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2011

Bolivia

Nikon D90 con Nikkor 18-200 e iPhone 3GS

6 agosto 2011

Abbiamo passato il ponte e siamo arrivati in Bolivia, dicevo. Oggi è il giorno della festa nazionale per l’indipendenza!!! Sono tutti in festa, suonano per strada, ridono e scherzano. La prima cosa che ci salta all’occhio è che in Bolivia le signore portano i cappelli. Il tipo di cappello indossato dovrebbe identificare da quale zona provengano. Il giorno della festa nazionale i servizi pubblici non funzionano. Noi preventivamente avevamo affittato un autobus privato per raggiungere Tupiza.

In Bolivia le mappe tracciano delle strade asfaltate che collegano le varie città. Mettete in conto che sicuramente una frana o uno smottamento le avranno interrotte. Per cui percorriamo buona parte del tragitto su strade alternative in terra battuta. Terra poco battuta. Colonne di polvere bianca sollevate da ogni mezzo. Inutile preoccuparsene, tanto in Bolivia respireremo polvere tutto il tempo. Ho tossito per una settimana intera al ritorno dal mio viaggio… Negli spostamenti alternativi si passa in mezzo a villaggi fatti di case di fango e paglia. O di mattoni quando va bene.

Ma arrivare a Tupiza migliora di poco la situazione. Tupiza è una città di 35000 abitanti. Povera. Punto. Comunque è sempre la festa nazionale e sono tutti in giro. C’è una grigliata all’aperto dove ci invitano a mangiare per pochi bolivianos.

Questo viaggio ci ha visto cambiare spesso valuta. Ne abbiamo dovute gestire cinque in tutto e sempre due in contemporanea. Questo perchè Argentina, Bolivia e Cile hanno le loro monete, rispettivamente il peso argentino, quello boliviano e quello cileno. In più gli alberghi in Argentina volevano essere pagati solo in euro. Mentre quelli in Bolivia e Cile solo in dollari.

Dopo aver mangiucchiato qualcosa facciamo un giro per Plaza de la Independencia, dove si affacciano i palazzi governativi e la Catedral de Nuestra Señora de la Candelaria. Entrando negli edifici pubblici si ha l’impressione che non siano stati più curati dal ritiro delle truppe coloniali spagnole 🤷🏻‍♂️

Tupiza comunque è una meta turistica importante. Per due motivi. Il primo sono le spettacolari quattro quebradas che la circondano. Mentre il secondo è che qui furono uccisi nel 1908 i famosi banditi statunitensi Butch Cassidy e Sundance Kid.

Prendiamo alloggio nell’Hotel Anexo Mitru (link qui). Roba di lusso. Non scherzo: abbiamo l’acqua calda! A Tupiza è già tanto avere l’acqua corrente, figuriamoci quella calda. Non vediamo però termosifoni. Scioccamente lo facciamo notare al ragazzo che ci accompagna. Ci rassicura: il sole riscalda le stanze di giorno. E poi di notte con le quattro coperte annesse al letto debbo dire che dormo bene!!! 

La sera il gruppo si divide. Molti vogliono mangiare pasta. Io e pochi altri decidiamo di tentare la sorte in una griglieria. Che è in pratica letteralmente un garage al cui ingresso c’è questo grill dove vengono arrostiti polli e bistecche. Il locale è pieno di tavoli e gente che mangia ed il fumo della brace aleggia sul tutto. Il retro della sala si apre con una porta in un cortile interno dove si svolge una festa di compleanno. E’ sempre il giorno della festa nazionale ed una famiglia locale ci invita a sederci con loro. Siamo troppi ed alla fine il gestore ci divide e finiamo tutti a tavola con altre persone. Io finisco a quello di una coppietta di turisti. Lui è italiano, di Roma, lei spagnola. Vivono a Roma, zona EUR dicono. Vengono dal nord della Bolivia, si chiacchiera, ci raccontano un po’ di cose su cosa fare a Potosì e a fine serata ci si saluta. Uno di quei classici Incontri fugaci con persone che non vedrai mai più. Errore! A settembre sono al lavoro nella sala d’attesa di un ambulatorio in zona EUR… Una ragazza entra e mi saluta. Mi fa ti ricordi di me? A Tupiza. Io si! Come stai? Lei bene, siam tornati in tre dalla Bolivia 🤰🏻

7 agosto 2011

La mattina, prima del tour delle quebradas, facciamo due passi per Tupiza. Siamo a 3000 metri. Iniziamo ad avere le prime difficoltà dovute all’altezza. Ci stanchiamo facilmente anche a salire il basso colle che sovrasta la cittadina. Qualcuno si sente la testa un po’ leggera. Un’aspirina e passa tutto.

