30 luglio 2011
Abbiamo un volo diretto Fiumicino-Buenos Aires con le Aerolinas Argentinas. Dovremmo partire nel pomeriggio da Fiumicino, ma… sono un po’ di mesi che sulle Ande vulcani dai nomi impronunciabili stanno eruttando. Ieri le ceneri di uno di questi hanno costretto alla chiusura l’aeroporto di Buenos Aires. Ragion per cui sarà l’aereo di ieri a partire all’orario del nostro. E noi quattro ore dopo. Mala tempora currunt: ci avvertono anche che ci sono correnti contrarie in quota e che il nostro aereo è un vecchio modello. Dovremmo fare una scalo tecnico a Rio de Janeiro per rifornimento carburante. Che vuol dire?!? Ci rispondono che l’aereo verrà spento e che noi staremo un’ora intera seduti con le cinture allacciate mentre i serbatoi verranno riforniti. In soldoni passiamo dalle quattordici ore preventivate a sedici ore chiusi nell’aereo! Record personale! Aggiungete anche che l’aereo è come già detto un vecchio modello. Quindi non ci sono schermi su ogni sedile ma solo pochi monitor nei corridoi. Più che vedere un film lo puoi immaginare, ascoltandone il sonoro dalle cuffiette in dotazione. Due lingue a scelta: spagnolo ed inglese. L’aria condizionata viene tenuta molto bassa 🥶 e le coperte di Aerolinas sono piccoline. Ne hai una sola ed è sufficiente a coprire o solo il busto o solo le gambe. Ma ce la facciamo ed arriviamo all’alba a destinazione ✈️
31 luglio 2011

Tra atterraggio a Buenos Aires, recupero bagagli e spostamento con i taxi, arriviamo al nostro albergo più o meno per ora di pranzo. L’Hotel Reina (link qui) risulta logisticamente molto comodo visto che è sulla centrale Avenida de Mayo. Buenos Aires mi fa un’impressione strana. L’architettura cittadina è un mix continuo di palazzi storici e palazzi moderni. Però mentre lo stesso mix l’anno scorso a Sidney risultava gradevole, qui stona. La città è mal messa, stanca, cadente. La bancarotta del 2001 ha avuto effetti ancora non riassorbiti dal paese. E se questo è visibile già nella capitale, diverrà sempre più evidente man mano che ci addentreremo nelle province andine. Ero mentalmente preparato alla povertà che avrei trovato in Bolivia. Non pensavo di trovarne così tanta in Argentina.




Siamo sotto elezioni. Candidata unica, almeno dai cartelloni, la Presidenta Cristina (Kirchner) che cerca un secondo mandato. Il volto della Presidenta e l’invito a votarla ci accompagnerà per tutta l’Argentina. Mi è sempre rimasto il dubbio se si fosse candidato qualcun’altro… 🤷🏻♂️


La nostra prima tappa è il Cafè Tortoni (link qui) su Avenida de Mayo. Arredato in stile fin de siècle è famoso per la frequentazione della intellighenzia argentina tra gli anni ’20 e ’40. Proprio qui aveva sede La Peña, un’associazione di artisti e letterati. Vi consiglio di provare il submarino, bevanda tipica argentina. Il “sottomarino” consiste in una barra di cioccolata che va’ immersa e sciolta in un bicchiere di latte caldo. Essendo partiti in piena estate ed arrivati in pieno inverno lo sbalzo termico oggi si fa sentire pienamente. Il submarino ci aiuta a riscaldarci.





Da lì abbiamo proseguito la passeggiata fino alla Plaza de Mayo, dove sorgono la Casa Rosada (link qui), sede del governo federale, e la Cattedrale di Buenos Aires (link qui). Abbiamo poco tempo e decidiamo di ritornare qui domani e di dedicare il pomeriggio per visitare luoghi più distanti dal nostro albergo.




Sempre a piedi poi siamo andati al Mercado de San Telmo (link qui). Il mercato e tutta la zona circostante pullulano di negozi di antiquariato e di bancarelle che vendono pellame e coppe lavorate per il mate, la classica tisana argentina. La struttura del marcato coperto fu costruita tra il 1897 ed il 1930 con uno stile italianeggiante e risulta veramente molto caratteristico.





