10 Aprile 2025

Volo diretto da Fiumicino a Yerevan con Wizzair con solo mezz’ora di ritardo. Gira voce che la mezz’oretta di ritardo sia canonica per questa compagnia come lo era il quarto d’ora accademico ai tempi dell’università 🤪 Ma a loro discolpa sembrerebbe che il ritardo fosse legato ad una chiusura dell’aeroporto di Yerevan, ragion per cui dai… tutto in ordine! ✈️




Comunque sia, atterriamo e neanche scendiamo sulla pista per raggiungere a piedi il terminal che ci ritroviamo di colpo in Unione Sovietica! La torre di controllo è un pezzo di brutalismo architettonico che si erge fiera davanti a noi – e che in un qualche modo mi ricorda pure il Fungo dell’EUR!
Sebbene adesso sia stato ampliato, in origine l’Aeroporto Zvartnots era stato concepito come un portale di trasporto futuristico atto a collegare le persone nello spazio e nel tempo. La struttura originariamente era stata immaginata come un anello aperto al cui interno sorgeva un cono, sopra il cui centro si innalzava la torre di controllo a forma di fungo di cui prima. Una rampa a due livelli si snodava a spirale lungo l’interno dell’anello, consentendo l’accesso e l’uscita dei veicoli. Oggigiorno le rampe sono state smantellate ed è rimasta in funzione solo la torre di controllo, mentre il traffico passeggeri è smistato nell’adiacente nuovo terminal.





Sbrigate le formalità e recuperati i bagagli, troviamo ad attenderci la nostra guida, Bagrat, che ci accompagnerà per tutto il tour grazie al pulmino guidato da Vigen. Come prima cosa ci accompagnano subito a prendere le nostre stanze in albergo, l’Ani Central Inn (link qui). Durante il tragitto passiamo davanti il classico cartello col nome della città, nome che campeggia in lettere latine, cirilliche ed armene. Bagrat ci fa notare come la vera pronuncia sia ierevan, mentre spesso nella traslitterazione in russo o nelle nostre lingue la i venga persa facendo sì che venga chiamata erroneamente erevan. Sempre durante il tragitto inevitabilmente ci cade l’occhio sul colle pieno di bandiere armene che ospita il Cimitero Militare di Yerablur (link qui). Primo evidente segno della precarietà della Repubblica Armena, in guerra con l’Azerbaigian dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica.





Prese le nostre stanze andiamo subito al nostro primo appuntamento “culturale”: la Yerevan Ararat Brandy-Wine-Vodka Factory, più comunemente conosciuta col nome del suo brand più famoso, Noy Factory (link qui).





La distilleria fu fondata nel 1887 da Nerses Tairyan, mercante e filantropo, per essere poi rilevata nel 1899 da Nikolay Shustov. Il 1902 fu l’anno dell svolta, in quanto Shustov inviò anonimamente delle bottiglie del suo “Fine Champagne” brandy ad una fiera francese. Fu un successo! La giuria decretò il brandy vincitore e quando si venne a sapere che il liquore non era francese bensì armeno fu concesso a Shustov di chiamarlo cognac. Per meglio comprendere l’eccezionalità del riconoscimento basti considerare che solo il brandy prodotto in alcune zone specifiche della Francia può essere denominato cognac. Nel 1912 Shustov divenne fornitore della corte zarista.





La distilleria proseguì la sua storia sotto l’Unione Sovietica per poi ritrovarsi in condizioni di abbandono dopo il crollo della stessa. Fu infine rivitalizzata da una nuova proprietà che la acquisì nel 2002. Noi partecipiamo ad una visita guidata che si snoda prima in una zona espositiva con le varie produzioni della distilleria ed un piccolo museo storico, per poi condurci nelle cantine sotterranee dove degustiamo un Porto del 1944. Dopo un veloce affaccio in ciò che rimane delle storiche cantine, grotte scavate nella viva roccia dall’altissimo tasso di umidità, terminiamo il tour in una confortevole sala dedicata ad una seconda degustazione di due diverse annate di brandy. Il tutto eroicamente affrontato da noi rigorosamente a stomaco vuoto! 💪🏻