Ormai la popolazione è composta unicamente da etnia india. Bambini dalle gote rosse ed adulti con la pelle come il cuoio. Difficilissimi da fotografare per la solita credenza che la fotografia rubi l’anima. Le signore hanno l’usanza di portare i bambini piccoli sulle spalle, avvolti in una coperta. Abbiamo serie difficoltà ad individuare le persone di mezza età. Ci sembrano o tutti bimbi o tutti anziani. Probabilmente l’orario lavorativo e la pelle del volto cotta dal sole concorrono a darci questa sensazione. I ragazzi della Tupiza Tours (link qui) ci vengono a prendere con quattro fuoristrada – vecchi toyota diffusissimi in Bolivia per la facilità di reperire i pezzi di ricambio e di effettuare le riparazioni – per il tour delle quebradas.

Uscendo da Tupiza scendiamo nel greto del rio Tupiza, che in questa stagione è quasi in secca. Vedere le donne che lavano i panni o i loro bambini nelle sue basse acque da la misura della povertà del posto. Giriamo in lungo ed in largo le quebradas. Sono favolose. Battono anche le più belle che abbiamo visto in Argentina.

Le tappe previste sono La Torre, Quebrada Seca, Cañón del Duende, El Toroyoj, Quebrada de Palmira, Puerta del Diablo, Valle de los Machos, Cañón del Inca, Poronga, Quebrada de Palala, Camino al Sillar ed il Mirador del Sillar. Questa la lista che ci forniscono i driver ma poi senza punti di riferimento è difficile distinguere una fotografia dall’altra, un luogo dall’altro. Incrociamo anche una ferrovia. I nostri driver ci rassicurano, oggi è domenica ed i treni non viaggiano in Bolivia. D’obbligo la foto stesi sui binari 🚂

Assistiamo anche ad una gara di motocross. Buona parte del pubblico è qui in alto sul mirador. Giù quattro ragazzi corrono sulle loro motociclette e si sfidano su tre giri del percorso. Sul mirador è pieno di bimbi che corrono di quà e di là. Odiosi! Noi al massimo arranchiamo piano piano 🤪 L’altezza si fa sentire…

A fine giornata ci portano sul mirador più alto, a 3600 metri, per godere del panorama. Scendo dall’auto e salto un respiro. Una sensazione strana: io ho inspirato, ma l’aria non è entrata. Mi appoggio con la schiena ad una delle jeep, calmo il cuore che ha aumentato i battiti e mi ripeto: Paolo, sapevi che poteva succedere, basta respirare con calma e passa tutto. Respiro con calma ed infatti passa tutto. Sensazione proprio strana. Poi da Potosì in poi, passati i 4000 metri, sarà la mia condizione normale e mi ci abituerò. Un affanno casuale che passa fermandosi un momento.

8 agosto 2011

La mattina lasciamo Tupiza per raggiungere Potosì. Anche in questo caso con un bus privato che condividiamo sempre con l’altro gruppo di Avventure. Anche in questo caso il tragitto presenta molte deviazioni per l’impercorribilità della strada principale. Ad ora di pranzo ci fermiamo in un villaggio polveroso. Ci sono delle signore che cucinano lungo la strada per i viandanti. Prendiamo un piatto di plastica e ci servono della pasta che mangiamo in piedi. A parte l’abbondanza di cumino è molto buona.

In un viaggio come questo le alternative sono sempre due: o mangiare il cibo di strada o andare in qualche chiosco per comprare prodotti confezionati. Ma spesso sono prodotti d’importazione già scaduti e chissà come stipati per arrivare fin qui. Personalmente consiglio vivamente di mangiare il cibo locale (pasta, empanadas, ecc). Sono pietanze cotte e potenzialmente più sicure.