Poi con un autobus abbiamo raggiunto il quartiere di La Boca. Il barrio (quartiere) deve il suo nome al fatto di sorgere alla boca (foce) del Riachuelo. Risente di una forte impronta italiana in quanto fu fondato intorno al 1830 da immigrati liguri e fu per molto tempo la zona portuale di Buenos Aires. Dopo un periodo di declino, legato allo spostamento del porto principale, il quartiere è tornato a nuova vita caratterizzandosi come uno dei principali poli del turismo locale, grazie alla presenza di artisti di strada, musei, istituzioni culturali e de La Bombonera, lo stadio del club calcistico Boca Juniors.
Sempre affollata di turisti è la strada detta il Caminito, caratterizzata dalle case dipinte con colori sgargianti. Questa tradizione è legata direttamente alla storia del quartiere. Le case venivano infatti dipinte con le rimanenze di vernice usata per le chiatte da trasporto merci che transitavano nel Riachuelo e questa caratteristica è stata mantenuta anche quando la strada è stata trasformata da residenziale a zona commerciale. È infatti un continuo susseguirsi di locali dove si esibiscono ballerini di tango argentino.






Altro autobus e a fine giornata raggiungiamo il Cimitero della Recoleta (link qui). È il più famoso cimitero storico di Baires, con tombe di personalità importanti, cappelle familiari molto elaborate ornate di fregi e statue votive. Gusto macabro il nostro? No, in realtà i turisti vengono tutti qui per vedere la tomba di Evita Peròn.
1 agosto 2011

Abbiamo ancora mezza giornata prima di dover lasciare Baires e ne approfittiamo per visitare meglio il centro storico. Orami ci siamo abituati alle temperature invernali – ieri letteralmente ci tremavano le mani nei guanti – e decidiamo di uscire di buon ora per massimizzare il poco tempo.



Non essendo occupato a tremare oggi noto varie cose a cui il giorno prima prestavo meno attenzione. Intanto resto colpito da quanto sia diffuso il mestiere del lustrascarpe. È una professione che da noi è scomparsa da tempo. Quì invece sembra che non ci sia affatto penuria di clienti. E vi anticipo che lo troverò anche più diffuso nelle città dell’interno, sia a Tucumàn che a Salta. Un’altra professione molto diffusa sono i venditori di caffè caldo. Hanno dei carrettini zeppi di termos e distribuiscono il caffè fumante in bicchieri di plastica. E questo senza togliere clienti ai numerosi bar che risultano comunque sempre affollati.



Decidiamo di percorrere tutta l’Avenida de Mayo per avere una buona idea del centro storico di Buenos Aires. Ma prima di tutto ci fermiamo anche oggi al Cafè Tortoni. A quest’ora è molto più tranquillo del pomeriggio e ci godiamo l’ambiente ricco e confortevole per bere il nostro submarino.





Torniamo alla Plaza de Mayo per visitare con calma la Cattedrale Metropolitana di Buenos Aires. Fu costruita tra il 1752 ed il 1791 e nel 1822 fu dotata di un pronao neoclassico che fa assomigliare l’ingresso più a quello di un tempio greco che a quello di una chiesa. Gli enormi ventilatori orientati verso le sedute per i fedeli ci fanno intuire come d’estate qui debba fare caldo, molto caldo.
All’interno della cattedrale, nella Cappella di Nostra Signora della Pace, si trova il Mausoleo del Generale José de San Martín. Generale, patriota e rivoluzionario, realizzò l’indipendenza argentina per poi combattere per quella del Perù e poi per quella del Cile ed il suo mausoleo è costantemente sorvegliato da una guardia d’onore del Reggimento Granatieri. Abbiamo anche la fortuna di assistere al cambio della guardia.
Non si può sfuggire al tango quì dove è nato e camminando incrociamo molte coppie di artisti di strada che sbarcano il lunario esibendosi nel nobile ballo. D’altronde come non fermarsi a guardarli?



