9 agosto 2014

Oggi è un’altra giornata intensa. Dobbiamo percorrere quattrocento chilometri per raggiungere il Parco di Etosha, dove pernotteremo per due giorni. Solo che una volta nel parco non c’è la possibilità di fare una vera spesa ed allora, prima di avviarci, ci fermiamo ad un supermercato a Rundu.





Avevo accennato che il gruppo si è suddiviso in gruppi, ognuno con un compito. E allora a fare la spesa va solo il gruppo cambusa. Noi altri restiamo fuori in attesa e facciamo amicizia con una signora ed i suoi tanti figli, che apprezzano uno shooting fotografico.
Il Parco di Etosha (link qui) è caratterizzato da un paesaggio pianeggiante che si estende per una superficie immensa intorno ad una depressione salina, l’Etosha Pan. Proprio perchè non vi sono alture è abbastanza facile avvistare gli animali, soprattutto muovendosi come noi su un camion.





Sebbene il camion allarghi la nostra visuale, ci pone anche dei limiti. Non possiamo andare fuori dalle strade e quindi non possiamo andare a scovare i felini come avevamo fatto nel Moremi. Senza contare che con i tour organizzati i driver sfruttano le radio ed i contatti nel parco per soddisfare i turisti, mentre noi dobbiamo contare solo sulla sorte.



Bisogna anche considerare che nella stagione secca Etosha è caratterizzato da numerose pozze d’acqua attorno a cui si assembrano predatori e prede per abbeverarsi. Avvistiamo veramente tanti erbivori e notiamo che la specie di elefante qui presente è nettamente più massiccia e rugosa di quella vista in Botswana.




A fine giornata raggiungiamo il campo di Halali (link qui) e piantiamo le tende. A sera, allontanandosi dal campo lungo un percorso prestabilito, si può raggiungere a piedi una pozza d’acqua, illuminata artificialmente. Dal view point rialzato vediamo dei rinoceronti bianchi andare a dissetarsi 🦏 I rinoceronti sono molto flemmatici. Avanzano… poi stanno fermi a pensare a chissà che… poi proseguono… il tutto con mooooolta calma. Lo spettacolo, avvolto dai rumori della savana, è magico.
10 agosto 2014
Intera giornata dedicata al game drive col camion. Le tonnellate di polvere che sono entrate dai finestrini perennemente aperti sono ormai care compagne di viaggio! Per fortuna nessuno è allergico sennò avremmo già perso partecipanti 😷








Raggiungiamo l’Etosha Pan, la piana di sale che occupa il centro del parco. Riverbero abbacinante, paesaggio lunare. Invito anche tutti a notare come anche Peter vada in giro col cappellino: è inverno!





Successivamente decidiamo di appostarci su una pozza d’acqua per avvistare altri animali. Mentre ci avviciniamo alla pozza notiamo che ci sono una fila di auto che fronteggiano un elefante sufficientemente irritato da barrirgli contro. Tutti fotografano e l’elefante innervosito caracolla intorno. Vi ricordate quando all’inizio avevo detto che avevamo un camion blu e che era vox populi che non fosse un colore adatto perché innervosisce gli elefanti?!? Il gigante – è alto quanto il nostro camion – inizia ad avanzare contro di noi. Allarga le orecchie – un chiaro avvertimento – e prosegue deciso. Peter inizia a fare retromarcia ma lui avanza. Peter decide di fare (lentamente) manovra per togliersi dalla sua direttrice e comunque per avere la via libera per allentarsi casomai caricasse sul serio. Io sono lì bello bello nel mio posto in fondo che scatto foto all’elefante… che letteralmente è diretto contro di me mentre il camion si ferma, finita la manovra 😳 Poi Peter parte ed io tiro un sospiro di sollievo vedendo che l’elefante ci ignora e procede nella savana 🐘🚚




Finalmente occupiamo il nostro posto al lato della pozza dove si abbeverano impala, zebre e gnu. E dove, tra i bassi arbusti, riposano due leonesse. Speriamo in un agguato e restiamo vigili, con le macchine pronte. Ma niente… al massimo si spostano ma nessun tentativo di aggredire gli erbivori.





