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2022

Tashkent

Nikon D750, Nikkor 24-70. iPhone 12 Pro

6 agosto 2022

Del gruppo sono l’unico a partire da Roma. Volo con Turkish Airlines, ho uno scalo di poche ore a Istanbul e atterro a Tashkent, la capitale, a tarda notte. Il controllo passaporti è di una lentezza esasperante, ma anche il recupero bagagli richiede una buona dose di pazienza. I legami politici e commerciali tra gli uzbeki ed i turchi sono molto forti e si basano sull’appartenenza delle due lingue allo stesso ceppo. Con me sbarcano molti uzbeki che tornano dalla Turchia e che recuperano dai nastri quasi sempre una o più valigie veramente ingombranti. Scoprirò il giorno dopo dalla nostra guida che è abitudine di molti uzbeki sfruttare eventuali viaggi di piacere in Turchia per acquistare a basso costo capi d’abbigliamento per poi rivenderli in patria.

Dopo un quarto d’ora dal mio, atterra anche l’aereo che porta il resto del gruppo, partito da Milano, e raggiungiamo l’Hotel Orient Inn per riposare qualche ora. Il clima è un caldo secco, sicuramente più vivibile di quello afoso che avevamo lasciato in Italia. La sera le temperature scendono e si sta bene, anche se alla fine è quasi obbligatorio dormire con l’aria condizionata.

7 agosto 2022

Ci raggiunge in albergo la nostra guida per oggi, Akrom. Originario della valle di Fergana, vive da molti anni a Tashkent, dove era venuto da studente. Padre di tre figli, è una guida turistica esperta e parla un buon italiano. Con lui c’è anche il nostro autobus. Noi siamo sedici ed il mezzo può ospitare una quarantina di persone. Viaggeremo comodi ed è un bene, visto che le distanze tra le varie città non sono brevi e che potremmo passare anche intere giornate in spostamento.

La nostra prima meta è uno sportello di cambio. Euro o dollari sono di difficile utilizzo, salvo per le spese più importanti come i tappeti in seta di Bukhara o i capi di abbigliamento in astrakan. Il costo della vita per noi è molto basso e le valute occidentali non sarebbero spendibili nei mercati o nei negozi. Dobbiamo quindi cambiare la valuta nel locale Som. Dato che è domenica abbiamo meno possibilità di sfruttare le banche e Akrom ci accompagna ad un ufficio di cambio presso l’Hotel Uzbekistan (esiste anche un vantaggioso mercato nero, ma lo sfrutteremo durante il viaggio per piccole cifre onde non rimanere senza valuta locale).

L’Hotel Uzbekistan è un chiaro esempio di quello che viene definito il brutalismo architettonico sovietico. Ecco… potrei dedicarmi ad approfondite disamine sul diritto dei materiali da costruzione ad essere ammirati e persino celebrati… ma penso che basti mettervi qualche foto di quello che era l’albergo per i vip e gli occidentali ai tempi dell’URSS per darvi la giusta idea. Tranquilli comunque… l’ultimo giorno del viaggio, di nuovo a Tashkent avremo occasione di perderci tra le facciate di vari condomini dell’era sovietica. E lì il brutalismo vi colpirà con ben più energia di oggi 😬

Per cambiare le valute di tutto il gruppo ci vuole molto tempo e ne approfittiamo per porre le prime domande “piccanti” ad Akrom. Come vi avevo anticipato nel breve excursus storico, il tentativo di rinsaldare il potere centrale da parte del Presidente Mirziyoyev aveva portato a luglio ad una rivolta a Nukus. Nella costituzione del 1991 il nord del paese, la Repubblica Autonoma del Karakalpakistan, ha infatti la possibilità di indire un referendum e staccarsi dal resto del paese e Mirziyoyev voleva invece equiparare il territorio alle normali province uzbeke, per meglio governare il mix di etnie della nazione. Nelle immagini reperibili sul web si vedono gli scontri, poi repressi con morti e feriti, e la bandiera carapalpaca sventolare sulle folle (link qui). La bandiera è visibile dal 2006 anche sulla pagina wikipedia dedicata al Karakalpakistan (link qui).