Arrivati a Potosì prendiamo le stanze al San Marcos Hostal (link qui). È una palazzina stretta ed alta con le stanze distribuite sui quattro piani. Cavallerescamente cediamo alle ragazze le stanze più in basso e ci giochiamo tra maschietti quelle ai piani alti. Mi dice sfiga! Mi tocca quella al quarto piano. Ok, siamo in due ad averla vinta. Solleviamo i bagagli di peso e saliamo le scale (ovviamente non c’è ascensore). Entriamo in stanza, poggiamo i bagagli e passiamo un quarto d’ora d’orologio sul letto con un affanno tipo enfisema!!! Ormai abbiamo scavallato definitivamente i 4000 metri e bisognerebbe evitare sforzi. Recuperato il fiato controlliamo la stanza. L’acqua calda c’è. Il riscaldamento pure. Siamo dotati di una stufetta a gas. Di quelle che a prima vista hanno un doppio uso: riscaldamento o attentato terroristico 💣 Tocca accenderla quando ritorneremo la sera in stanza e spegnerla prima di addormentarsi, oppure il nostro viaggio finirà sicuramente qui. Prima di uscire ci affacciamo dalla finestra e davanti a noi si erge il Cerro Rico de Potosí, le famose miniere d’argento.

Andiamo a farci un giro per Potosì, tanto siamo vicini al centro. Potosì è una città asma-friendly 🤪 Costruita tra i 4000 ed i 4300 metri di altezza presenta strade dalle salite ripide, percorse da vecchie auto ed autobus con emissioni euro 0 💨 Praticamente se non soffochi per il poco ossigeno, soffochi per lo smog 🤷🏻‍♂️ Mentre boccheggi puoi comunque godere della bella architettura coloniale spagnola degli edifici del centro storico. 

Arrivati nel cuore di Potosì, Plaza 10 de Noviembre, entriamo in un locale a berci un mate de coca! Praticamente anziché farci un the con le classiche bustine lo facciamo con queste bustine piene di foglie di coca sminuzzate. La bevanda è verde ed amarognola e non ha nessun effetto sul nostro affanno. (Spoiler: il giorno dopo scopriremmo il perché). Facciamo anche gli spiritosi come potete vedere dal breve clip sopra 🤪

Potosì è una città popolosa, piena zeppa di collegi religiosi dove affluiscono per studiare anche i bambini del circondario. Quando escono da scuola le piazze e le vie sono zeppe di ragazzi con le divise della scuola.

Ad un certo punto abbiamo un’idea geniale! A posteriori l’ho attribuita alla carenza d’ossigeno 😂 Abbiamo deciso di salire sul campanile di una chiesa per godere del panorama! Volevamo morì 🤪 Un calvario 😂

Giretto finale, cena e poi a nanna che domani sarà una giornata importante: si andrà nelle miniere!

9 agosto 2011

Potosì deve la sua fama alle miniere d’argento. Nelle viscere del Cerro Rico de Potosí, il monte sotto cui e per cui sorge la città, c’era la vena argentifera più ricca del Sud America. Buona parte dell’argento che la Spagna ha ricavato dalle sue colonie nel Nuovo Mondo proveniva da queste miniere. Erano così ricche che ad un certo punto fu costruita una zecca per poter inviare più agevolmente monete e lingotti d’argento in Spagna. Ci viene spiegato che quella ricchissima vena è ormai quasi esaurita. I minatori si sono costituiti in cooperative ed estraggono il poco argento rimasto più altri minerali, confidando di riuscire a scoprire una nuova vena. Il programma della mattina prevede la visita ad una di queste miniere. Ci vengono a prendere due minatori ed iniziano le spiegazioni preparatorie.

Intanto è buona norma portare dei doni ai minatori giù in miniera. Andiamo al mercato e compriamo dell’alcool quasi puro che spacciano per una bevanda. Delle sigarette e delle foglie di coca. E finalmente ci spiegano questa storia delle foglie di coca. Allora, per avere un effetto farmacologico dalle foglie di coca bisogna ruminarne un notevole quantitativo. Questi girano con buste di foglie di coca e hanno sempre un bolo in una guancia. Li vedi da lontano con questa guancia gonfia per le foglie. Ma non basta. In bocca devi tenere anche un sassolino. Ci elencano tre tipi di minerali che catalizzano l’estrazione del principio attivo dalle foglie. Io non faccio in tempo ad appuntameli e quindi questa parte resterà un mistero 🤷🏻‍♂️ In conclusione potete anche bervi termos di mate de coca ma non vi farà nulla. I minatori mangiano solo due volte al giorno: a colazione e a cena. Non mangiano mai in miniera. Ruminare la coca non solo li mantiene svegli ed attivi ma gli toglie anche la fame. Comprati i regali e date le spiegazioni ci portano a cambiarci. Cioè ad indossare delle tute da miniera, caschetto, mascherina e stivali.