Ci spostiamo nei pressi di altre pozze più piccole ma altri felini non li avvistiamo. In compenso ci ritroviamo un rinoceronte abbastanza vicino al camion, sebbene totalmente indifferente a noi.



Per la serata cambiamo campo ed andiamo a Okaukuejo (link qui). Anche qui c’è una pozza illuminata la notte per attirare gli animali e vediamo rinoceronti ed elefanti 🦏🐘
11 agosto 2014

Quella di oggi è una lunga e pesante giornata di spostamento verso nord, per raggiungere il kaokoland, una regione al confine con l’Angola abitata dalle tribù Himba.




Facciamo una sosta a Outjo per fare la spesa. Non trovando tutto quello che ci serve nel supermercato giriamo per i negozietti lì intorno e li scopriamo di proprietà cinese. Proprietario cinese alla cassa ed impiegato locale tra gli scaffali. Sul marciapiede fuori dal market incontriamo – o meglio, ci vengono a cercare – dei ragazzi che intagliano i semi di makalani (il frutto di una palma) e ne fanno portachiavi. Sono bravi e veloci nell’intaglio ed è un bel modo di procurarsi un souvenir originale.




Lungo il tragitto ci fermiamo in un piccolo villaggio Himba. Ci presentiamo ed il capo villaggio ci invita a visitare il loro piccolo sito. Un paio di capanne dove dormire. I capretti che gironzolano tranquillamente dove vogliono, anche all’interno delle capanne. Solo un giovane ed una ragazzina vestono all’occidentale. Tutti gli altri nel tradizionale costume Himba.




Ci invitano a scattare delle foto e noi per ringraziare della pazienza doniamo loro alcuni beni di prima necessità (riso, farina, ecc.). Le guide turistiche infatti sono molto attente a sconsigliare il pagamento in denaro per non spingere le popolazioni Himba verso uno sfruttamento meramente turistico della loro cultura.
Il sole tramonta lungo il tragitto e siamo su una strada sterrata. Si leva una luna rossa splendida. Stasera è perfettamente piena. Peccato non potersi fermare per godersi il momento ma dobbiamo affrettarci per arrivare prima dell’imbrunire a destinazione: l’Epupa Falls River Lodge (link qui). Il lodge è in una location molto bella, sul fiume appena a monte delle cascate. La sera non fa freddo e non avendo fretta di ripartire la mattina dopo, diamo fondo ad una cassa di ottimi vini sudafricani comprati apposta la mattina.
12 agosto 2014
Buongiorno! Gli sciacalli hanno saltato le recinzioni ed hanno aperto i sacchi dell’immondizia spargendo tutto in giro. Tocca raccogliere 🐺




Per andare a vedere la tribù Himba prendiamo accordi con un ragazzo che ci fa da guida. Il suo nome è Owen. Con lui saliamo sul truck e ci allontaniamo di una cinquantina di chilometri da Epupa Falls. Tutta la zona è popolata da Himba, ma noi vorremmo evitare le classiche trappole per turisti che letteralmente circondano il nostro campo: donne in posa che si fanno pagare in cambio di uno scatto.





Una cultura diversa dalla nostra merita rispetto. Ed il rispetto non si compra con i soldi. Bisogna comprendere le radici di una cultura, presentarsi con garbo e gentilezza ed essere accolti da loro. Insomma, non puoi presentarti a casa della gente e fotografarli come fossero animali allo zoo. Non lo tollereremmo noi a casa nostra, perché dovrebbero tollerarlo loro a casa loro?!?





