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2025

Dilijan

Nikon D750 con Nikkor 24-70 e Nikkor 70-200, iPhone 16 Pro

14 Aprile 2025

Ci avviamo verso la nostra prima meta odierna lasciando i 1200 metri di Dilijan per attraversare un altopiano a 1800 metri dove nevica abbondantemente. La strada è stata aperta dagli spazzaneve e quindi non ci sono problemi di viabilità, ma gli alberi ed il paesaggio sono coperti da un fantastico manto banco.

Bagrat ci accenna che i due villaggi che incrociamo lungo la strada tra Dilijan e Vanadzor sono abitati da stirpi di discendenza russa, emigrati quì ai tempi degli zar perchè perseguitati. Incuriosito ho approfondito per conto mio ed ho scoperto che i due villaggi di Lermontovo e Fioletovo furono fondati da cristiani spirituali detti molokani, trasferitisi dalla Russia intorno al 1840. Questa setta fu fondata da Semeon Uklein nel XVII secolo e rigettava il ritualismo e la gerarchia della Chiesa ortodossa russa ed il sistema feudale dell’Impero Russo, considerando come unica fonte di dottrina l’interpretazione della Bibbia. Ponevano enfasi sulla Quaresima e sulla Pasqua, considerando quest’ultima la loro principale ricorrenza religiosa. Il loro nome deriva dall’uso che gli adepti facevano del latte (moloko) come bevanda, dal quale invece gli ortodossi si astenevano. Costretti ad emigrare nel Caucaso dal regime zarista, i molokani si sono stabiliti in questa zona dell’Armenia mantenendo ancora oggi la loro fede e le loro tradizioni (tipo le barbe lunghe degli anziani e la tendenza a sposarsi tra correligionari).

Attraversiamo Vanadzor (ritrovandoci per l’ennesima volta in Unione Sovietica) per lasciare spazio ad una pioggerellina che si interromperà velocemente.

Raggiungiamo quindi il Monastero di Sanahin la cui chiesa di Surp Astvatsatsin risale al 928 d.C. mentre la biblioteca al 1062 d.C. Sul nome dei due monasteri quasi coevi di Sanahin (che vuol dire “è più antico dell’altro”) e Haghpat (“pietra squadrata”) esiste una leggenda che narra di una disputa nata tra il mastro artigiano, chiamato dal principe per costruire un monastero a Sanahin, e suo figlio. A causa della lite, il figlio smise di lavorare con il padre e si diresse nel villaggio vicino per costruire un ulteriore monastero su ordine di un altro principe. Un giorno, il mastro artigiano, avvisato dai suoi operai della poderosa struttura nel vicino villaggio, raggiunse il figlio e avvicinandosi alle mura del monastero in costruzione lo osservò a lungo senza proferire parola. Improvvisamente, appoggiato il piede su uno dei muri della struttura, esordì dicendo esclusivamente “hagh pat” – che significa “muro possente”. Detto questo, il mastro abbracciò il figlio per riconciliarsi con lui e da quel giorno il nome del monastero rimase Haghpat. Per questo il monastero costruito dal padre venne chiamato Sanahin, che significa appunto “è più antico dell’altro”.

Anche qui la chiesa principale è la Chiesa di Surb Astvatsatsin preceduta da un imponente gavit a tre navate dal pavimento pieno di tombe e con due enormi khachkar al suo esterno. Questo gavit comunica con un secondo gavit, anch’esso imponente, che permette l’accesso alla Chiesa di Surb Amenaprkitch (Santo Salvatore).

Nel XII secolo nel monastero fu istituita una scuola di medicina ed il corridoio che separa le due chiese fu trasformato nella relativa accademia. Secondo la tradizione, era qui che Grigor Magistros teneva lezione agli studenti, seduti sui banchi di pietra allineati su entrambi i lati del corridoio. Alle spalle di questo complesso si erge la Cappella di San Gregorio ed il matenadaran, la biblioteca. Questa è la biblioteca più antica dell’Armenia e la più grande in termini di disposizione degli spazi.

Alle spalle del monastero si estende il cimitero che ospita anche la tomba della dinastia Zakaryan, la dinastia che governava questa zona come vassalla del Regno di Georgia nel XIII secolo.