Quello del minatore è un lavoro ambito perché la paga è alta. L’aspettativa di vita ci dicono sia di quindici anni. Poi la silicosi falcia le vite. Se prima non è stato un crollo a mettervi fine. Meditabondi su tutto ciò, saliamo sul pulmino e raggiungiamo l’ingresso della nostra miniera a 4500 metri.

L’ingresso della miniera è letteralmente un buco nella montagna. Piccolo, basso e nero come la pece. La differenza tra questi minatori e quelli dell’Ottocento è che questi hanno una torcia a batteria sul casco anziché una fiammella ed un martello pneumatico anziché un piccone. Tutto qui. L’ingresso è proprio basso. Ci pieghiamo in due ed andiamo. Ma qui si striscia ed io vado in iperventilazione. Inverto la marcia ed esco. C’è troppo poco ossigeno per me. Non sono il solo del gruppo a dover rinunciare. Fuori si alternano gruppi di minatori che fanno pausa rimpinzandosi di foglie di coca. Poi chi si mette sulla testa una maglia a cui ha praticato dei buchi per gli occhi, chi tira su una bandana su bocca e naso e si rientra.

Quando il gruppo esce dalle viscere della terra hanno le orecchie che fischiano. La miniera non è un posto turistico e hanno brillato ben quattro mine durante il loro tour. Chi è sceso condivide le foto e ve ne mostro qualcuna. Quella statua decorata dovrebbe essere una specie di tributo ad un demone che dovrebbe proteggere i minatori.

Il pomeriggio visitiamo la Casa National de la Moneda, la zecca, ora trasformata in un museo. Una visita molto interessante, dopo la quale ci concediamo un’ultima passeggiata per le strade di Potosì.

10 agosto 2011

Lasciamo di nuovo con un bus privato Potosì per raggiungere Uyuni. Uyuni è una sperduta cittadina dell’altopiano che dà nome al più grande lago salato del mondo:il Salar de Uyuni appunto. Per la cronaca il secondo salar del mondo è il Salt Lake dello Utah. Poi viene il Salar de Atacama che visiteremo quando arriveremo in Cile.

Il Salar de Uyuni è così grande da poter essere visto dallo spazio senza problemi. Non ci credete? Guardate qui su la mappa di prima nella sua versione satellitare!

Enorme, bianchissimo, abbacinante. Gli occhiali da sole saranno obbligatori quando saremo nel salar. Guardarlo mentre scendiamo dai monti verso Uyuni è impressionante. Arrivati ad Uyuni prendiamo posto all’Hotel Girasoles (link qui).

Passiamo il pomeriggio in giro per la cittadina. È piena di turisti francesi e danesi. La cosa ci sembra strana, è da Salta in Argentina che ci siamo abituati a non vedere turismo “di massa”, sebbene qui i numeri siano così relativi che difficilmente si potrebbe definire veramente questo turismo come di massa. Ormai siamo scesi a 3600 metri. Si boccheggia notevolmente meno…

11 agosto 2011

La mattina vengono a prenderci quattro macchine della Tupiza Tours (link qui). Per i prossimi quattro giorni finiranno le comodità perché per visitare il Salar de Uyuni e le lagune d’alta quota non c’è altra soluzione che dormire nei rifugi. Noi siamo quattordici persone. Ogni macchina ha il suo autista e abbiamo due cucinere (cuoche) al seguito. Abbiamo a bordo: pezzi di ricambio per le auto, cibo per quattro giorni, sacchi a pelo (affittatici dalla Tupiza Tours), carburante di riserva. Una volta entrati nel salar non ci saranno più strade e saremmo affidati alla conoscenza del territorio dei nostri autisti. Per i prossimi quattro giorni ci laveremo relativamente poco. L’acqua nei rifugi non è riscaldata. E, mentre di giorno la temperatura raggiunge in media i 15 gradi, di notte precipita almeno a -5.