Una volta arrivati a destinazione Owen ci riunisce all’ombra di un albero ed inizia a spiegarci le usanze del suo popolo. In primis chiarisce come con il termine Himba si intenda un singolo individuo. Mentre per indicare un gruppo si utilizza il termine Ovahimba. Io continuerò ad utilizzare il termine Himba anche per la comunità tutta per evitare confusione vista la diffusione di questo termine.

Il tipico villaggio Himba ha una struttura circolare ed è racchiuso da una palizzata. Al centro del villaggio c’è il recinto degli animali. Gli Himba infatti sono per lo più pastori. Le capanne corrono in circolo tra la palizzata ed il recinto. Di fronte l’unica apertura del recinto si trova la capanna del capo villaggio. Tra l’apertura del recinto e la capanna del capo arde il fuoco sacro. Chi non è stato invitato ad accedere liberamente al villaggio non può attraversare questa linea sacra, chiamata il corridoio. Il fuoco sacro è l’elemento più importante del villaggio. È il luogo dove si venerano gli antenati – gli Himba non adorano un dio specifico ma si rivolgono ai loro predecessori. Davanti al fuoco sacro viene attribuito il nome ai nuovi nati. Non tutti i villaggi però hanno un fuoco sacro. Questo viene trasmesso alla morte del capo villaggio al suo figlio maggiore e solo a lui.





Gli Himba sono poligami. Hanno in media quattro o cinque mogli. Quando i genitori reputano che un ragazzo sia in età da matrimonio scelgono per lui la prima moglie. Le famiglie si accordano in base alla loro reputazione e alla loro ricchezza, senza tenere in conto l’opinione dei figli. Normalmente la prima moglie è molto giovane – una decina d’anni. È lei che deve gestire la casa dello sposo. Finché la prima moglie sarà in tenera età i due non giaceranno insieme. Il primogenito della prima moglie sarà però colui che erediterà dal padre, anche se le successive mogli partorissero dei maschi prima di lei. Dopo aver sposato la prima moglie infatti l’uomo può cercare una donna che gli piaccia – e a cui lui piaccia. Quando la trova, ne parla con i propri genitori. Saranno sempre questi a decidere se contattare la famiglia di lei e a concordare le nozze. L’asse ereditario segue solo la via maschile.





Le donne Himba non sono considerate nude se sono coperte dalla vita in giù e se hanno la nuca coperta da un copricapo. Questo può essere crestato o piatto. In mancanza si utilizzano rametti con foglie di mopane. Le donne sono quelle che più tengono vive le tradizioni del loro popolo. Gli uomini invece spesso vestono all’occidentale. Owen ci spiega che è la scuola il maggior fattore di cambiamento culturale per gli Himba. Grazie ad una ONLUS norvegese ormai esistono ben 32 scuole nel Kaokoland. Sebbene l’istruzione sia un fattore positivo, è indubbio che lentamente porterà gli Himba a cambiare.





Ho trovato molto interessante la tradizionale sepoltura dei morti. Quando un Himba muore gli viene costruita una barella sui cui il morto – avvolto da un sudario – verrà trasportato a spalla da quattro persone. Il luogo di sepoltura verrà deciso dal morto stesso, dopo la sua morte però!!! I quattro Himba che sorreggono il feretro sentitanno una forza che li guiderà fino al luogo prescelto. Si sentiranno spingere o tirare, finché non si sentiranno arrestare dove dovranno inumare il caro estinto. La salma viene sepolta con la testa ad est ed i piedi ad ovest. Ovest, dove tramonta il sole e dove tutto finisce. Una volta sepolto il morto, in corrispondenza della testa viene deposto un sasso, ad indicare la tomba.





Nella cultura Himba esiste lo sciamano – che spesso è il capo villaggio. Non necessariamente ogni villaggio ha uno proprio sciamano. Oltre ad avere poteri curativi, lo sciamano può togliere il malocchio o uccidere senza armi. Se un Himba accusa un malore infatti qualcuno potrebbe avergli gettato il malocchio. Questa negatività si accentrerà in uno dei tanti bracciali che gli Himba indossano. Lo sciamano è in grado di individuarlo. Per estirparlo si ricorre ad una cerimonia. Si costruisce un cerchio di pali nei pressi del quale, bevendo delle birre, si faciliterà il rito. Come dicevo, lo sciamano può anche uccidere a distanza e non viene punito per questo. Infarti, aneurismi o incidenti sono le armi dello sciamano per uccidere a distanza.