Gli artisti offrono ai turisti anche l’occasione di provare l’ebbrezza di qualche passo, condotti ovviamente da loro visto che nel gruppo non c’è n’è uno che abbia mai nemmeno lontanamente preso una lezione di tango 😅





Proseguiamo la nostra passeggiata verso Puerto Madero, quartiere che ospita i vecchi docks, darsene cadute in disuso e recentemente ristrutturate e trasformate in spazi espositivi e locali commerciali. All’ancora nel canale troviamo una corvetta della Marina Argentina, la nave museo ARA Uruguay (link qui). Acquistata dal governo Sarmiento nel 1874 intervenne in rivoluzioni, salvataggi e spedizioni ed infine fu nave scuola della Marina. Dal 1967 è Monumento Storico Nazionale. Alle spalle della nave museo ammiriamo il Puente de la Mujer (link qui). Il Ponte delle Donne è stata la prima opera in Sudamerica dell’architetto valenciano Santiago Calatrava e vuole rappresentare una coppia mentre balla il tango, con il pennone bianco che simboleggia l’uomo e la curva del ponte che simboleggia la donna. Se non l’avessi letto ammetto che non l’avrei mai immaginato 😬




Per finire la nostra visita di Buenos Aires torniamo indietro sulla Avenida de Mayo e raggiungiamo il Congreso de la Naciòn Argentina (link qui), imponente edificio neoclassico sede del Parlamento e del Senato argentini.
Recuperati i bagagli in albergo prendiamo dei taxi per raggiungere l’aeroporto destinato ai voli interni. Percorriamo una lunga arteria stradale e, guardando fuori dal finestrino, restiamo colpiti da quel che vediamo. Già nel centro di Baires avevamo avuto questa sensazione di decadenza diffusa. Questa strada taglia letteralmente in due una enorme bidonville fatta di piccole costruzioni in mattoni senza infissi. Lo spettacolo dei panni stesi ad asciugare sulle recinzioni ai lati della strada a scorrimento veloce ci lascia attoniti. Nell’immaginario collettivo italiano l’Argentina è stata per lunghi anni terra d’emigrazione, una nazione ricca di possibilità dove tanti italiani erano andati in cerca di fortuna. Tant’evvero che l’impronta italiana nella cultura, nell’architettura e pure nei cognomi delle persone è fortissima. La bancarotta del 2001 ha finito di distruggere una nazione che a fine Ottocento aveva un reddito pro capite addirittura superiore alla Francia!




Arrivati a San Miguel de Tucumàn conosciamo la nostra guida per l’Argentina: Juan. Ci carica sul suo pulmino, che sarà il nostro mezzo di trasporto nei prossimi giorni per visitare le quattro province andine dell’Argentina del nord: Tucumàn, Catamarca, Salta e Jujuy. Prendiamo alloggio all’Hotel Mediterráneo (link qui) e dopo cena, nonostante il freddo, andiamo in piazza a rimirare la Casa de Gobierno de Tucumán. L’edificio governativo è la vecchia residenza del viceré spagnolo e, illuminato da potenti fari, è uno spettacolo affascinante… finché di botto a mezzanotte non li spengono! Per fortuna avevo scattato qualche foto poco prima perchè sennò non avrei avuto altra occasione 😅
2 agosto 2011

Dato che abbiamo poco tempo per visitare San Miguel, Juan ci consiglia di fare comunque colazione e poi di visitare le chiese intorno alla vicina Plaza Independencia.




La prima chiesa è la Catedral de Nuestra Señora de la Encarnación. Fin da subito abbiamo contezza di come qui la devozione religiosa sia molto sentita. Nel portico della cattedrale c’è un grande crocifisso e vediamo molte persone che, andando al lavoro, si fermano sotto il crocifisso per rendere omaggio al Salvatore. Sono le otto e mezza circa del mattino ed fa ancora molto, molto freddo. Nonostante questo in Plaza Independencia bardati di tutto punto già sono al lavoro i lustrascarpe, con le loro cassette degli attrezzi per far appoggiare il piede al cliente ed i loro sgabelli 🥶




Raggiungiamo così il lato opposto della piazza e visitiamo la Iglesia San Francisco. Al suo interno sono conservati oggetti storici come ad esempio il tavolo dove fu firmato l’atto di indipendenza dell’Argentina, la prima bandiera nazionale issata a Tucumán e l’altare maggiore, realizzato dagli indigeni di Misiones.
Finito il giro nel centro di San Miguel saliamo sul nostro pulmino e partiamo. Juan è molto gentile ed affabile. Ha una guida prudente e ci racconta molte cose. Parla uno spagnolo facile da comprendere – anche se qui nessuno parla veramente spagnolo ma le lingue nazionali derivate dallo spagnolo. Per prima cosa ci fa ascoltare la Luna Tucumana di Mercedes Sosa. La Sosa era una cantante argentina assurta a simbolo della sua terra e della lotta per i diritti civili contro la dittatura. Due cose ho subito capito degli argentini: i loro dolci sono estremamente dolci, troppo per me. E le loro canzoni sono estremamente tristi, troppo per me. A parte questo sono un gran bel popolo 😄