Perché ve lo dico? Perché come si potrebbe facilmente immaginare in un paese non libero la diffusione delle notizie e delle proprie idee non è vista di buon occhio. Non volendo mettere in difficoltà i nostri interlocutori, abbiamo sempre tenuto per noi le notizie che avevamo raccolto prima di venire, come le opinioni che ci siamo man mano formate. Comunque sia… questo è stato a somme linee il racconto di Akrom.

Noi: Akrom, ma cos’è successo al nord?

Lui: Incredibile! È stata una cosa improvvisa ed inattesa! Pensate che un deputato aveva in un’intervista avanzato l’idea di discutere del cambio di status della regione. Non era stato presentato un atto formale in Parlamento, non era stato proposto di votare nulla. Solo un’intervista! Ed è scoppiato il panico. I dimostranti hanno sottratto le armi alle forze dell’ordine e li hanno minacciati con quelle. Ma il Presidente ha mandato delle truppe dal sud, dalla Valle di Fergana. I valligiani sono ragazzoni ben piantati, che hanno avuto buon gioco a riportare l’ordine perché i carapalpachi sono esili e magri. Ho sentito degli amici nel nord che mi hanno confermato che non si aspettavano tutto questo ed erano preoccupati perché mentre prima erano ignorati dal potere centrale adesso sicuramente avranno addosso l’attenzione delle autorità. Sicuramente – aggiunge Akrom – la cosa era stata preparata da tempo. Pensate, ci dice, che avevano anche una bandiera! E mica la puoi fare il giorno prima una bandiera! Era tutto programmato.

Noi: Ma chi ci potrebbe allora essere dietro alla rivolta?

Lui: Il nostro Presidente si è informato. La Russia ha detto che lei non c’entra nulla. La Cina ha detto che lei non c’entra nulla. L’Unione Europea ha detto che lei non c’entra nulla. Gli Stati Uniti hanno detto che loro non c’entrano nulla.

Noi: E allora?!?

Lui: Ha detto il Presidente che è stata una, ancora ignota, potenza straniera!!!

Ho tentato di riportarvi quel che mi ricordo di questa conversazione solo per darvi un’idea di come in un posto del mondo con una storia così diversa dalla nostra, anche i punti di vista possano essere molto differenti. Non possiamo sapere se Akrom ci abbia raccontato quello che una guida ci deve necessariamente raccontare, e quindi la versione ufficiale del governo. O se ci abbia riferito la narrazione dei media che ascolta ogni giorno. O se questo sia effettivamente il punto di vista che lui condivide. Noteremo comunque, man mano che il viaggio proseguirà, che il punto di vista delle persone sulle questioni che potremmo definire di geopolitica, quando esiste, è comunque sempre allineato a quello del governo.

Sempre perché avevo approfondito questa questione posso aggiungere che la presidenza Mirziyoyev esprime un governo meno autoritario di quello del suo predecessore, Karimov. Questi è sempre stato giudicato come un dittatore sanguinario. Sicuramente ora l’Uzbekistan è più libero e c’è maggior fermento politico-culturale rispetto ad allora.

Una volta che tutti finalmente hanno cambiato i loro dollari in Som siamo pronti per iniziare la nostra mezza giornata di visita di Tashkent. Akrom già in autobus ci aveva fatto notare come ci sia un grosso fermento edilizio in corso. Si stanno abbattendo i vecchi complessi di abitazioni sovietiche per sostituirli con fiammanti nuovi grattacieli.

Settant’anni di dominazione sovietica sono stati tanti ed hanno cambiato molto il paese. I khanati che prima occupavano il territorio condividevano una cultura islamica sunnita simile a quella oscurantista che noi occidentali associamo all’Afghanistan dei Talebani. Le donne erano o proprietà dei padri o dei mariti. Non potevano studiare e in pubblico giravano sotto un burka completo, di quelli che nascondono anche gli occhi con una retina. Sotto l’URSS le religioni vennero perseguitate, quella islamica sicuramente più della cristiana ortodossa: le moschee vennero chiuse, il corano bandito. Si doveva essere atei per lavorare e fare carriera. Le donne acquisirono i pieni diritti civili. Insomma l’Uzbekistan fu proiettato dal medioevo al ‘900, destinando alla repressione dei gulag le voci dissidenti. I sovietici crearono molte infrastrutture, strade e ferrovie, per meglio sfruttare le risorse minerarie. Ricostruirono Tashkent quando nel 1966 un violento terremoto la rase al suolo. Di contro annichilirono la storia e le tradizioni uzbeke, lasciano in stato di abbandono i monumenti timuridi e disincentivando lo studio della storia uzbeka.