Ci fermiamo nella periferia di Uyuni per visitare il Cementerio de Trenes di Uyuni. Un po’ di storia. Alla sua indipendenza la Bolivia contava un territorio doppio dell’attuale. Possedeva uno sbocco sull’Oceano Pacifico tramite il porto di Antofagasta ed quella striscia di territorio che comprende il deserto di Atacama. Però poi la Bolivia è riuscita a perdere tutte le guerre a cui ha partecipato. Non paga di essere già stata sconfitta dal Paraguay (che raddoppiò il suo territorio con la vittoria), alleata del Perù scese in guerra contro il Cile. I cileni sono incazzosi, ragazzi! Sconfissero la Bolivia ed invasero il Perù. Conseguenza? Perdita dell’Atacama da parte della Bolivia. Da Uyuni partiva questa ferrovia che trasportava i minerali estratti dalle miniere circostanti fino ad Antofagasta (qui vicino c’è per esempio la miniera di zolfo più alta del mondo, roba sui 5000 metri). Con la sconfitta la linea ferrata fu abbandonata ed i treni lasciati alla ruggine nella stazione di Uyuni. Dove si possono ancora vedere. Ah… per completezza, ora i minerali sono trasportati via camion dalla Bolivia al Cile. Li avvistate a distanza dalla nuvola di polvere che innalzano dietro di se.

Dopo aver visitato i vagoni e le locomotive abbandonate ci avviamo verso il salar. Questa è zona militare e per accedere sostiamo ad un check point a cui consegnamo la lista dei passeggeri. E finalmente raggiungiamo il Salar de Uyuni. Il bianco è abbacinante, anche più di quello che pensavamo. Addirittura con gli occhiali da sole è difficile tenere gli occhi aperti. Le macchine hanno i vetri oscurati, cosa che ci consente di guardare il panorama con una certa tranquillità. La parte iniziale del salar è sfruttata dalla popolazione locale per raccogliere il sale superficiale e rivenderlo. Il sale è raccolto con la pala e gettato sul cassone di un camion. Roba da spaccare la schiena. L’acqua si raccoglie nelle zone scavate dando vita a delle pozze. Le guide ci spiegano che i primi tre metri sono di sale puro. Poi inizia ad essere un misto ad altri minerali.

Proseguendo verso l’interno notiamo che la superficie del salar non è piatta ma percorsa da un reticolato continuo. Ci spiegano le nostre guide che queste spaccature superficiali sono causate dall’acqua quando evapora.

Raggiungiamo un rifugio nel mezzo del salar costruito solo con blocchi di sale. In realtà scopriremo che tutti gli edifici intorno al salar sono costruiti con blocchi di sale. Per evitare che il salar si inquini adesso è proibito pernottare in questi vecchi rifugi al suo interno, ma si è obbligati a raggiungere quelli costruiti sui bordi del lago.

Dopo la sosta al rifugio raggiungiamo l’Isla Incahuasi. Incahuasi vuol dire casa degli Inca. E’ uno sperone roccioso che spunta nel centro del salar. Su questo sperone crescono dei cardones millenari e noi qui pranziamo. Lo spettacolo intorno è incredibile. Sembra di essere veramente su un isola, spersa in un mare bianchissimo.

In mancanza di punti di riferimento si perde la prospettiva e si può provare a giocare combinando figure enormi che sostengono in mano persone minuscole 😅 Tentiamo anche una foto di gruppo con salto… però visti i 3600 metri di altezza diventa più una hola che un salto vero 😂

Non ci facciamo nemmeno mancare i momenti da foto profilo, foto ricordo e foto in generale 🤪 Quello che vi posso dire è che il sale è durissimo ed è scomodissimo sedercisi sopra. Non vi dico quando ci si stende 😣

Dopo pranzo ci dirigiamo verso nord per raggiungere Coqueza, villaggio ai piedi del vulcano Tunupa. Qui risiedono diciotto famiglie che vivono di pastorizia, allevando lama. Come in tutte le case dei pastori da qui in poi la poca energia elettrica è fornita da piccoli pannelli solari. Noi ci ricarichiamo cellulari e batterie della macchine fotografiche. Loro ci alimentano delle radioline. L’avevo già detto alla Laguna de los Pozuelos: sono vite diverse dalle nostre. Molto diverse.