La nostra prima tappa è al monumento dedicato agli indios, intitolato Chasqui (che in Quechua vuol dire messaggero) ma noto come Monumento al Indio. L’opera, alta 6 metri ed istallata su una base di 10 metri, fu realizzata da Enrique Prat Gay e fu installata nel gennaio del 1943. Ed a nostro giudizio unanime è decisamente brutto! Siamo confortati che questo sia anche il giudizio di Juan 😂 Molto più interessante il mercatino dove gli indios vendono capi d’abbigliamento fatti da loro. Molto belli e soprattutto caldi. Paradossalmente questo primo mercatino sarà uno dei migliori che incontreremo durante il viaggio. Dovete considerare che più ci si addentra verso le Ande argentine e verso la Bolivia più la povertà, anche culturale, aumenta. Se avete intenzione di comprare dei ricordi approfittate sicuramente delle zone di San Miguel e di Salta, dove potrete trovare ancora capi ed oggetti più curati rispetto alle zone più interne.




Superato il Monumento al Indio ci fermiamo presso la località di El Mollar per visitare il Museo Arqueológico A Cielo Abierto Los Menhires (link qui). Il museo espone un patrimonio di circa 150 pezzi archeologici tra menhir o huacas (idoli) ed elementi di macinazione appartenenti alla Cultura Tafí, cultura che abitò l’omonima valle tra il 500 a.C. e l’800 d.C. Originariamente questi menhir erano variamente distribuiti nella valle di Tafì. Purtroppo nel tempo i più belli furono trafugati ed allora le autorità per preservarli decisero di riunirli in questo spazio. Così facendo però non fu rispettato il loro orientamento originario che prevedeva che le incisioni fossero dirette verso oriente.





Dopo un giro nel parco proseguiamo verso la cittadina di Tafì del Valle dove pranziamo. Impanadas ed altre specialità locali. Da lì proseguiamo per il passo di El Infernillo che con i suoi 3042 metri rappresenta un mio primo record personale di altezza. In questo viaggio questi miei record verranno sempre superati man mano che procederemo, fino ad arrivare a sfiorare per poco i cinquemila metri nella Bolivia. Sebbene avessimo qualche timore prima di inerpicarci, non abbiamo nessun problema con l’altezza. Le comunità argentine sorgono tutte nelle valli e queste brevi puntate in altura non generano alcun fastidio.





A queste quote ormai la vegetazione è molto rada. Pochi cespugli e cardones. Questi ultimi sono enormi cactus che crescono un solo centimetro all’anno e possono avere una vita lunghissima, centinaia di anni. Sono protetti e non possono essere abbattuti per utilizzarne il legno. In passato invece erano sfruttatissimi per edificare le abitazioni e soprattutto le chiese. Spesso vedremo nelle costruzioni sacre queste tavole piene di nicchie, le sedi dove si inserivano le spine del cardon.




Nel tardo pomeriggio arriviamo a Santa Maria de Catamarca, nella poverissima provincia di Catamarca. Alloggiamo all’Hotel Plaza. Santa Maria è il capoluogo del dipartimento dove siamo e non ha nemmeno una strada asfaltata. Tutte in terra battuta, con una polvere bianca sempre sospesa a mezz’aria. Al tramonto andiamo fuori città a goderci lo spettacolo al Cerro de Colores, una paleta del pintor come lo definisce Juan. Questo è un termine molto diffuso per indicare quegli ammassi di rocce vulcaniche caratterizzati da colori differenti che appunto ricordano la tavolozza di un pittore.
3 agosto 2011

Prima tappa del giorno è il Museo Pachamama (link qui). La Pachamama nella lingua Quechua è la Madre Terra. La Madre Terra era una divinità venerata dagli Incas. In queste valli non si estendeva il dominio diretto del loro impero, ma la loro influenza culturale era così forte che la Pachamama era venerata da tutti i popoli degli altopiani andini.