Dopo la lunga spiegazione di Owen sulla cultura Himba ci avviamo al primo villaggio. Una volta arrivati veniamo accolti da un gruppo di donne e bambini. Gli uomini sono a guardia delle greggi. Le donne si riuniscono e noi ci presentiamo – salutiamo, diciamo i nostri nomi ma buona parte del messaggio è portato dai nostri sorrisi e dai nostri gesti. Owen spiega loro che siamo venuti a trovarli e ci invita a porgere alle donne i nostri doni, cibo e farina che lui stesso ci aveva pregato di acquistare il giorno prima.





Owen ci dice che siamo liberi di girare per il villaggio e di fotografare. I bambini si accalcano quando gli facciamo vedere le foto che gli abbiamo scattato. Ne fotografo un gruppo anche con l’iPhone e loro si divertono un mondo a far scorrere lo schermo tattile per rivedersi in foto.





Il capovillaggio accetta di riceverci e a gruppi entriamo nella sua capanna. Owen in sua presenza ci spiega più nel dettaglio alcuni aspetti della vita nel villaggio. Come avete visto nelle foto le donne hanno la pelle sempre ricoperta di un impasto di argilla dal colore rossastro. Sebbene la funzione originale di questo impasto sia stata quella di allontanare gli insetti e di dare sollievo dal calore del giorno, nel tempo ha preso anche ad essere intesa come una lozione di bellezza: una donna è attraente solo se ricoperta da questo impasto. E quindi per pulirsi ma non privarsi della “lozione di bellezza” si sfrutta una capanna apposita, intrisa del fumo di una miscela aromatica, dove restare finché non ci si è depurate.





Ci spostiamo poi, sempre a piedi, in un secondo villaggio molto più piccolo del primo. C’è una signora intenta a rasare i capelli ai bambini.




Torniamo indietro. Peter ha passato la giornata a riposarsi all’ombra degli alberi ed è felice di vederci. Tornati ad Epupa Falls ci godiamo il tramonto sulle cascate. Per cena Peter insiste per prepararci il fufu, una specie di polenta bianca da mangiare con le mani.
13 agosto 2014

Dopo l’intensa giornata di ieri, così ricca di emozioni, oggi abbiamo un’altra lunga giornata di spostamento. Facciamo una sosta a metà mattinata ad Opuwo, lungo la strada. Dobbiamo fare spesa ed approfittiamo del mercato per vivere un po’ la realtà locale.



Ripartiamo per quella che da programma è una giornata vuota. Ma se sei in Namibia mai disperare! 🤪 Le strade sono in terra battuta e le gomme sono sempre a rischio. Le nostre forse anche più di quello che pensiamo 😎




Buchiamo! Siamo letteralmente nel nulla ed abbiamo l’anteriore destra a terra. Peter si infila sotto il camion con dei cric idraulici e lo solleva e noi ad allentare i dadi per sostituire la gomma con una delle due di scorta. Un dado però è incastrato, uno solo e non riusciamo a forzarlo. Sul camion non c’è una chiave a croce ed i nostri tentativi di utilizzare la chiave singola in dotazione sono infruttuosi. Poi per fortuna passa un altro camion attrezzato per un overland e loro hanno la chiave a croce. Problema risolto.
Ed è in questa occasione che prestiamo attenzione allo stato delle gomme del nostro truck. Definirle logorate sarebbe un eufemismo. Avendo due gomme di scorta decidiamo di cambiare anche l’anteriore sinistra, visto che presenta dei vistosi crateri!!! Parliamo della cosa con Peter che contatta l’agenzia per cui lavora, la Tembo Expeditions di Harare (link qui). A Swakopmund sostituiremo tutte le gomme del mezzo.