Con l’indipendenza il Presidente Karimov decise di recuperare la storia nazionale restaurando i monumenti storici ormai sull’orlo del crollo e recuperando la figura di Amir Timur, il condottiero noto da noi col nome di Tamerlano. Tre statue furono erette in suo onore. Una in piedi nella sua città natale di Shahrisabz, una assiso in trono a Samarcanda, la capitale del suo impero. Ed una equestre nel centro del Parco Amir Timur, proprio di fronte l’Hotel Uzbekistan. Che farà da sfondo a qualsiasi foto voi vogliate fare alla statua 😬

Sulla piazza si affacciano anche la Torre dell’Orologio di Tashkent ed il Museo di Amir Timur (ci dice Akrom che ha senso visitarlo solo se non si andasse a visitare le tre città della Via della Seta. In caso contrario risulterebbe ridondante con quello che vedremmo meglio durante il tour).

Risaliamo sul bus e raggiungiamo il Complesso Khazrati Imam. Il complesso è dedicato ad uno dei primi imam di Tashkent. Nel complesso sono compresi più edifici. Visitiamo per prima la Madrasa Barak Khan. Le madrase, ne vedremo molte in questo viaggio, erano scuole superiori. Scuole che potremmo equiparare alle nostre scuole confessionali. Mentre l’istruzione di base veniva impartita nelle moschee, il passo successivo, che vedeva partecipare un numero ridotto di studenti, veniva impartito in queste istituzioni dove gli studenti si trasferivano a vivere. Oltre all’insegnamento del corano, ogni madrasa era specializzata in una materia specifica: letteratura, astronomia, medicina, ecc. Le strutture hanno una architettura sempre simile: un enorme portale che da accesso ad un cortile interno. L’edificio che circonda il cortile consiste sempre di due livelli. Al primo piano c’erano le stanze dove gli studenti dormivano. Al piano terra quelle dove si studiava. La Madrasa Barak Khan risale al 1532 e fu eretta dal governatore Nauruz Ahmad Khan. Barak Khan vuol dire “sovrano fortunato” e questo era proprio il soprannome del governatore. Come tutte le madrase che vedremo, non svolge più la sua antica attività ma, in questo caso, è stata riconvertita in un centro di sviluppo dell’artigianato ed ospita le botteghe di vari artigiani.

Di fronte la madrasa visitiamo un altro edificio del complesso, la biblioteca museo Moyie Mubarek. Risalente anch’essa al XVI secolo, prima madrasa, poi biblioteca, narra la leggenda che custodisse un capello di Maometto – il suo nome infatti vuol dire “capelli benedetti”. Al suo interno viene conservato il preziosissimo Corano del califfo Osman, il più antico del mondo (è proibito fotografarlo 😬). Il manoscritto, fonte primaria dell’Islam, è stato scritto su pelle di cervo verso la metà del VII secolo (644-646 d.C.) per ordine del terzo califfo, Osman ibn Affan. Fureno redatte solo 6 copie di questo tipo e ne sono rimaste al mondo solo 4. E la meglio conservata è proprio questa di Tashkent. Di dimensioni molto grandi, contiene 338 fogli (in origine dovevano essere 353 ma alcune pagine sono sparite) di pergamena con il testo originale del Corano.

Fu razziato da Amir Timur (Tamerlano) dalla città irachena di Bassora nel 1402, dopo aver sconfitto il sovrano turco Bayazid, e fu custodito nella Madrasa Nadir Divan-Begi di Samarcanda. Nel 1869, dopo che l’Asia centrale fu conquistata dalle truppe zariste al comando del generale Konstantin von Kaufmann, il corano fu inviato dal generale-governatore alla biblioteca imperiale di San Pietroburgo come bottino di guerra. Nel 1905 furono redatte ben 50 copie del corano (una di esse è visibile nel museo). Nel 1917, dopo la rivoluzione russa, Lenin lo consegnò ai Tatari della città di Ufa. Nel 1924 finalmente il corano tornò in Uzbekistan e dal 2007 è visibile in una teca nella biblioteca-museo. Nella biblioteca-museo sono conservati anche una quarantina di corani scritti in varie lingue.