Usciti dalla distilleria ci ritroviamo davanti la Statua di Alexander Myasnikyan, un rivoluzionario bolscevico che fu posto da Lenin a capo della Repubblica Socialista Sovietica Armena nei tumultuosi anni del 1921-1922 per contrastare efficacemente la ribelle Repubblica dell’Armenia montanara, che nel sud combatteva per la sua indipendenza. Risalito il Parco Vardanyans (le cui fontane, come quelle successive in Piazza della Repubblica sono spente in questa stagione) raggiungiamo Piazza della Repubblica, incorniciata dai palazzi del governo e dal Museo della Storia Armena. Proseguendo nella piazza verso la stazione della metro incrociamo la Statua di Aram Manukyan, fondatore della Prima Repubblica Armena, opera molto stilizzata e che sorregge un drappo con i colori della bandiera.





Dato che siamo abbastanza provati dalla notte quasi in bianco legata all’orario decisamente mattutino del nostro volo decidiamo di fermarci subito a cena alla Dari Tavern (link qui) per poi, dopo una veloce puntata al Teatro dell’Opera, tornare a piedi verso l’albergo lungo Tigran Mets Avenue. Lungo la via incrociamo prima la Cattedrale di Yerevan, una struttura moderna che richiama lo stile architettonico delle chiese e dei monasteri che visiteremo nei prossimi giorni.
E di fronte, in una contrapposizione tra sacro e profano, un altro pezzo di brutalismo architettonico sovietico, quello forse più iconico della città: il Rossia Cinema. La struttura fu costruita tra il 1971 ed il 1974 secondo il progetto congiunto degli architetti Hrach Poghosyan, Arthur Tarkhanyan (link qui alla pagina Facebook dell’Arthur Tarkhanyan Center, fonte dei render del cinema e dell’aeroporto e delle foto storiche della struttura che vedete qui sotto) e Spartak Khachikyan. Il cinema fu costruito sul sito di uno dei più antichi mercati di Yerevan. Per quest’opera i tre architetti nel 1979 ricevettero il premio del Consiglio dei Ministri dell’URSS.





Il progetto consisteva in un complesso multifunzionale costituito da tre parti principali: due sale di dimensioni diverse, ma con la stessa forma, da 1.600 e 1.000 posti, e un’area aperta sotto le due sale dove si trovavano le sale espositive, un bar, un caffè e le biglietterie. Il controsoffitto strallato del cinema è stato il primo del suo genere in Armenia, mentre il tetto del cinema, che si affaccia appunto sulla Tigran Mets Avenue, si estende per 40 metri di larghezza e 60 metri di lunghezza, sospeso nel vuoto senza alcun supporto.
11 Aprile 2025

Bagrat e Vigen ci caricano sul pulmino per la nostra giornata di visita guidata della città di Yerevan.





La prima tappa è il Matenadaran (link qui) o Museo dei Manoscritti. Matenadaran in armeno antico vuol dire biblioteca (ma anche un luogo che funge da scriptorium e che quindi era presente nei monasteri) ed è un’istituzione culturale che custodisce la principale collezione di manoscritti antichi in lingua armena.





Il patrimonio del Museo consta di circa 17000 manoscritti recuperati da vari monasteri della Armenia storica ed è intitolato al monaco Mesrop Mashtots, inventore dell’alfabeto armeno. Koryun, che invece fu allievo e biografo di Mesrop e di conseguenza primo storico e primo autore di un’opera originale in lingua armena, nella sua Varq Mashtotsi (La vita di Mashtots) ci racconta che Mesrop nel predicare alla popolazione pagana trovò un grande ostacolo nella mancanza di una lingua scritta che riproducesse i suoni dell’armeno. A peggiorare la situazione concorreva il fatto che i Vangeli fossero scritti in greco, persiano o siriaco e quindi fosse necessaria la presenza di qualcuno che conoscesse queste lingue per tradurre la parola di Dio alle persone comuni. Mesrop nel 406 decise di coniare un nuovo alfabeto, probabilmente traendo spunto da quello greco, composto inizialmente da trentasei lettere (altre due lettere vennero aggiunte solo nel XII secolo).





