11 agosto 2024

Siamo arrivati la notte del 10 agosto ed abbiamo alloggiato al Pharaohs Hotel (link qui). La mattina dell’11 agosto siamo saliti sul nostro bus turistico che ci ha portato alla nostra prima tappa, il Museo Egizio.



Il Museo Egizio del Cairo (link qui) sorge sulla centrale Piazza Tahrir e fu fondato dall’egittologo di origine francese Auguste Mariette. La sede attuale fu inaugurata nel 1902 e mantiene a tutt’oggi una struttura ottocentesca, con alti soffitti a mitigare l’assenza di aria condizionata.
Temevo molto la visita al Museo Egizio per la mancanza di aria condizionata. Debbo dire invece di aver patito il caldo solo nei momenti di assembramento (quando più gruppi si affollano attorno ad un reperto) mentre per buona parte del tempo non ho avuto problemi.
Al momento i reperti di Tutankhamon sono ancora qui. Verranno trasferiti al nuovissimo GEM, Grand Egyptian Museum (link qui) a Giza, una volta che questo verrà inaugurato ed allora le collezioni del Museo Egizio saranno sicuramente risistemate, magari dando spazio a reperti al momento conservati nei depositi.



Raccontare il tour nel museo è veramente difficile. La quantità di nozioni trasmessaci da Emad è stata impressionante e riporterò più o meno quello che avevo appuntato nella precedente visita (link qui). Sfrutterò le foto che ho scattato per mostrarvi alcuni dei reperti più importanti, ma la visita guidata di questo museo (al pari di quella al Museo Egizio di Torino) è un’esperienza che può essere solo vissuta e non narrata.




Il primo reperto che ci si presenta e di cui poi vedremo una copia nel sito dove fu ritrovato (se vi piacciono gli spoiler basta andare qui) è la statua di Djoser con alle spalle una delle pareti del suo sito sepolcrale, in faience (maiolica) turchese, colore che simboleggia la rinascita.
Emad però va diretto alle Oche di Meidum, un’opera altamente simbolica con al centro due coppie di diverse oche che rappresentano l’Alto ed il Basso Egitto ed ai lati un’oca per parte – il faraone – ad abbeverarsi nel Nilo. Che ci fossero due Egitti, Alto (il sud) e Basso (il delta), lo sanno un po’ tutti. Ma quello che spesso sfugge ai più è quanto diversi e distanti tra loro essi fossero stati e fossero rimasti per migliaia di anni. Non solo due corone, che i faraoni indossavano fuse o separate a seconda delle occasioni o delle opportunità del momento. Ma due popolazioni, due culture, due territori così eccezionalmente diversi da necessitare continuamente stilemi simbolici a rappresentarne l’unione. Il simbolo più ricorrente è il nodo sema, composto dall’intreccio della pianta del loto (a rappresentare l’Alto Egitto, quello del delta) e della pianta del papiro (a rappresentare invece il Basso Egitto).




Come avrà modo di sottolineare più volte durante il viaggio Stefania, la cosa importante per gli antichi egizi era presentarsi belli al cospetto del prossimo. Si indossavano parrucche e si utilizzavano prodotti cosmetici proprio con questo fine. E l’idealizzazione dell’aspetto esteriore raggiungeva le sue vette nella figura del faraone, che doveva essere sempre perfetto nel fisico e dallo sguardo sereno (con la sola eccezione dell’arte amarniana voluta da Akhenaton, il faraone “eretico”). La statua di Chefren (il faraone della piramide ovviamente) assiso in trono ne è un esempio notevole. Scolpita nella diorite, una pietra scura, pregiata ed estremamente dura, fu scolpita per essere collocata nel Tempio a Valle, accanto alla Sfinge di Giza. Nella scultura il faraone indossa tutti gli attributi reali: il copricapo detto nemes, la barba posticcia, il gonnellino reale detto shendjut. Ed in più gode della protezione del Dio Horus, rappresentato come un falco che ne abbraccia la nuca con le ali.
La funzione di queste statue era quella di sostituire il corpo del faraoni per divenire sede del suo ka. Secondo la religione egizia, il ka era la forza che animava la forma visibile di qualcuno (sia il corpo oppure solo una statua) che il ba (la parte divina, totalmente spirituale, riconducibile alla personalità dell’anima di una persona) aveva scelto, dandole così la vita. Questo perchè dopo la morte, il ka avrebbe abbandonato il corpo, pur continuando a necessitare di un luogo in cui insediarsi: la statua appunto