Tutte le opere contenute nel museo, come la struttura stessa, furono ideate e realizzate da Héctor Cruz, un artista locale autodidatta. Il museo è composto in tutto da due sale dedicate a geologia e antropologia, ed altre due dove sono esposti arazzi, dipinti e sculture. L’ampio cortile ospita enormi statue in pietra che rappresentano divinità che adorano la Pachamama, accompagnate da cardon e cactus locali.
All’esterno del museo abbiamo il primo “incontro” con le foglie di coca. C’è un signore che le propone chiuse in una bustina. Masticare foglie di coca serve a vincere il mal di montagna. Ancora non lo sappiamo, lo scopriremo più tardi in Bolivia a Potosì, ma la storia è un po’ più complessa di così. In Argentina comunque non raggiungeremo mai altezze tali da metterci in difficoltà.





Lasciato il Museo Pachamama raggiungiamo la Ciudad Sagrada de Quilmes. Sono i resti del più grande insediamento precolombiano del Paese. Occupano circa cento ettari e si trovano ai piedi della collina Alto del Rey. Nell’Argentina di oggi Quilmes è il nome di una birra. Ma nella storia i Quilmes erano una fiera popolazione che si oppose all’invasione spagnola. I Quilmes vivevano in una città fortificata e ben attrezzata a resistere a lunghi assedi. Nonostante le tecnologie superiori, gli spagnoli ebbero grosse difficoltà a vincerne la resistenza. Finché, durante l’assedio, grazie ad un traditore riuscirono a superarne le difese e a sterminarli. A seguito degli scavi archeologici è possibile ora visitare i resti della città, sebbene a cura del sito ed il servizio di guida allo stesso sia delegato ad un’associazione di volontari anziché curata dallo Stato.





Ci spostiamo poi a Cafayate per visitare l’azienda agricola Domingo Hermanos (link qui), che si trova proprio all’inizio della cittadina. I loro vini, ahimè, non ci sembrano i migliori dell’Argentina. Debbo dire che, lasciata Buenos Aires, buoni vini ne troveremo solo in Cile.





Proseguiamo nella Quebrada de Cafayate. Quebrada è il termine con cui si chiamano qui i canyon. La quebrada è veramente bella. Ammiriamo la struttura naturale chiamata Los Castillos, degli imponenti torrioni rossi, per poi addentrarci sempre più all’interno, circondati da contrafforti di rocce rosse, marroni e verdi.





È la prima volta che ci troviamo veramente di fronte alla bellezza incommensurabile della Ande. Siamo entusiasti e ci inerpichiamo sulle pendici della valle per tutto il pomeriggio fino al tramonto. Rimaniamo incantati da un indio che in una stretta gola suona il flauto, regalando magia al luogo. All’imbrunire torniamo a Cafayate per rifugiarci nell’Hotel Assembal.
4 agosto 2011

Lasciamo Cafayate per fermarci in una gola molto particolare. La Quebrada de Las Flechas non stupisce per i colori vividi come quella di Cafayate. Ma per la struttura delle sue rocce, piegate in diagonale dagli immani eventi sismici che l’hanno formata.




Mentre noi esploriamo la valle Juan ci prepara un mate de herba, la classica bevanda argentina. Si tratta di una tisana coperta in superficie da uno strato di erbe aromatiche. Viene servita in una coppa decorata (erano le coppe che avevamo visto a Baires sulle bancarelle nei pressi del Mercado San Telmo) e si beve grazie ad una cannuccia di metallo. Juan ci spiega che in Argentina si è soliti passare il tempo tra amici chiacchierando e bevendo mate.




A metà mattinata arriviamo nel villaggio di Molinos per visitarne la bella chiesa, edificata dagli spagnoli con legno di cardones: la Iglesia San Pedro Nolasco de los Molinos. Sebbene i tempi siano stretti – la strada per Salta è lunga e tortuosa – decidiamo di prenderci un caffè nel bel chiostro di fronte la chiesa, appartenente alla Hacienda de Molinos Hotel. Juan avrebbe fretta di ripartire ma… che ci vorrà a bersi un caffè, diciamo noi?!? Molto! Non lo so se il caffè l’abbiano seminato al nostro ordine pur di garantirci la migliore qualità 🤪 Ma abbiamo dovuto attendere un’oretta buona per venirne a capo. Anche perché qui, se un gruppo ordina qualcosa, si fanno punto d’onore di portare tutte le ordinazioni insieme.