Tra il salar e Coqueza c’è una piccola laguna. L’acqua è salamoia, densissima. Zeppa di fenicotteri rosa. Uno spettacolo a dir poco affascinante. I fenicotteri hanno un adattamento fisiologico agli sbalzi termici (hanno pochi vasi periferici) per cui proliferano indisturbati in queste zone. Restiamo incantati fino al tramonto. Per fortuna siamo prudenti. Negli zaini abbiamo giacconi, sciarpe e quant’altro. Al calar del sole la temperatura precipita velocemente. La linea d’ombra da sola si porta via almeno dieci gradi!

Ceniamo nel rifugio costruito, come accennavo prima, con blocchi di sale e dotato di finestre raffazzonate. Avrò freddo la notte? E’ la mia prima esperienza in sacco a pelo. Siamo in tre nella stanzetta ed io mi affido ai consigli dei miei navigati compagni. Mi metto il pigiama di cotone ed il cappellino di lana e mi chiudo nel sacco a pelo. Ora, se ci si infila mezzi nudi in un sacco a pelo fatto di piume d’oca (o almeno mi sembra fatto di piume d’oca) si crea una camera d’aria e dopo un po’ il caldo si fa sentire! Le ragazze freddolose che non seguono il consiglio ed entrano vestite con tanto di giaccone non solo riposano scomodamente ma nemmeno si riscaldano. Seguite sempre i consigli delle persone più navigate di voi 😉

12 agosto 2011

La mia prima notte in sacco a pelo e per di più in quota e senza riscaldamento è andata benissimo. Ho anche avuto caldo ed ho dovuto aprire un po’ la zip del sacco per avere una temperatura ottimale. Stamane abbiamo la sveglia verso le 6 per andare a vedere sorgere il sole nel salar. Fuori si gela ❄️

Ci bardiamo di tutto punto e saliamo sulle auto. I nostri driver ci portano in un punto nel mezzo del salar e ci invitano ad attendere l’alba. Si gela pure più di prima ❄️ Forse ci sono 5 gradi sotto zero, forse meno. Non si riesce a capire. Abbiamo timore che le batterie delle macchine fotografiche abbiano problemi visto il freddo. Succede a turno infatti che qualcuna smetta di funzionare, ma basta riscaldarla in mano o negli abiti per risolvere il problema.

Sorto il sole le nostre guide ci portano sul vulcano Tunupa. Si fermano a 4000 metri e ci invitano a seguire il sentiero per una bella passeggiata. Noi ci avviamo. La passeggiata in salita è veramente molto bella, costellata da muretti a secco e pile di rocce. Le pile sono dei “segni di passaggio”. Qui le rocce si spaccano secondo delle linee rette. Ed è possibile impilarle con facilità. E allora i turisti creano queste piccole pile per testimoniare il loro passaggio. Il cono del vulcano – anzi il mezzo cono, residuo di una antica eruzione esplosiva – è multicolore con delle nevi perenni sulla cima. Pant, pant… ma quanto sono salito? Me li sarò scalati ottocento metri? Macché! Utilizzo l’altimetro dell’iPhone. Siamo – senza fiato – a 4200 metri. Crollo con buona parte del gruppo e ci riposiamo seduti su un grosso sasso. Qualcuno più resistente prosegue la salita ma nessuno riesce a superare i 4500 metri. I 5000 della cima del Tunupa ci accontentiamo di rimirarli da sotto.

Tornando indietro una delle guide ci fa entrare in una grotta dove troviamo delle mummie. Non sono le prime che vediamo, già a Salta avevamo visto delle mummie nei musei. Queste però sono davanti a noi senza una teca. La tradizione funeraria Quechua prevedeva di posizionare il morto in posizione fetale, ricoperto da un panno e sepolto sotto un cumulo di pietre. Le condizioni climatiche particolarmente favorevoli (trovatela qui l’umidità voi, con tutto quel sale intorno!) hanno fatto si che sulle Ande sia facilissima la mummificazione dei corpi.

Ritornati alle jeep rientriamo nel salar e lo percorriamo quasi tutto da nord a sud per raggiungere un secondo sperone roccioso, l’Isla Pia Pia, tra Isla Incahausi ed il bordo meridionale.

