia veramente bisogno comunque, viste le temperature che si godono in Polinesia in questa stagione.


Fare è di fatto un villaggio e noi siamo ubicati nella sua parte più viva: il porto. Porto che consiste in un molo sonnolento, qualche negozietto e, rullo di tamburi… il supermercato Super U Fare Nui, probabilmente l’unico dell’isola, viste le dimensioni.



Sistemati i bagagli nelle stanze, Moe ci porta sulla spiaggia incantevole, una volta pertinenza di un resort Sofitel ormai abbandonato (ed infatti sulle mappe è chiamata Plage de l’ancien Sofitel) 🪸 Ci si presenta una spiaggia bianca che si affaccia su una laguna di acqua bassa e turchese che si stende placida fino alla barriera corallina. Bagno, sole, relax.



Secondo Moe il nome dell’isola si pronuncia come la parola tahitiana “vahine” (donna) e si riferisce a una cresta montuosa che ricorda la sagoma di una donna incinta, un simbolo dell’inconfutabile fertilità dell’isola, cresta visibile dal porto di Fare. Tornati a Fare ci godiamo il tramonto dal pontile proprio davanti la nostra pensione e, dopo cena, troniamo lì a goderci il cielo stellato. Dopo le 22 non c’è più una luce accesa, il cielo risplende come non mai, tagliato dalla Via Lattea, ed è pieno di stelle cadenti. Uno spettacolo da togliere il fiato.
29 luglio 2008




La giornata di oggi è occupata da un tour in barca dell’isola. Huahine è un’isola piena di verde e bagnata da un mare che è un continuo alternarsi tra blu e turchese.



Ma la mattina non è dedicata solo allo snorkeling. Abbiamo anche l’occasione di scendere a terra. E a buona ragione, perché in un fiumiciattolo vivono delle anguille uniche, le anguille dagli occhi blu. Durante la nostra prima passeggiata in una Polinesia lontana dai resort e dal porto ci ritroviamo in villaggi radi e caratterizzati da casette monofamiliari piccole e semplici. Ma tutte con un giardino in cui sono presenti le tombe di famiglia.




Tornati in barca veniamo portati in un negozietto costruito su palafitta nel mezzo della laguna. Vende artigianato locale ma soprattutto uno dei tre pilastri economici della Polinesia, oltre al turismo e alla vaniglia: le perle nere! Parliamo di un tipo di perla unica, dotata di un colore argenteo arricchito di una caratteristica iridescenza la cui tonalità può variare. Sembrano aliene per quanto sono belle.




Dopo aver scoperto di essere poveri e di non poter permetterci le perle nere nemmeno qui, senza costi di trasporto, ritorniamo in barca per andare sulla barriera. La barriera infatti è sempre distante dalla costa e difficilmente raggiungibile senza una barca. L’equipaggio ci fa sbarcare a ridosso di un motu, termine con cui si indicano delle isolette che si formano sulla barriera corallina. A piedi (con ciabatte o scarpe da scoglio ovviamente) saliamo su quella che di fatto è la parte emersa (e quindi morta) del reef per ammirare l’oceano.



Il tutto si rivela in realtà una scusa per dare il tempo all’equipaggio di allestire il tavolo per il pranzo. Restiamo a bocca aperta scoprendo che mangeremo comodamente seduti a mezz’acqua! Ci servono un’insalata con tonno, innaffiata di latte di cocco. Tutto buonissimo.
Torniamo a Fare nel pomeriggio. È inverno ed il sole tramonta presto, ma dopo una lunga giornata di mare siamo stanchi e più che soddisfatti.
30 luglio 2008

Oggi Moe ci scarrozza col suo pulmino in giro per le due isole di Huahine Nui (nui vuol dire grande) a nord e Huahine Iti (iti invece vuol dire piccolo) a sud. Le due isole sono unite da un ponte che sovrasta un piccolo stretto di mare che, durante la bassa marea, lascia solo una lingua di sabbia a separarle. Secondo la leggenda le due isole furono divise dal dio Hiro che con la sua piroga delimitò un confine, durante una burrascosa tempesta.
Come già avevamo ben notato durante l’escursione in barca, le due isole sono dominate da una natura rigogliosa. I resort turistici sono pochi e si alternano a piccoli villaggi lungo la costa. Villaggi sempre composti di poche case molto, molto modeste. Di norma abitazioni monofamiliari di un paio di vani, con un giardino che ospita le immancabili tombe di famiglia.




La prima tappa della giornata è il sito archeologico chiamato Marae di Maeva. Un marae è un luogo sacro che serviva sia per eventi sacri che sociali nelle società polinesiane in tempi pre cristiani. Maeva era la sede dei governanti reali di Huahine prima dell’arrivo degli europei e consisteva di templi e piattaforme cerimoniali.




Il resto della giornata lo trascorriamo ammirando i bellissimi paesaggi delle due isole ed approfittando delle splendide spiagge. Avendo Moe con noi tutto il giorno chiacchieriamo con lui della situazione politica polinesiana. Siamo curiosi di capire come vivano lo status di colonia. Moe infatti si lamenta molto del fatto che buona parte delle risorse prodotte dalla sua terra finiscano nelle casse della Francia. A parte questo chiacchierare con lui risulta molto interessante perché ci racconta molto delle abitudini locali.

Moe ha le braccia e la schiena ricoperti di tatuaggi tribali, tatuaggi che dal poco che sappiamo una volta avevano una funzione sia rituale che sociale. Speranzosi gli chiediamo di parlarcene ma restiamo delusi. Mentre una volta ogni isola aveva i suoi disegni unici e caratteristici, ormai le antiche tradizioni sono andate perdute. I tatuaggi assumono sì una funzione identitaria rispetto ai colonizzatori francesi, ma si scelgono seguendo il gusto estetico e sono quelli originari delle Isole Marchesi ad adornare molto spesso la pelle dei nativi.
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