Ed infatti la grande statua che campeggia all’ingresso monumentale del museo è proprio quella di Mashtots con ai suoi piedi Koryun. La visita del museo è condotta da una guida dello stesso di nome Eva (che subito ci chiarisce che il suo nome si pronunci ieva). Quello che ci colpisce fin da subito del racconto di Eva è quanto sia andato perduto del patrimonio culturale armeno. I 17000 manoscritti del museo sono circa un terzo di quelli che in origine avrebbero riempito i matenadaran dei monasteri. Le persecuzioni e le distruzioni legate alle varie invasioni e al genocidio armeno sotto l’Impero Ottomano hanno permesso di salvare solo una parte limitata di questo enorme patrimonio.





I manoscritti custoditi nel Matenadaran coprono praticamente tutti i campi dello scibile relativo alla scienza e alla cultura antica e medievale dell’Armenia: storia, geografia, filosofia, grammatica, diritto, medicina, matematica, letteratura. Di notevole importanza le traduzioni armene di opere ormai perse di autori antichi, come la Cronaca di Eusebio di Cesarea o il Sulla natura di Zenone di Cizio. I più antichi frammenti di manoscritti risalgono al IV secolo, le più antiche miniature (quelle del Vangelo di Etchmiadzin) sono datate invece al VI secolo, mentre il più antico manoscritto è datato all’887 (Vangelo di Lazarian). In una bacheca sono esposti anche il più grande manoscritto conservato (l’Omelia del Matto) a fianco del più piccolo (un minuscolo calendario).
In Italia fin dal Medioevo è esistita una nutrita comunità armena a Venezia. Oggi la presenza armena nel capoluogo lagunare è costituita principalmente dalla comunità monastica mechitarista residente nell’isola di San Lazzaro, dove sono conservati altri 4500 manoscritti.





Finita la visita al museo torniamo in centro e visitiamo Piazza Charles Aznavour. La piazza si estende tra il cinema Moskva e l’Hotel Yerevan e prende il nome dal cantore francese di origine armena Charles Aznavour appunto. La piazza ospita alcune opere d’arte moderna e al centro la fontana Segni dello Zodiaco progettata dall’architetto Arsen Melikyan e realizzata dagli scultori Ararat Hovsepyan e Vladimir Atanyan.





Tornati a Piazza della Repubblica visitiamo il Museo di Storia dell’Armenia (link qui). Anche qui visita guidata con una dipendente del museo. Il museo si sviluppa su tre piani ed i reperti conservati spaziano, come ci si aspetta, tra varie epoche. Nella parte dedicata alla preistoria il reperto più notevole è letteralmente la scarpa più antica del mondo, una ballerina in pelle risalente a circa il 3500 a.C. rinvenuta nelle grotte Areni-1 nella provincia di Vayots Dzor dalla dottoranda Diana Zardaryan, dell’Istituto di Archeologia Armena. La scarpa, perfettamente conservata, è rimasta nascosta per millenni grazie al clima secco e al particolare microambiente della grotta in cui fu ritrovata, sigillata da uno strato di letame di pecora che ha impedito l’ingresso di umidità e batteri. La scarpa è realizzata in un unico pezzo di cuoio bovino ed è cucita con una tecnica rudimentale ma efficace. Le sue dimensioni corrispondono ad un numero 37 ed era probabilmente imbottita con erba secca per isolare i piedi dal freddo e dall’umidità, suggerendo un uso in un ambiente montano.





