12 Aprile 2025

Oggi iniziamo il nostro tour dell’Armenia e lasciamo Yerevan in direzione sud. Attraversiamo senza fermarci il paesino di Artašat che per 350 anni fu la capitale del Regno d’Armenia sotto la dinastia artasside.





La nostra prima meta è il Monastero di Khor Virap. Questo è uno dei più importanti monasteri dell’Armenia per due motivi. Il primo è la sua posizione da foto cartolina: il monastero si erge su un colle isolato nella pianura, con il Monte Ararat ad incorniciarne lo sfondo. Il confine con la Turchia corre proprio a ridosso del monastero, che così è diventato il punto del territorio armeno oggi più vicino all’Ararat, il simbolo nazionale degli armeni. Affacciandoci dalla terrazza vediamo la recinzione che delimita i due stati ed un minareto in territorio turco.





L’altro motivo a cui deve la sua fama è molto più importante. E quì entra in scena la figura di Gregorio l’Illuminatore, apostolo degli armeni, fondatore e santo patrono della Chiesa apostolica armena. Gregorio apparteneva alla dinastia reale degli Arsacidi ma la sua famiglia dovette riparare in Cappadocia dopo che il padre Anak aveva assassinato il re Cosroe I. Alla maggiore età Gregorio decise di tornare in Armenia per predicare la religione cristiana. Il re Tiridate III era contrario a quest’opera di evangelizzazione ed ordinò d’imprigionare Gregorio nella fortezza-prigione di Khor Virap, dove il predicatore rimase per ben tredici anni in un pozzo. La leggenda cristiana vuole che a seguito delle sue persecuzioni contro i cristiani, il re armeno venisse colto da una terribile malattia, dalla quale nessun medico di corte riusciva a curarlo. Quando la sorella del re ebbe un sogno che le parlò dei poteri miracolosi del predicatore imprigionato nelle segrete, il re rifiutò inizialmente la proposta, ma alla fine cedette e venne guarito prontamente per intercessione di Gregorio. Tiridate III, la sua famiglia e la sua corte furono battezzati nel 301 d.C. e decretarono che gli armeni – primo popolo della storia – adottassero il cristianesimo come religione di Stato.
Oggi sulla collina sorge un piccolo monastero del XVII secolo, composto dalla Chiesa di Surb Astvatsatsin (Santa Madre di Dio in armeno) del 1661 e caratterizzata da un tamburo ed una cupola segmentati in dodici lati. L’altra struttura del monastero è la Cappella di Surb Gevorg (San Giorgio), caratterizzata da un magnifico portale in pietra finemente decorata. Al suo interno si trovano due fori nel pavimento attraverso i quali si può scendere nella cella della grotta in cui si dice sia stato imprigionato Gregorio e in un’altra cella sotterranea simile.



Proseguiamo il viaggio lungo una zona montuosa che costeggia il confine con il Naxçıvan, l’excalve azera incastonata tra Armenia e Turchia. Bagrat ci spiega che anche qui, come con la Turchia e l’Azerbaigian, i confini sono chiusi, sebbene in questa zona montuosa proprio non esistano strade o valichi di alcun tipo.