Ci spostiamo al Monastero di Haghpat, da cui col bel tempo si potrebbe vedere quello di Sanahin… ma non oggi 😶‍🌫️ Siamo già fortunati che non piova 😂 Il monastero fu fondato dalla regina Khosrovanuysh, moglie del re bagratide Ashot III, probabilmente nel 976.

Nel corso dei secoli Haghpat è stato uno dei più grandi centri culturali armeni, con una ricca collezione di manoscritti religiosi, filosofici e scientifici. Possedeva locali adibiti a biblioteca, refettorio e università dove i monaci potevano studiare medicina, astronomia, musica e letteratura arrivando ad ospitare circa 500 religiosi.

Per accedere alla chiesa di Surb Nshan, edificata dai regnanti in onore dei loro figli Smbat e Kiurike, bisogna attraversare un imponente gavit costruito nei primi anni del 1200 dall’abate Hovhannes di Khachen e con uno spettacolare pavimento ricoperto di lapidi appartenenti a figure principesche. Il gavit con i suoi meravigliosi archi incrociati dà un’idea di imponenza e solidità incredibili. La tradizione vuole che la Chiesa di Surb Nshan sia stata costruita da Trdat, l’architetto più straordinario della storia armena, il quale venne anche invitato a Costantinopoli per riparare la cupola della chiesa di Santa Sofia danneggiata da un terremoto. L’altare maggiore e le pareti della chiesa conservano ancora alcuni dei meravigliosi affreschi che un tempo decoravano il suo interno. Ammiriamo soprattutto la composizione nell’abside che rappresenta il Cristo Pantocratore. Ahimè gli altri affreschi invece ci sono quasi del tutto celati dalla tenda tirata a nascondere l’altare durante le celebrazioni pasquali.

Nella chiesa armena la tenda corrisponde all’iconostasi della chiesa ortodossa e serve a delimitare lo spazio più sacro della chiesa dove di norma hanno accesso solo i religiosi.

Altro edificio di interesse è il Matenadaran – la biblioteca – che venne costruito a pianta quadrata tra il 1258 e il 1262 e  presenta un soffitto con archi in pietra a sezione trasversale. Il Matenadaran venne successivamente trasformato in una cantina con fori scavati sul pavimento che fungevano anche da celle vinicole.

Nel complesso si trova la Cappella di Hamazasp che prende il nome del vescovo che fu abate del monastero. Presenta un gavit costruito a metà del 1200 che con i suoi 330 metri quadrati è il più grande di tutta l’Armenia. Questo gavit non appartiene ad alcuna chiesa ma è un edificio indipendente. Il suo soffitto è sostenuto da archi che si estendono da quattro colonne centrali a pilastri sulle pareti perimetrali e la campata centrale è rialzata come una cupola ottagonale a forma di volta di chiostro chiamata yerdik.

Nel monastero è possibile anche ammirare il khachkar di Amenaprkich (del Salvatore), una croce di pietra scolpita dallo scultore Vahram a metà del XIII secolo per una figlia della famiglia nobile armena Artsruni. È uno dei rari khachkar ad avere il cristo rappresentato sulla croce e sebbene risalga al 1291 d.C. per l’espressività del volto viene considerata di fattura neorinascimentale più che strettamente medioevale.

Ci spostiamo per pranzo nel vicino Kefilyan Family Restaurant (link qui) proprio nel momento in cui decide di mettersi a piovere 🤪

Torniamo sul pulmino per percorrere il tragitto a ritroso: prima Vanadzor piccola URSS e poi di nuovo sull’altopiano innevato.

Arrivati a Dilijan andiamo a visitare la città vecchia, dalle cui terrazze si può dominare l’incantevole paesaggio che circonda la città e che l’ha resa una meta turistica ambita soprattutto ai tempi dell’Unione Sovietica, tanto da meritarsi l’appellativo di Piccola Svizzera.