Pranziamo sull’isola e ci divertiamo ad esplorarla. Noi rimarremmo pure più a lungo ma i nostri driver ci invitano a risalire sulle auto.

Usciamo dal salar e raggiungiamo l’Hotel del Sal di Atullcha. Qui il villaggio deve essere così minuscolo che nemmeno comprendiamo se ci sia o meno. Gli hotel del sal sono strutture pensate per i turisti. Sempre fatte con blocchi di sale ed estremamente essenziali. Però… rullo di tamburi: c’è l’acqua caldaaaaaa. Docciaaaaa.

13 agosto 2011

Gli itinerari che vedete nelle mappe di Google sono di massima in queste zone. Non esistono vere strade. I nostri autisti sanno dove andare, conoscono il nome dei monti, distinguono ad occhio quale delle cime è in Bolivia e quale in Cile. Ormai ci spostiamo ad altezze notevoli. Niente piante, niente cardones. Al massimo licheni.

Passiamo per un piccolo salar, il salar de Ch’iguana. Al contrario dell’abbacinante Salar de Uyuni, questo non presenta il sale dilavato dalle piogge ed è marrone e polveroso. Proseguiamo verso le lagune d’alta quota.

Le nostre guide hanno chiamato la zona che ho cerchiato nella mappa Camino de las Joyas. Comprende la Laguna Canapa, la Laguna Hedionda, la Laguna Chiarkota, la Laguna Honda e la Laguna Ramaditas. Le lagune sono più basse del territorio circostante, sui 3600 metri. Sono molto suggestive e anch’esse piene di fenicotteri rosa.

Tra una laguna e l’altra risaliamo sempre oltre i 4000 metri. La carenza d’ossigeno ormai è così pronunciata che basta distrarsi per un attimo e fare magari uno scatto, presi dall’entusiasmo per una foto, per rimanere spezzati in due, senza fiato. Mentre ci muoviamo tra i 4000 ed i 4200 metri siamo circondati da vette che superano i 5000. Alcuni sono vulcani in attività e vediamo anche qualche pennacchio di fumo. Per raggiungere la Laguna Colorada dobbiamo passare per il valico più alto di tutti, il Deserto di Silioli, 4700 metri di altezza. Qui la settimana scorsa ha nevicato – ed il passo era chiuso – ed adesso c’è ancora neve. Paradossalmente questo è comunque il momento migliore per visitare il Salar de Uyuni e le lagune d’alta quota perché o il cielo è libero oppure nevica direttamente! Il salar nella stagione umida si presta per ottime foto essendo ricoperto da un velo d’acqua, ma bisogna anche essere molto fortunati a capitare proprio quando non stia piovendo. Il Deserto di Silioli al nostro passaggio presenta un’alternanza di banchi di neve ghiacciata e sciolta ma comunque è percorribile. Qui ormai non ci sono più neanche i licheni visto che questa zona rivaleggia con il Deserto de Atacama per essere la più arida al mondo.

Al termine del passo incontriamo, immerso nella neve, l’Árbol de Piedra. E’ una formazione rocciosa veramente singolare. Sembra veramente un enorme albero di pietra. Nonostante le raffiche di vento freddissimo ci arrampichiamo allegramente e ci tiriamo pure le palle di neve.

Ripartiamo con le auto ed iniziamo a scendere di quota. Non troppo, 4200 metri, dovessimo respirare troppo facilmente! C’è qualcosa all’orizzonte, una striscia rosso sangue. La Laguna Colorada dicono i nostri autisti. Ora, quando ti dicono che andrai ad una laguna dal colore rosso tu pensi ad una cosa tenue, tipo la spiaggia di Budelli in Sardegna. Non pensi di trovarti di fronte un colore così intenso. Raggiungiamo la laguna e fermiamo le auto su una cresta per vederla dall’alto. Scendiamo dalle auto, ma tira un vento spaventoso. Non intendo dire che tiri un vento semplicemente forte. Ma fortissimo, una bufera. Le raffiche sono tali che aprendo lo sportello te lo ritrovi sbattuto in faccia!!! Una volta usciti è difficile rimanere fermi in piedi. Soluzione: scendiamo lungo la scarpata così da essere protetti e poter rimirare lo spettacolo della laguna. E’ proprio rosso sangue – deve il colore a delle alghe – e zeppa di fenicotteri rosa. Poi ci sono anche questi bianchissimi isolotti di borace che galleggiano in alcune zone della laguna.