A metà pomeriggio finalmente raggiungiamo il Palmwag Lodge. Ma qui stanno facendo dei lavori per espandere il campo ed al momento sono pieni. Peter si informa e ci spostiamo di altri cinquanta chilometri fino al Hoada Campsite (link qui). Dove facendo manovra ci salta un pezzo di copertone della posteriore destra esterna 🛞 Per evitare di trovarci di nuovo in difficoltà – finora avevamo sempre trovato posto per le tende pur senza prenotare – aiutato da Peter il nostro capogruppo si mette al telefono per bloccare le successive mete.
Questo posto, trovato per caso e con difficoltà, risulta in assoluto il più bello dove montare le tende e ci regala una serata fantastica. Ci indirizzano verso un lato del campo dove non c’è nessuno. Le uniche luci sono le lampade del camion e le luci delle candele sul nostro tavolo. Piantiamo le tende tra enormi massi che poggiano su una sabbia rossa. Cucina, bagno e doccia sono letteralmente scavati nel granito. La doccia in particolare è fantastica. Un vano a cielo aperto, col doccino posto in obliquo, calda, ma soprattutto sotto un cielo zeppo di stelle!
14 agosto 2014

La prima sosta di oggi è lungo la strada. Peter ci fa scendere in un posto brullo, in mezzo al nulla. Per vedere il panorama, pensiamo noi. No.


Per vedere quella che è la pianta più longeva che esista: la Welwitschia mirabilis. Considerata un fossile vivente, a questa pianta poco appariscente appartengono esemplari addirittura millenari. In lingua afrikaans viene chiamata “tweeblaarkanniedood”, che significa “due foglie non possono morire”. Queste piante sono distribuite in un areale molto ristretto che include il sud dell’Angola ed il centro nord della Namibia. La sua morfologia la rende particolarmente adatta al clima secco e arido del deserto: la lunga radice simile a una carota è molto profonda e affusolata, con alcune sporadiche radici ramificate che si espandono lateralmente per raggiungere grandi profondità. La porzione visibile è invece da due sole foglie, nastriformi e di un verde molto intenso, che si adagiano sul terreno crescendo orizzontalmente per diversi metri. Come accennavo questa pianta può vivere migliaia di anni e non smette mai di crescere. Quando smette di crescere, è morta.



Una volta arrivati sul mare il paesaggio cambia drasticamente. La Skeleton Coast è un unico lungo deserto che si affaccia sul mare. Normalmente la costa è coperta di bruma, ma noi siamo fortunati e troviamo il sole. La pericolosità della costa per la navigazione, anche in tempi recenti, è dovuta al trasporto sabbioso dalle dune al mare. Per effetto del vento le dune avanzano nel mare mentre la sabbia sollevata dal vento costituisce banchi sottomarini modellati dalla corrente anche a notevole distanza dalla costa. Questi banchi sono molto difficili da identificare e mappare. I relitti incagliati nei banchi sono spesso ormai inglobati nelle sabbie costiere.




Facciamo una prima sosta presso lo Old Oil Drill Rig. Davanti a noi giacciono i resti di un vecchio impianto di trivellazione petrolifera ormai abbandonato. L’impianto era operativo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 ed era stato eretto da Ben du Preez e Jack Scott. I due erano sicuri che ci fosse del petrolio ma quando raggiunsero la profondità di 1700 metri si resero conto che non ve n’era nemmeno una goccia ed abbandonarono l’impresa.




Proseguendo lungo la costa ci imbattiamo nei pochi resti di un relitto. Per l’azione del vento sferzante e delle maree questi relitti vengono demoliti velocemente e si quello che si presenta davanti a noi rimane ben poco.