Comunque una volta bevuto questo benedetto caffè riprendiamo il viaggio, con enorme sollievo di Juan. A Cachi pranziamo in piazza con delle ottime empanadas e poi visitiamo il Museo Archeologico Pío Pablo Díaz e la Chiesa di San José. Un giro veloce nel mercato nella piazza e poi di nuovo in viaggio.






Come ci aveva giustamente anticipato Juan la via da adesso in poi è lunga e tortuosa. Ci inerpichiamo su per un altro passo a 3457 metri, nuovo record personale. Incrociamo qualche chiesa isolata e qualche cimitero ma per lo più attraversiamo un paesaggio brullo e deserto.





In serata finalmente raggiungiamo Salta ed alloggiamo all’Hotel Refugio del Inca (link qui). Appena entrati nell’albergo abbiamo la netta sensazione di essere in un centro ben più benestante rispetto a San Miguel de Tucumán ma soprattutto a Santa Maria de Catamarca. Salta è una città famosa per le sue vestigia coloniali ed è soprannominata Salta la Linda, Salta la Bella. Non perdiamo tempo e dopo cena usciamo per una prima visita in notturna del centro, che ci affascina con le sue chiese ben illuminate. In particolare la Chiesa di San Francesco con le sue mura affrescate di un rosso porpora.
5 agosto 2011

Dedichiamo anche la mattina a visitare Salta. La prima cosa che ci salta all’occhio – e di qui in avanti sarà sempre di più così – è il basso numero di turisti. Sebbene Salta sia considerata la più bella città argentina, esclusa Baires, alla fine stamane nella piazza principale, la Plaza 9 de Julio, ci siamo solo noi ed un altro gruppo di Avventure.





La Cattedrale di Nostro Signore e della Vergine del Miracolo (link qui), più brevemente nota come Cattedrale di Salta, che ieri sera ci aveva ammaliato con la sua illuminazione, stamane è piena di scolaresche per non so quale cerimonia. I ragazzini sono tutti in divisa scolastica e vengono fatti entrare ordinatamente dagli organizzatori.





Vista la difficoltà a visitare adesso la piazza principale decidiamo di fare un giro al Mercado Municipal San Miguel. Giriamo tra le sue bancarelle dove è possibile acquistare spezie, frutta, verdura, carne e frutta secca. È quì che iniziamo ad incontrare le prime persone di etnia decisamente india. Ed a confrontarci con la loro ritrosia a farsi fotografare. È una credenza diffusa che la fotografia possa rubare l’anima del soggetto, che sovente nasconde il volto se si accorge di essere inquadrato. Senza un teleobiettivo diventa praticamente impossibile ritrarre un abitante indio.




Un’altra cosa inusuale che mi colpisce – inusuale almeno per i nostri canoni – sono gli allacci aerei della corrente elettrica. Come in molti paesi del terzo mondo rimango sorpreso che le città non brucino al primo cortocircuito!




Girovaghiamo un po’ senza meta per la zona delle case coloniali. Consiste di molti edifici a due piani con bei balconi in legno decorati. A questi si alternano sia balconi in ferro battuto che banconi lignei completamente chiusi. Quello di Salta è il centro storico con architettura coloniale più esteso e meglio conservato dell’Argentina.





Terminiamo il nostro giro visitando la Parroquia San Juan Bautista de la Merced, un edificio in stile neogotico inaugurato nel 1914. La chiesa custodisce la Croce dei Vincitori e dei Vinti deposta dal generale Belgrano dopo la vittoria nella Battaglia di Salta del 1813, in cui sconfisse le truppe realiste di Juan Pío Tristán.

Anche oggi ci attende un lungo spostamento. Finora abbiamo lambito la cordigliera delle Ande, svalicando qualche passo ma tornando sempre a valle nelle città. Ma da oggi inizieremo ad rimanere costantemente in quota, addentrandoci sempre più verso gli altipiani della Puna argentina e della Bolivia.



Nel primo pomeriggio raggiungiamo Purmamarca ed il suo celebre Cerro de los Siete Colores. Ci ritroviamo di fronte uno spettacolo unico, con questa collina che veramente ospita rocce dei colori più disparati. Questa gamma di colori unica è il prodotto di una complessa storia geologica che include sedimenti marini, lacustri e fluviali elevatisi ed amalgamatisi con il movimento delle placche tettoniche.