E’ un paesaggio alieno. Sembra di essere, che so?!? su Marte anziché sulla Terra. Non possiamo trattenerci a lungo, il sole rischia di calare e dobbiamo raggiungere il rifugio per la sera. Dormiamo a Huayllajara.

14 agosto 2011

La mattina si va a Sol de Mañana. Sol de Mañana è una zona geotermica caratterizzata da potenti fumarole. Ci sono fanghi che sobbollono, getti di vapore che si innalzano imperiosi verso il cielo. Passeggiamo lentamente tra una pozza ed una fumarola pensando alle enormi potenze che si sprigionano in questa zona della Terra.

In quattro entriamo in una delle jeep e chiediamo al driver di farci raggiungere i 5000 metri. Siamo così vicini. Lui è bravo e ci prova, tentando di risalire su qualche sperone roccioso. Li sfioriamo ma raggiungiamo “solo” 4950 metri sul livello del mare 🤷🏻‍♂️ Record del viaggio 💪🏻

Dopo una breve escursione alla Laguna Celeste ritorniamo alla Laguna Colorada. In tarda mattinata il vento non si è ancora alzato, le acque sono calme ed il colore della laguna è molto, molto meno intenso. Passeggiamo lentamente lungo le sponde della laguna godendoci il momento magico.

Dopo pranzo inizia ad alzarsi il vento. Le acque si increspano ed il colore della laguna diventa più acceso. Più aumenta la forza del vento, più intenso diventa il colore. La laguna diventa arancione! Risaliamo sulle auto giusto in tempo. Il vento è ormai fortissimo e abbatte sulla laguna un muro di polvere!

Finché non saremo vicini a Quetena Chico sarà impossibile scendere dai mezzi per il vento e la polvere che questo solleva. Quetena Chico è un poverissimo villaggio di allevatori di lama. Ospita nei pressi una base militare e questo garantisce un ripetitore per i cellulari. Dopo giorni torniamo reperibili! Passiamo in questo villaggio la nostra ultima notte in Bolivia.

15 agosto 2011

Oggi è il nostro ultimo giorno in Bolivia ed i nostri driver sono preoccupati. Sta arrivando il cattivo tempo e domani nevicherà. Ragion per cui non riposeranno stasera ma guideranno per tornare a Tupiza.

Partiamo presto per vedere le ultime lagune, tra cui la Laguna Blanca. Incrociamo anche una sorgente geotermale con la possibilità di fare un bagno caldo, cosa che certo non guasterebbe se avessimo i costumi a portata di mano!

E alla fine raggiungiamo l’ultima laguna, la Laguna Verde. Verde, proprio verde! Verde smeraldo!!! Per dei sali minerali disciolti nell’acqua ci dicono. Alle sue spalle il vulcano Licancabur, confine tra Bolivia e Cile. Come previsto dai nostri driver, per ora di pranzo il vento si alza e le nuvole iniziano ad addensarsi sulla Laguna Verde. Arriva il brutto tempo e per noi è ora di raggiungere il confine. Lo attraverseremo anche qui a piedi come quello tra Argentina e Bolivia. Sotto il vulcano, a 4000 metri, troviamo una garitta con annessa abitazione dove un soldato ci timbra i passaporti e ci estorce 7 dollari a testa per ogni timbro. C’è solo lui qui, intorno letteralmente il nulla: neve ghiacciata e gelide folate di vento che spirano dalle pendici del vulcano. Non è possibile opporsi all’estorsione e paghiamo 🤷🏻‍♂️ Abbiamo appuntamento con un mezzo cileno che dovrà accompagnarci al posto di frontiera di San Pedro de Atacama, giù a 2000 metri. Il nostro mezzo ritarda di un’ora – scopriremo poi che è stato perquisito ben benino alla dogana cilena. I nostri autisti ci fanno compagnia ed intanto si imbottiscono di foglie di coca per poter guidare tutta la notte. Finalmente arrivano i cileni, salutiamo i boliviani e ci avviamo verso San Pedro.

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