L’ultima visita nel complesso è alla Moschea Khazrati Imam. Costruita nel 2007 secondo le regole dell’architettura del XVI secolo, possiede due minareti ed una galleria (aiwan) in legno, frutto del lavoro degli intagliatori di diverse scuole (Kokand, Samarcanda e Bukhara).

Risaliamo sul bus e ci spostiamo al mercato, il Bazar Chorsu. Questo mercato è il più grande ed il più antico di Tashkent. Sotto cupole decorate di piastrelle color turchese e smeraldo si alternano le bancarelle con le merci, suddivise per aree: pane, spezie, frutta secca, ecc. Una menzione speciale la merita il pane che, sia qui che in tutto il viaggio, risulterà molto buono. Chiamato Non (o Obi Non) è una focaccia a forma di disco. Viene per tradizione timbrato prima della cottura (dice la leggenda che in passato fosse utilizzato anche come forma di moneta) che dovrebbe avvenire nel tradizionale forno tandoor – anche se al mercato si utilizzano forni normali. Il pane è la prima cosa che si offre agli ospiti come segno di benvenuto in casa.

Dopo aver gironzolato nel mercato ed aver pranzato mangiando qualche spiedino o delle samsa (tipici fagottini di pasta sfoglia ripieni di carne o patate) andiamo a visitare la metropolitana. Visitare, si non avete letto male. Tashkent è l’unica città dell’Asia centrale ad avere una metropolitana. Costruita dai sovietici, ricalca le fermate decorate delle metropolitane di Mosca e San Pietroburgo. Lo scopo del regime sovietico era quello di stupire la popolazione grazie alla magnificenza del decoro, per sottolineare sia la potenza dello Stato, sia le conquiste che il comunismo aveva effettuato.

Avendo tempi ristretti visitiamo le fermate della metropolitana che ci porteranno all’ultima nostra meta della giornata, la Piazza dell’Indipendenza. Le fermate che visitiamo sono quelle di Chorsu ovviamente. Poi quella di Alisher Navoi, famoso poeta e scrittore. Situata sotto il Navoi Literary Museum presenta delle cupole decorate con ornamenti tradizionali e con motivi tipici delle moschee e madrase costruite durante il fulgore della Via della Seta. Sulle pareti alle spalle dei binari ci sono dei bei pannelli di ceramica decorati con scene tratte dalla raccolta di poesie Khamsa di Navoi. Con un collegamento sotterraneo passiamo sull’altra linea della metropolitana, alla fermata Paxtakor. Questa fermata è dedicata ai coltivatori di cotone (è il significato della parola paxtakor) e le pareti di questa stazione sono ricoperte da mosaici verdi e blu che rappresentano delle piante di cotone in fiore. Non bisogna mai dimenticare che l’Uzbekistan è uno dei principali produttori mondiali di cotone e che il prelievo delle acque dai due fiumi Amu Darya e Syr Darya per irrigare le coltivazioni sorte nelle steppe desertiche ha causato il disastro ecologico del Lago d’Aral. Arriviamo quindi alla fermata Mustaqillik Maydoni(Piazza dell’Indipendenza). Chiamata fermata Lenin fino al 1991, questa è una delle stazioni più sontuose della metropolitana di Tashkent. È costruita quasi interamente con marmo proveniente dal deserto di Kizil Kum nell’Uzbekistan occidentale. La sala a colonne con il suo soffitto finemente decorato e i lampadari di vetro danno la sensazione di essere in una sala da ballo. I motivi a stella sul pavimento simboleggiano il successo dei cosmonauti sovietici.

Usciamo dalla metro per ritrovarci a Piazza dell’Indipendenza. La prima cosa che l’occhio incrocia risalendo all’esterno è il Monumento alle Cicogne. In realtà questa originale installazione si chiamerebbe Ezgulik o “Arco delle buone e nobili intenzioni”. La struttura è composta da sedici colonne di marmo chiaro collegate da una sovrastruttura, su cui sono state poste figure di cicogne, simbolo di pace e serenità. Ci spiega Akrom che una volta le cicogne facevano sovente i nidi in città. Ora questi, come poi vedremo nel pomeriggio, si trovano solo al di fuori del centro urbano, sui pali dell’elettricità.