A questo reperto così unico se ne associano numerosi altri paleo e neolitici. Notevoli tra questi sono dei carri lignei risalenti all’Età del Bronzo ritrovati a seguito del ritiro delle acque del Lago Sevan presso il villaggio di Lchashen. Erano stati trasformati nelle tombe dei capi tribù, i cui resti furono ritrovati ancora al loro interno.





Numerosi anche i reperti di epoca uriartea e della Cilicia armena – vi ricordo che durante il medioevo degli esuli armeni in fuga dall’invasione dei Selgiuchidi crearono questo regno sul Mediterraneo che perdurò dal 1078 al 1375. Le vestigia medioevali più importanti qui conservate consistono in alcuni khachkar (o croci di pietra, cippi funerari scolpiti tipici della cultura armena) e negli arredi sacri salvati fortunosamente dai monasteri dell’Armenia occidentale (quella che ora è la Turchia orientale), in particolare dalla città di Ani. Questa città nel medioevo fu la capitale dell’Armenia bagratide ed era chiamata la “Città delle Mille e Uno Chiese”. Nel museo esiste un bellissimo plastico delle rovine della città che ci cattura per il suo fascino.





Finita la visita guidata al museo torniamo sul pulmino di Vigen per raggiungere Tsitsernakaberd, il Memoriale del Genocidio Armeno (link qui) che si trova appena fuori città sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle Rondini). Il genocidio fu perpetrato dall’Impero Ottomano tra il 1915 ed il 1918 e causò circa 3 milioni di morti. A volere questa pulizia etnica fu il governo dei Giovani Turchi che, in guerra con l’Impero Russo, temeva che gli Armeni potessero fungere da quinta colonna dei Russi. Nel museo del memoriale vengono riportate le testimonianze fotografiche della vita della popolazione armena nelle loro terre storiche prima del genocidio e varie testimonianze delle persecuzioni e dei massacri. In particolare sono riportati i volti dei principali intellettuali armeni del tempo. La notte del 24 aprile 1915, data di inizio del genocidio, furono arrestati a Costantinopoli tra i 235 ed i 270 membri dell’elite armena così da impedire una qualsiasi resistenza organizzata. Di costoro sopravvissero solo una ottantina di prigionieri, tra cui gli scrittori Vrtanes Papazian e Aram Andonian ed il compositore di musica sacra Komitas. Proprio in virtù di questo evento ogni 24 aprile si celebra il Giorno del Ricordo per il genocidio armeno.
Padre Komitas, religioso, compositore, musicista e musicologo è considerato il padre della moderna musica armena. Il suo capolavoro fu una Divina Liturgia (Badarak), ancora oggi una delle musiche più utilizzate durante la messa della Chiesa Apostolica Armena. La visione dei massacri del 1915 e la distruzione di gran parte del suo lavoro decennale di raccolta della tradizione musicale armena lo condussero a gravi problemi psichiatrici. Rilasciato dalle autorità ottomane morì nel 1935 in una clinica psichiatrica parigina. Le sue ceneri riposano nel Pantheon di Yerevan.





Dopo aver visitato il museo ci spostiamo al monumento. Nella Yerevan sovietica del 1965 in occasione del cinquantenario del Genocidio si erano svolte numerose manifestazioni popolari. Il risultato di queste iniziative fu il permesso da parte delle autorità di realizzare un Memoriale. Temendo che questo permesso fosse revocato il cantiere fu terminato a tempo di record nel 1967. Opera dell’architetto Artur Tarkhanian, consiste in una stele triangolare, in un circolo di piastre inclinate ed in un muro.
La stele, alta 44 metri, rappresenta la rinascita degli armeni. Le dodici piastre inclinate, rivestite di pietra , formano un cerchio al centro del quale arde la fiamma eterna in ricordo delle vittime. Sul muro di pietra, della lunghezza di cento metri, fiancheggiante il viale di accesso al Memoriale sono incisi i nomi delle principali città e località colpite dal Genocidio. Sul retro del muro sono state apposte delle targhe in onore delle persone che si sono impegnate ad alleviare le sofferenze dei sopravvissuti durante e dopo il genocidio, tra cui l’italiano Giacomo Gorrini. All’ingresso della zona del Memoriale si trova un parco dove sono messe a dimora, da parte di personalità straniere, degli alberi in memoria delle vittime.
Giacomo Gorrini fu console italiano a Trebisonda e testimone oculare delle deportazioni e dei massacri del 1915. Tornato precipitosamente in Italia per lo scoppio della Grande Guerra, denunciò i crimini del governo ottomano rilasciando una dettagliata intervista al quotidiano Il Messaggero. Al termine della guerra, fu incaricato di preparare una relazione sui fatti che presentò con il titolo di “Memoriale” e che divenne la base di partenza per le discussioni che portarono al Trattato di Sèvres, trattato che riconosceva la Prima Repubblica Armena. Gorrini vi fu inviato come ambasciatore fino alla conquista sovietica della Repubblica nel 1920.