Seconda tappa della mattina il Monastero di Noravank. Per raggiungerlo ci inoltriamo in una gola dalle pareti a picco di color rosso mattone e dal basso vediamo che lo stesso monastero è incastonato in alto su uno dei contrafforti della gola. Il monastero, fondato dal vescovo Hovhannes nel 1105 d.C. consiste in due chiese del tredicesimo secolo circondate da un muro di cinta. Nel tredicesimo e quattordicesimo secolo il monastero divenne la residenza dei vescovi di Syunik e di conseguenza un importante centro religioso e culturale. Come molto spesso vedremo la parte monastica di questi monasteri non esiste più, per cui ciò che rimane sono solo le chiese. La chiesa principale del complesso è Surb Astvatsatsin (Santa Madre di Dio), chiamata anche Burtelashen (costruzione di Burtel) in onore del principe Burtel Orbelian, suo finanziatore.
La Casata degli Orbelian era una famiglia nobile che ha dominato a lungo le province di Vayots Dzor e Syunik e la cui saga fu narrata dal vescovo Stepanos Orbelian, nella sua Storia di Syunik del 1297 d.C.
La chiesa di Surb Astvatsatsin fu completata nel 1339 d.C. ed è un capolavoro del talentuoso scultore e miniaturista Momik. La chiesa è organizzata su due piani, con l’accesso al secondo garantito da una stretta scala di pietre sporgenti dalla facciata della costruzione. L’unica parte non originale della struttura è la cupola che, crollata a seguito di un terremoto, è stata ricostruita basandosi sui frammenti rimasti – sebbene la ricostruzione sia stata tacciata di essere comunque non fedele.
Momik è stato un architetto, scultore (famoso per i suoi raffinati khachkar) e maestro di manoscritti miniati armeni. Ricoprì un ruolo di rilievo presso la Scuola di Manoscritti Miniati di Gladzor a Syunik, fondata sotto il patrocinio dello storico della famiglia Orbelian, Stepanos Orbelian.





L’altra struttura presente è la Chiesa Surb Karapet (San Giovanni Battista). Sull’architrave esterno ammiriamo una splendida decorazione della Vergine seduta su un tappeto con il Bambino e affiancata da due santi.





All’interno del gavit, posto al lato della chiesa, troviamo due khachkar riccamente decorati e, a terra, delle lapidi incise. Colpisce la nostra attenzione una di queste che rappresenta il defunto come un leone, con tanto di coda e criniera!
Come già accennato il khachkar è un cippo funerario finemente scolpito tipico della cultura armena. In genere presenta una croce e nella parte basale un rosone o un disco solare mentre il resto della scultura è ricco di foglie, grappoli d’uva o disegni astratti. Il gavit invece è un atrio che funge o da ingresso della chiesa o da sala di riunione ed anch’esso è esclusivo dell’architettura sacra armena.





Abbiamo lasciato il sole a Yerevan ed oggi e nei prossimi giorni avremo un meteo variabile a causa di una perturbazione che interessa tutto il Caucaso. Durante la nostra visita ogni tanto pioviggina ma questo rende l’atmosfera molto più suggestiva. Riusciamo comunque a visitare le due chiese senza problemi ed anche ad ammirare alcuni khachkar conservati nel cortile delle chiese, il più famoso dei quali è quello scolpito da Momik nel 1308.
Dopo una veloce sosta per pranzo alla Vayk Food Court (link qui) – dove guardandoci in giro iniziamo a notare come nelle zone rurali le case abbiano ancora molti tetti rivestiti in amianto – proseguiamo inerpicandoci sui contrafforti del monte Amulsar ed incontrando la prima neve lungo la strada.





Raggiungiamo Zorats Karer (noto anche come Carahunge) con un meteo più clemente, freddo e con una pioggerella che smette presto. Ci troviamo in un sito archeologico preistorico posto nei pressi della cittadina di Sisian, nella provincia di Syunik, noto anche come la Stonehenge armena! Si tratta di una serie di menhir organizzati in un cerchio centrale e due bracci che puntano a nord e a sud. I menhir possono arrivare fino a tre metri di altezza e pesare fino a dieci tonnellate. Sono in roccia basaltica, ricoperti spesso da muschi e licheni. La caratteristica unica di questi menhir è che molti di loro presentano dei fori circolari dalla funzione tutt’ora sconosciuta. Varie le teorie avanzate nel tempo dagli archeologi, dalla funzione sepolcrale a quella astronomica (quest’ultima teoria sostenuta dall’archeologo Elma Parsamyan e dal radiofisico Paris Herouni) anche se nessuno ha finora trovato evidenze chiare sul reale utilizzo del sito.