Il centro storico è stato completamente restaurato dopo anni di abbandono per merito dell’artista Hovhannes Sharambeyan (link qui). Sharambeyan dedicò più di trent’anni della sua vita a quest’opera immane, ispirandosi a litografie ottocentesche per recuperare appieno i portici ed i balconi lignei di queste case. Nella strada principale del quartiere, che porta il suo nome, si affacciano le botteghe di vari artigiani di cui è possibile ammirare il lavoro ed acquistarne il frutto.

Dopo un giro lungo la via storica e qualche acquisto torniamo sulla via principale grazie ad una scalinata in pietra decorata da due leoni ed un piccola fontana, scalinata costruita dai sovietici tra il 1948 ed il 1949 (con tanto di targa a memoria) che ci porta all’altezza del Museo delle Tradizioni Locali. Finito il giro ci fermiamo nella città vecchia per un brandy ristoratore per poi di tornare alla nostra guest house per la cena ed un meritato riposo.

15 aprile 2025

Buongiorno! Stamane nevica anche a Dilijan ❄️ Ci inerpichiamo col pulmino nello splendido Parco Nazionale di Dilijan per raggiungere il Monastero di Haghartsin. Anche qui ha nevicato e lo spettacolo dei tetti delle chiese coperte di un manto bianco con i monti alle spalle è estremamente suggestivo. La fondazione del monastero risale al X secolo sebbene sia solo nel XIII secolo che viene menzionato tra i principali centri culturali armeni.

Mentre cade una leggera pioggerellina visitiamo il refettorio. Edificato dall’architetto Minas nel 1248, si presenta suddiviso tramite dei pilastri in due parti a pianta quadrata. Nella sala più interna sono presenti dei grandi tavoli e delle sedie in legno dove tenere i ricevimenti dopo i matrimoni o i battesimi che avvengono al monastero. Le mura sono spoglie mentre le prese di luce sul soffitto sono l’unica zona decorata, nello specifico a muqarnaṣ, il classico motivo architettonico islamico.

Torniamo all’esterno e visitiamo la Chiesa di Surb Grigor (San Gregorio), la struttura più antica del complesso, accessibile tramite il suo gavit, più grande della chiesa stessa.

Nel frattempo ha ripreso a nevicare e ci godiamo la scena alle spalle della Chiesa di Surb Astvatsatsin dove sorge il tronco di un albero di noce del XIII secolo distrutto da un fulmine nel 2013 e un antico khachkar. Ispirati da tanta magia attraversiamo il gavit ormai crollato della chiesa per entrare nel luogo sacro, dove troviamo un monaco intento a cantare le laudi.

Terminiamo la visita nella Chiesa di Surb Stepanos (Santo Stefano), l’edificio più piccolo del complesso, datato al 1244. Incantati dal contrasto tra gli alberi in fiore e la nevicata tardiva ci attardiamo a goderci appieno questo scenario un po’ magico, dopodiché veniamo richiamati all’ordine da Bagrat e torniamo sul pulmino.

Scendiamo di quota per raggiungere il Monastero di Goshavank. Quì niente neve, solo una occasionale pioggerellina che va e viene. La struttura risale al XII-XIII secolo e fu eretta al posto di un monastero più antico, un tempo noto come Nor Getik, che era stato distrutto da un terremoto nel 1188. Mkhitar Gosh, statista, scienziato e autore di numerose favole e parabole, nonché del primo codice penale armeno, prese parte alla ricostruzione del monastero e qui fondò la sua scuola. Visitiamo per prima la Chiesa di Grigor Lusavorich, soffermandoci sul fantastico khachkar ricamato di Poros (Paolo) conservato al suo esterno.

Come spesso accade anche qui la struttura principale è la Chiesa di Surb Astvatsatsin e anche qui troviamo un monaco intento a cantare le laudi. Terminiamo la visita con il matenadaran sormontato dal campanile.

Riprendiamo la strada verso sud col pulmino e ci fermiamo per pranzo lungo la via al Food Court Tsovagyugh che, come l’altra food court dove abbiamo avuto occasione di pranzare nel sud, si rivela un posto dove mangiare bene e a buon prezzo.