Dopo la breve sosta a Purmamarca ne effettuiamo una molto più lunga alla Pucarà de Tilcara, la Fortezza di Tilcara. La fortezza si trova su un colle all’incrocio di quattro quebradas. Vista la posizione vantaggiosa, non necessitava di mura per garantire il controllo della zona. La popolazione Tilcara dominò per molto tempo questa valle, fino all’arrivo degli Incas. Queste terre furono infatti le ultime conquistate dall’Impero Inca prima dell’arrivo degli spagnoli. E gli spagnoli, armati di cannoni, non ebbero difficoltà a conquistare la fortezza.



Risalendo verso nord incrociamo il Tropico del Capricorno, dove sostiamo nei pressi di un monumento fatto a mo’ di enorme meridiana. Foto di gruppo d’obbligo scattata 📸





E alla fine raggiungiamo Humahuaca e prendiamo alloggio all’Hotel Solar de la Quebrada (link qui). Siamo nella provincia di Jujuy, la più povera di quelle andine. Ormai la popolazione è totalmente india. La cittadina, che sorge a 3000 metri di altezza, è molto semplice anche se possiede uno splendido edificio comunale, la Municipalidad de Humahuaca. Inoltre sempre in centro c’è la Iglesia Catedral Nuestra Señora de la Candelaria, che custodisce una splendida pala d’oro.





Ceniamo in un ristorantino allietati dalla musica di alcuni artisti locali.
6 agosto 2011

Lasciamo Humahuaca per una deviazione che avevamo concordato con Juan. Saremmo dovuti andare direttamente al confine ma Juan ha accettato di inoltrarsi nella Puna argentina. Con questo termine si designa un deserto d’alta quota (puna in Quechua vuol dire spopolato) con scarsissime precipitazioni e forti venti, caratterizzata da una vegetazione xerofila (che quindi non ha bisogno di molta acqua) e popolata di lama, vigogne e fenicotteri. Più qualche raro umano.





Ci inerpichiamo quindi fino alla Laguna de los Pozuelos. Siamo altini qui: 3500 metri. Niente più alberi, solo cespugli. La laguna ha lungo la riva tratti ancora ghiacciati sebbene sia già metà mattinata ed è popolata da fenicotteri rosa. E’ qui che iniziamo a vedere una cosa che ci lascerà riflettere anche successivamente in Bolivia, nella corrispettiva zona delle lagune d’alta quota. Come alcune persone possano vivere una vita così diversa dalla nostra. Questi posti isolati infatti non sono affatto disabitati.





Qui vivono dei pastori che allevano i lama e le vigogne. Trovi questi agglomerati piccolissimi. Due, tre case. Qui ancora arriva la corrente elettrica, in Bolivia nemmeno quella. Ci fermiamo presso una di queste case. Sono in due, marito e moglie. Poi qualche cane, molti lama. Intorno, il nulla. Lui accetta di guidarci verso il bordo della laguna. Strade non ne esistono ed il rischio di impantanarsi è alto. Il pastore si muove normalmente in bici con un vecchio stereo appeso al collo per ascoltare la radio! E noi ci guardiamo intorno e ci chiediamo che strana vita deve essere questo stare sempre isolati. Col vicino così lontano che andarlo a trovare ridà significato alla parola “visita”.





Poi ripartiamo e scendiamo a valle fino alla città di confine di La Quiaca. C’è un torrente in secca che separa l’Argentina dalla Bolivia, con un ponte che collega La Quiaca con la cittadina di Villazòn in Bolivia. Salutiamo Juan e ci apprestiamo a passare il confine a piedi. Ci mettiamo in fila dalla parte argentina del ponte e passiamo più o meno un’oretta in attesa del nostro turno. Guardiamo di sotto e vediamo che le recinzioni di confine sono precarie e che il mercato nero fiorisce alla luce del sole. Nella completa indifferenza delle guardie di confine c’è sempre qualcuno che, carico di mercanzia, attraversa il torrente in secca! Alla fine arriviamo dalla parte boliviana del ponte. Compiliamo tutti i documenti richiesti e finalmente siamo in Bolivia.
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