Lasciato Zorats Karer raggiungiamo Goris, dove prendiamo le nostre stanze all’Hotel Mina (link qui). Dato che siamo arrivati presto usciamo per fare due passi e ci ritroviamo nella cara, vecchia Unione Sovietica con condomini squadrati e tristi o viuzze costellate di baracche! Visto che non c’è nulla da vedere e che il meteo è sempre rigido ci rifugiamo al Redroof Lounge Bar (link qui) per un tè e due chiacchiere al caldo. Ceniamo nel ristorante del nostro hotel.
13 Aprile 2025

Stamane il meteo sembrerebbe pessimo per la nostra escursione: per raggiungere il monastero di Tatev dobbiamo prendere una cabinovia e lungo la strada c’è nebbia dappertutto! Comunque sia siamo fiduciosi e raggiungiamo la stazione della Wings of Tatev (link qui), una cabinovia lunga 5,7 km che collega il villaggio di Halidzor al monastero di Tatev. È al momento la funivia aerea più lunga del mondo!
Bagrat ci racconta che la cabinovia deve il suo nome ad una leggenda. Dopo aver completato la cupola del monastero di Tatev, il suo capomastro si ritrovò bloccato sul tetto non avendo previsto come discenderne. Chiese allora aiuto a Dio che gli fornì un paio di ali divine, da cui quindi: Wings of Tatev.
Il tragitto in cabinovia si rivela emozionante. Partiamo con la nebbia dalla prima valle ma svalichiamo nella seconda che le nuvole si stanno già aprendo, facendoci apprezzare anche l’eremo abbandonato nella valle sottostante il monastero.





Arriviamo così al Monastero di Tatev, uno dei più celebri centri di cultura e spiritualità dell’Armenia medioevale. Fondato nel IV secolo, all’inizio del IX secolo divenne sede del vescovo di Syunik. Cresciuto per importanza, la sua struttura fu rinnovata grazie al vescovo Hovhannes che ottenne i fondi dal Principe Ashot di Syunik. All’inizio dell’XI secolo il monastero arrivò ad ospitare mille monaci e numerosi artigiani e fu sede di una delle più importanti università medievali armene, l’Università di Tatev. Questa istituzione apportò notevoli progressi nelle scienze, nella religione e nella filosofia oltre a fornire un notevole contributo alla preservazione della cultura e del credo armeno mediante la riproduzione di libri e lo sviluppo della miniatura armena. Nel 1170 d.C. il monastero venne saccheggiato dai Turchi Selgiucidi che bruciarono i suoi diecimila manoscritti. Verso la fine del XIII secolo fu ricostruito grazie agli sforzi del vescovo Stepanos Orbelian e fu definitivamente saccheggiato durante le campagne di conquista di Tamerlano e del suo successore Shah Rukh nel 1434.

Tatev rinasse nel XVIII secolo rivestendo minore importanza per tornare agli onori delle cronache il 26 aprile 1921 perchè qui fu annunciata l’indipendenza della Repubblica dell’Armenia Montanara. Dopo la sovietizzazione della Prima Repubblica d’Armenia la repressione bolscevica fu brutale e portò la Federazione Rivoluzionaria Armena ad insorgere il 13 febbraio 1921. Ad inizio aprile l’Armata Rossa era riuscita a riconquistare Yerevan e le forze della Federazione si arroccarono nello Zangezur, dove appunto fondarono questa effimera repubblica che fu conquistata dai bolscevichi al comando di Alexander Miasnikian il 5 luglio dello stesso anno!





Nel complesso monastico sono conservati molti khachkar e la Chiesa di Surb Poghos Petros (San Paolo e Pietro), dove al nostro ingresso è in corso una funzione religiosa. Visitiamo anche ciò che rimane delle aule dell’università, che affacciano sulla splendida valle del Vorotan. Addossata a questa chiesa si trova la Chiesa di San Gregorio l’Illuminatore, così addossata da sembrare la sagrestia della chiesa principale! E proprio al lato della porta c’è la Tomba di Gregory di Tatev, filosofo, teologo e santo della Chiesa Apostolica Armena.