Proseguiamo verso sud lungo la costa e raggiungiamo Cape Cross, dove rischierete di morire per il tanfo! Qui infatti c’è la colonia di otarie più grande del sud dell’Africa. Un’infinità di otarie che rigurgitano il cibo sulla spiaggia ed anche su di voi se gli passate vicino.







Cape Cross è una riserva naturale e questo spiega l’enorme numero di otarie. Esiste una passerella per addentrarsi nell’enorme stuolo di esemplari che riempie la spiaggia. Ma sempre a vostro rischio e pericolo per l’odore pestilenziale e per l’elevatissimo rischio di una scatarrata sulle scarpe ☣️




Nel pomeriggio arriviamo allo Spitzkoppe, la cima più alta della Namibia. Lo Spitzkoppe Campsite (link qui) è proprio davanti il monte, che si erge isolato in una piana. Questo campo è molto essenziale, ma ci forniscono la legna per il fuoco ed accendiamo un gran bel falò.
15 agosto 2014

La mattina saliamo su uno dei contrafforti dello Spitzkoppe per vedere delle pitture rupestri. Le scarpe fanno presa facilmente sul granito e la salita è agevole. Le pitture rupestri risalgono a circa 25000 anni fa. Sono abbastanza dilavate ma si scorgono i profili di rinoceronti, giraffe e cacciatori. Bisogna porre attenzione a non toccarle. Sicuramente per non rovinarle ulteriormente. Ma anche perché nell’impasto della pittura è stato utilizzato l’estratto di una pianta molto tossica.




Una volta ridiscesi partiamo per Swakopmund. Fondata nel 1892 come porto principale dell’Africa Tedesca del Sud-Ovest, è una località balneare caratterizzata da un’architettura coloniale tedesca. Una località balneare ma nella stagione estiva, che non è questa! La minima è prevista a 5 gradi e per decisione unanime ed immediata prendiamo delle stanze nell’albergo Gruner Kranz. Tra l’altro questo albergo comprende anche uno dei pochi locali serali della zona, con pub e discoteca.




Acquisto qualche regalino in un negozio che devolve parte del ricavato a cause benefiche nel continente africano. Alla cassa c’è una nonnina bianca dai capelli cotonati. Accetta le valute principali (us dollar, euro, pound, rand) facendo senza problemi il cambio sulla sua calcolatrice e tenendo i conti del negozio su un registro cartaceo. Scrive con una calligrafia precisa e leggibile. Un posto che ti porta indietro nel tempo…
Ceniamo al Jetty 1905 (link qui), top restaurant della città posto in mezzo al mare alla fine di un pontile. Come sempre Peter cena con noi, nostro ospite. UNICO nero in un locale di soli bianchi 😎
16 agosto 2014

Le gomme del nostro camion sono state tutte cambiate! Con altre gomme usate 🤷🏻♂️ Capiamo l’antifona ed incrociamo le dita 🤞🏻
Prima tappa della giornata Walvis Bay. Colonia inglese circondata dai possedimenti tedeschi prima, parte del Sud Africa fino al 1994, quando fu ceduta alla Namibia, Walvis Bay è sempre stato un porto strategico nella zona. Ma è famosa anche per le sue saline ed il loro ecosistema ed è per quello che noi la visitiamo.





Fenicotteri, pellicani e gabbiani riempiono le lagune salmastre della zona in quantitativi strabilianti. Sembra un po’ un richiamo alla colonia di otarie di Cape Cross (ma senza la puzza asfissiante 🤪).



Lasciata Walvis Bay incrociamo il Tropico del Capricorno e la sosta foto è d’obbligo. Per non farci mancare nulla, perdiamo il tappo del serbatoio del camion 🤷🏻♂️ Un bicchiere di plastica e tanto nastro adesivo vanno a prenderne il posto.






Riprendiamo la nostra strada per fermaci a Solitaire. Qui ci sono due cose: l’unica stazione di servizio lungo il percorso che va dalle dune di Sossusvlei alla costa. E la torta di mele di Moose McGregor, un avventuriero scozzese che negli anni ’90 decise di stabilirsi qui e di aprire una pasticceria. Ed ebbe successo. La torta è buona ma ci raccontano che in realtà le persone si fermavano per chiacchierare con lui, personaggio atipico ma molto amato.