Terminata la visita al Memoriale torniamo in centro a Yerevan e andiamo al Vernissage, un grande mercato all’aperto dove comprare (ricordandosi sempre di contrattare prima) artigianato locale. Bagrat ci spiega che tendenzialmente in Armenia non si contratta sul prezzo, salvo proprio in questo mercato!





Bagrat ci saluta per oggi e noi ci dividiamo. Io, dopo un’occhiata a qualche bancarella del Vernissage, proseguo verso il Teatro dell’Opera (link qui) ed i suoi giardini e di lì raggiungo la mia meta: la Cascata.





La Cascata di Yerevan è forse il monumento più famoso della città e fu ideata dall’architetto Alexander Tamanyan con lo scopo di connettere il centro città con la collina del distretto residenziale superiore. Tamanyan, la cui statua fronteggia la Cascata, creò il primo piano regolatore della città moderna di Yerevan, approvato nel 1924. Il suo stile fu strumentale nel trasformare quella che era essenzialmente una piccola città di provincia nella moderna capitale, importante centro industriale e culturale dell’Armenia. Il neoclassicismo dominò i suoi progetti – tra i quali si annoverano anche le già citate Piazza della Repubblica e Teatro dell’Opera – in cui incluse anche un gusto nazionale (rivestimenti rossi in tufo, intagli decorativi tradizionali su pietra ecc.). Il suo progetto fu realizzato postumo dall’architetto Jim Torosyan, insieme ad Aslan Mkhitaryan e Sargis Gurzadyan negli anni Settanta e consiste sia in una grande fontana che in un giardino terrazzato arricchito da opere d’arte moderna. Anzi col tempo le opere d’arte (tra cui ben tre statue di Botero) si sono moltiplicate per venire esposte anche nella piazza antistante la Cascata!
La gestione di un sistema idrico così complesso richiede risorse economiche e una manutenzione costante e vista l’attuale carenza di fondi le fontane di Piazza della Repubblica e della Cascata sono attive solo nel periodo estivo.





Interamente rivestita in tufo di vari colori, tra cui tonalità di crema, giallo, rosa e persino nero, la Cascata è impreziosita da complesse decorazioni geometriche e floreali che richiamano la tradizione ornamentale armena. I suoi scalini, i terrazzamenti e i punti panoramici progressivamente più ampi allargano la vista sulla pianta a fiore circolare del centro città. Raggiunta la sommità si scopre che l’opera è rimasta incompiuta. Sebbene il cantiere fosse stato abbandonato a causa dalla mancanza di fondi già in epoca sovietica, in un qualche modo oggi ci racconta la precarietà e lo smarrimento del periodo post-sovietico vissuto dall’Armenia. Sopra questi basamenti cementizi si staglia un altro pezzo di puro brutalismo sovietico: il Monumento del Cinquantesimo Anniversario dell’Armenia Sovietica. Ma sono in ritardo con l’appuntamento col resto del gruppo e rimando la tratta finale ad un altro giorno.



Riunitomi con il gruppo ceniamo tutti insieme al Ristorante Mayrig Yerevan (link qui).
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