Nel cortile invece ammiriamo la Gavazan (la colonna pendula), una colonna alta circa otto metri sormontata da una croce decorata in stile khachkar. La particolarità di questa colonna è la sua straordinaria capacità di oscillare senza crollare, proprietà che l’ha resa l’unica struttura del complesso ad aver resistito alla prova del tempo, rimanendo intatta nonostante saccheggi, terremoti ed incuria. Salendo sulle mure poi visitiamo anche la piccola Chiesa Surb Astvatsatsin (Santa Madre di Dio) che sorge notevolmente sopraelevata rispetto al resto del complesso.





Finita la visita riprendiamo la cabinovia e ci apprestiamo a lasciare il sud dell’Armenia per spostarci verso nord. Man mano che saliamo di quota il meteo peggiora e raggiungiamo il Caravanserraglio di Selim in piena nevicata! Il caravanserraglio risale al 1332 ed era proprietà della dinastia Orbelian (fu fondato dal principe Chesar Orbelian) che così aveva il controllo della via commerciale che attraversava il Passo di Selim.
È il caravanserraglio meglio conservato d’Armenia e consiste in un edificio in basalto che unisce architettura armena e islamica. Presenta un solo ingresso (che ne facilitava la difesa) con un portale sormontato da un architrave decorato in stile islamico e con a sinistra scolpita la figura di un il leone con la coda legata e rivolta verso la testa e a destra la figura di un bue. La sala principale è una navata rivolta in direzione ovest-est, divisa da otto coppie di pilastri quadrati collegati da archi. Le navate laterali più basse erano riservate ai viandanti, mentre la navata centrale, più alta, ai loro animali. La navata centrale inoltre presenta tre lucernari, sempre con decorazioni in stile islamico, che servivano a far entrare luce ed aria fresca e a far uscire il fumo dei fuochi. Il tutto è coperto da un tetto spiovente a bassa pendenza. Dai lucernari oltre la luce cade anche qualche fiocco di neve che rende l’atmosfera magica.





Lasciato il Passo di Selim proseguiamo fino al Cimitero di Noraduz. Questo è un cimitero medioevale con circa ottocento khachkar che risalgono ad un periodo compreso tra il IX ed il XVII secolo. Attualmente è il più grande cimitero medioevale armeno decorato da khachkar sopravvissuto dopo la distruzione del Cimitero di Julfa (in Naxçıvan) ad opera degli azeri (qui potete ammirare le foto di quei khachkar preservate grazie al Julfa Project, finanziato dall’Australian Catholic University). Il cimitero si estende per circa sette ettari e i khachkar sono ricoperti di muschi e licheni. Bagrat ci descrive nei dettagli i khachkar più antichi e meglio decorati. Scopriamo che in molti sono incisi gli strumenti del mestiere del defunto o episodi della sua vita quotidiana. Diventa così facile individuare il ruolo della persona nella vita: gli agricoltori sono mostrati con gli aratri, i musicisti con gli strumenti musicali, il nobile nell’attività della caccia.





Al fianco della parte storica si estende un cimitero moderno che richiama in un qualche modo lo stile di quello antico. Un racconto popolare popolare molto famoso legato al cimitero è ambientato durante l’invasione di Tamerlano. Secondo la leggenda gli abitanti del villaggio posero degli elmi sopra i khachkar e vi appoggiarono delle spade. Da lontano, i khachkar sembravano così soldati armati che mantenevano una posizione difensiva e l’esercito di Tamerlano preferì ritirarsi.
Terminata la visita al cimitero raggiungiamo a Dilijan il b&b Armenia (link qui), dove restiamo anche per cena.
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