Raggiungiamo nel tardo pomeriggio a Sesriem il nostro campo NWR (link qui). Siamo letteralmente ai margini del deserto del Namib, in un posto solitario dove la natura trionfa regalandoci scorci unici ed un tramonto mozzafiato.




Sotto l’ormai solito tetto di stelle ci organizziamo una gustosa grigliata in previsione della levataccia di domani mattina.
17 agosto 2014

Levataccia la mattina moooolto presto per andare sulla duna 45 a veder sorgere l’alba. Si chiama duna 45 perché è al quarantacinquesimo chilometro della strada che porta da Sesriem al Sossusvlei. Vanno tutti lì perché la duna 45 è letteralmente al lato della strada ed è una zona dove il deserto è proprio come te lo sei sempre immaginato, con queste dune sabbiose altissime.



Arriviamo trafelati che da orologio mancano pochi minuti e… appunto ho appena detto che le dune sono altissime. E sono di sabbia fine fine. Noi di corsa le scaliamo, ogni tre passi scivoliamo di due, respirando sabbia fino in cima. Arriviamo col fiatone ma in tempo per goderci lo spettacolo.





Sorto il sole che fai?!? Ma ti lanci di corsa giù per la duna rotolando e sollevando sabbia a più non posso. Finissima tocca toglierci le scarpe per farla uscire tutta 😂




Lasciata la duna ci spostiamo in uno dei posti più suggestivi di tutta la Namibia. Lasciamo il camion e con dei 4×4 veniamo portati ai piedi di altre enormi dune. Scalate le quali si apre davanti ai nostri occhi il Dead Vlei.



Una volta questa valle tra le dune era un’oasi di acacie. Ad un certo punto il fiume che alimentava l’oasi mutò il proprio corso in seguito al movimento delle dune. Dead Vlei è quindi composto da grande numero di alberi morti di acacia, che hanno assunto col tempo un colore molto scuro che contrasta col bianco del suolo e l’arancione delle dune. Impazziamo letteralmente per la bellezza del posto e ci scattiamo decine di foto in tute le guise 📷
Ci saremmo voluti trattenere ma lo spostamento dal Sossusvlei a Seeheim è lungo e le strade accidentate, per cui Peter ci costringe a partire per le 11,30. Peter ormai inizia ad essere stanco e nervoso. Per un solo driver questo viaggio è in effetti molto pesante. Lo spostamento è lungo e noioso. Raggiungiamo Seeheim ovviamente dopo il tramonto e ci accampiamo nelle piazzole del Seeheim Hotel (link qui).
18 agosto 2014

Prima di lasciare la Namibia facciamo sosta al Fish River Canyon, canyon maestoso e secondo solo al Grand Canyon americano. Il tempo è variabile col sole che fa capolino a tratti. L’inverno australe in Botswana e Namibia corrisponde alla stagione secca. Le giornate sono assolate e non piove. Però ormai ci stiamo spostando sempre più a sud ed il clima inizia a rassomigliare al nostro inverno.



Gli spostamenti diventano lunghi ed ininterrotti. La provincia Northern Cape presenta paesaggi desolati e brulli disseminati di macchie colorate di lavanda. Il tempo è nuvoloso con qualche goccia d’acqua. La stanchezza inizia a farsi sentire ed il gruppo sonnecchia per buona parte del tempo. La sera siamo a Springbok. E qui la sera fa freddo, punto!
Montiamo le tende ed andiamo in cerca di un posto dove cenare – non se ne parla proprio di montare la cucina da campo col vento freddo ed il rischio di pioggia incombente. Troviamo un locale della catena Nando’s (link qui) dove cucinano tutto a base di pollo (burger, wings) e ceniamo di gusto.
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