La piazza ospita molte fontane ed il Monumento all’Indipendenza. La zona della piazza che ospita il monumento però non è accessibile. Ci spiega sempre Akrom che il loro Secondo Presidente, Mirziyoyev, non ha voluto lavorare nel palazzo utilizzato dal Primo Presidente ma in un edificio della Piazza. Quindi per motivi di sicurezza la parte della stessa intorno al Palazzo della Presidenza non è più accessibile al pubblico.

Ci mettiamo all’ombra ed iniziamo a chiacchiere con Akrom – il sole picchia tantissimo ma essendo il clima secco basta spostarsi all’ombra per stare bene. Chiediamo ad Akrom di illustrarci il loro sistema politico. Lui ci spiega che il loro è un sistema presidenziale. Il Presidente nomina il governo. Ed anche i sindaci delle città (almeno delle più grandi visto che, come esempio, nomina Tashkent e Samarcanda). Lui (ovviamente) apprezza questo sistema perché permette che lo stato funzioni in maniera ordinata. Ci spiega che il primo presidente, Karimov, era molto avverso al passato sovietico ed aveva lavorato molto per restaurare i monumenti nazionali lasciati andare in rovina dai russi e per rivalutare la storia nazionale facendo leva sulla figura di Amir Timur. Mirziyoyev invece è più aperto all’eredità del passato. Sostiene che il 70% del passato sovietico sia negativo ma che ci sia stato anche un 30% di positivo. Col loro ateismo i sovietici avevano secolarizzato quella che era una società fortemente teocratica. Le donne hanno smesso di essere proprietà del padre o del marito, hanno smesso di indossare il burka, hanno potuto studiare, divorziare, lavorare. La società è rimasta religiosa, la maggioranza della popolazione è mussulmana sunnita, ma lo stato è laico. Si vende infatti e si può bere liberamente l’alcol (vino, birra, vodka). I russi avevano ricostruito Tashkent dopo il terremoto, cosa che da soli gli Uzbeki non avrebbero potuto fare facilmente. Hanno costruito strade ed infrastrutture, si certo… per sfruttare le risorse del suolo., ma comunque hanno portato benessere in un posto che ne aveva pochissimo.

Akrom ha tre figli e parliamo con lui anche del sistema scolastico uzbeko. Ci spiega come dopo la dissoluzione dell’URSS gli uzbeki abbiano abbandonato il modello sovietico per quello turco. Questo però non ha dato i risultati sperati e si sono orientati verso il modello coreano (inteso come Corea del Sud). Anche questo però si è rivelato essere troppo lontano dalle loro esigenze e stanno gradualmente ritornando al modello di istruzione sovietico, sebbene rivisitato. Lui ha fatto studiare i suoi figli in scuole russe, perché una buona conoscenza del russo, lingua franca di tutta l’area ex sovietica, apre moltissime opportunità lavorative.

Proseguiamo dopo la chiacchierata la nostra passeggiata nell’immensa piazza per andare al Memoriale ai Caduti della II Guerra Mondiale. Di fronte alla statua di una madre arde una fiamma e lungo un aiwan sono incisi su dei pannelli i nomi dei soldati caduti nel conflitto. Ci spiega Akrom che sebbene il fronte non sia arrivato fin qui, molti furono arruolati nell’Armata Rossa. L’Uzbekistan inoltre accolse moltissimi profughi, soprattutto bambini. Con famiglie che arrivarono ad accoglierne anche una decina, senza fare distinzione di etnia o nazionalità.

È arrivata l’ora di salutare Akrom e di trasferirci via bus a Samarcanda. Siamo fortunati. Abbiamo un autista poliglotta. Lui parla uzbeko, tagiko e russo. Noi italiano ed inglese. Di fatto comunichiamo a gesti 🤪 Comunque non ha problemi ad intendere le uniche due necessità che possono esserci nel trasferimento: sosta pipì e sosta per acquistare dell’acqua 😎

La due città distano 300 km e per buona parte del viaggio sonnecchiamo. Sebbene, come ho già accennato, il caldo sia secco, comunque girare nelle ore centrali della giornata è spossante. Prendiamo le nostre stanze al Grand Hotel Zarina (link qui), a due passi dal cuore della città, la Piazza Registan. Il tempo di una doccia ed il nostro bus ci accompagna a cena al Ristorante Istiqlol (link qui)

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