Dopo pranzo raggiungiamo le rive del Lago Sevan, il più grande lago dell’Armenia ed uno dei più grandi laghi d’alta quota al mondo (siamo a 1900 metri), per visitare il Monastero di Sevanavank. Il monastero sorge su quella che una volta era un’isola prospiciente la costa del lago. Poi le acque sono calate di circa venti metri a causa di un drenaggio artificiale iniziato all’epoca di Stalin (ricordate i carri lignei con funzione sepolcrale risalenti all’Età del Bronzo esposti al Museo di Storia ritrovati per lo stesso motivo?) ed oggi il monastero sorge su una penisola. Bagrat ci spiega che la strada che la collega alla terraferma fu costruita in epoca sovietica ma non per permettere l’accesso al monastero (che come tutti gli edifici sacri era stato nazionalizzato e sconsacrato) ma per permettere di raggiungere le numerose pensioni costruite in questo luogo ameno – la più famosa delle quali è la pensione dell’Unione degli Scrittori di Armenia. I sovietici avevano addirittura distrutto una chiesa a valle del promontorio per utilizzarne il materiale nella costruzione di alcuni di questi edifici.

Secondo una iscrizione il monastero fu fondato nell’874 dalla principessa Mariam, figlia di Ashot I. Era un monastero dalla regola molto rigorosa perchè destinato principalmente a quei monaci di Etchmiadzin che avessero peccato. La Chiesa di Surp Arakelots (Santi Apostoli) è preceduta dalle rovine di un gavit il cui tetto era originariamente sostenuto da sei colonne dai capitelli in legno intagliato. Numerosi i resti di khachkar conservati nel perimetro del gavit, suggestivamente coperti di neve. La leggenda narra che l’abate avesse avuto in sogno la visione dei dodici apostoli che camminavano sulle acque del lago indicando dove volessero far sorgere la loro chiesa. Questa presenta una struttura a pianta cruciforme ed al suo interno ammiriamo una rara (per la chiesa armena) iconostasi ed un khachkar dai ricchi decori.

Visitiamo anche la Chiesa di Surp Astvatsatsin, dalla pianta simile alla prima ma molto spoglia e saliamo sulla cima del colle per ammirare il panorama e… la neve che riprende a scendere!

Bene, basta pioggia e freddo… è ora di scendere agli 800 metri di Yerevan per tornare alla primavera. Riprendiamo alloggio all’Ani Central Inn (link qui) e parto in spedizione per vedere un po’ della città.

Prima tappa l’Armenian Market (link qui), noto anche come Gum o Gumi Shuka, un grande mercato coperto dove acquistare di tutto, dai dolciumi ed i brandy tipici dell’Armenia da portare a casa come souvenir alla spesa di tutti i giorni.

Vado poi a visitare l’interno della Cattedrale di Yerevan. Bagrat ci aveva anticipato che la sua architettura moderna non poteva reggere il confronto con lo splendore degli antichi monasteri, però debbo dire che a me è piaciuta.

Colto poi da un profondo desiderio di brutalismo architettonico sovietico, non pago del prospiciente Rossia Cinema torno a Piazza della Repubblica. Lì fotografo la Flower Fontain, una fontana a forma di fiore che adorna la piazza ipogea all’ingresso della metropolitana. Presa la metro scendo alla successiva stazione di Yeritasardakan. Inaugurata nel 1981 consiste in un tunnel che sfonda il piazzale e riemerge dal suolo come i resti di un relitto urbano. Alle sue spalle il Parco Poplavok pieno di verde e di opere d’arte.

Proseguo a piedi fino alla Cascata ma stavolta anziché salirla a piedi entro nel Centro per le Arti di Cafesjian (link qui) che si estende all’interno della collina al lato della Cascata stessa, collegando però i vari livelli con comodissime scale mobili! Riprendo così la visita dal punto in cui l’avevo interrotta il primo giorno e salgo fin sul brutalissimo Monumento del Cinquantesimo Anniversario dell’Armenia Sovietica, un obelisco sormontato da una spiga di grano poggiato su una nuda lastra in basalto, adagiati su un sistema a due terrazze sovrastante la città.

Dopo un breve giro oltre il monumento torno sui miei passi per riunirmi col gruppo e cenare tutti insieme all’Artashi Mot (link qui).

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