Gli attributi reali (nemes, barba, ureo, ecc) erano intesi come riferimento alla natura divina del faraone ed erano indossati SOLO dai faraoni. Infatti le Statue di Rahotep e di sua moglie Nofret ne sono prive, sebbene lui sia un principe della famiglia reale. Realizzate in calcare di alta qualità le due statue furono scoperte nel 1871 dall’egittologo francese Auguste Mariette nella mastaba (panca in arabo, un tipo di tomba a forma di parallelepipedo) a nord della Piramide di Meidum. Si narra che quando gli operai di Mariette entrarono nella stanza buia, rimasero terrorizzati alla vista dell’uomo e della donna che, grazie al loro splendido stato di conservazione, sembravano ancora vivi!!! Una particolarità di Rahotep sono i baffi, che avranno vita breve nella moda egizia. Invece uno stilema che perdurerà è il colore della pelle: abbronzata per l’uomo che viveva all’aperto e lavorava/combatteva e chiaro per la donna che viveva in casa.




Impressionante per la cura dei dettagli la statua lignea del sacerdote Ka’aper. La profondità del suo sguardo è legata alla cura con cui sono stati realizzati i suoi occhi, impiegando rame, bronzo e diversi tipi di quarzo. Molto interessante è stato scoprire il rispetto che avevano i nani nell’Antico Regno. Gli Egizi reputavano semidivine le persone affette da nanismo, perché capaci di racchiudere il corpo e le funzioni di un uomo in forme ridotte. Riprova infatti ne è la statuina di Seneb e della sua famiglia. Seneb è rappresentato seduto, con le gambe incrociate, accanto alla moglie Senetites che lo abbraccia affettuosamente.



La storiografia egizia suddivide le varie dinastie in tre regni, Antico, Medio e Nuovo Regno, inframmezzati da Periodi Intermedi di disordini e potere frammentato. Lasciate le sale dedicate all’Antico Regno, Amed ci porta davanti la statua di Mentuhotep II. Mentuhotep è ricordato per essere stato il faraone che, ponendo fine al primo periodo intermedio, ha traghettato l’Egitto verso il Medio Regno, riunificando il paese dopo questo periodo di instabilità e frammentazione. Nella statua il faraone indossa la corona rossa del Basso Egitto ed una imponente barba posticcia arricciata. Ciò che ci fa notare Amed sono le gambe estremamente massicce ed i piedi esageratamente grandi. Una sproporzione rispetto alle perfette proporzioni della statua di Chefren, anomalia probabilmente legata alla perdita delle tecniche dell’Antico Regno a seguito del periodo di anarchia.





Dopo aver ammirato l’enorme volto della regina Hatshepsut – Grande Sposa Reale che si era trasformata da reggente in faraone, facendosi rappresentare con gli attributi maschili: il nemes e la barba posticcia – ci spostiamo nella sala dedicata ad Akhenaton – il faraone che tentò di imporre il monoteismo del dio Aton e che si faceva raffigurare con tratti di un verismo spesso esasperato, al limite del caricaturale (la cosiddetta arte amarniana). La raffigurazione di Akhenaton col suo volto lungo e la pancia stride paurosamente con quella di Chefren.





Saliamo poi al primo piano per vedere il tesoro di Tutankhamon. Amed ci averte che stanno iniziando a trasferire il tesoro al GEM e noto che l’illuminazione dei pezzi è meno curata rispetto a quella di novembre. Aggiungendoci i riflessi delle teche il risultato delle foto è mediocre 🤷🏻♂️Tutankhamon è un faraone morto giovane, di nessuna vera rilevanza nella storia se non per il fatto che la sua tomba è a tutt’oggi l’unica arrivataci intatta. Quindi il suo tesoro è per forza di cose modesto. Per rendere un paragone la sua tomba occupava una superficie totale di 110 m2 mentre quella di Ramses II copriva circa 870 m2. E nonostante questo, per noi il suo tesoro è letteralmente favoloso: i vasi canopi in alabastro, il trono dorato con Tutankhamon e la regina Ankhesenamon sorpresi in una scena di vita familiare, la maschera funeraria in oro (che sebbene protetta da una pesante teca incomprensibilmente non si può fotografare!).





Finite le sue spiegazioni Emad ci lascia liberi di esplorare il museo. Ritorno ad ammirare alcuni reperti e mi avventuro anche in zone meno affollate del museo. Il numero di sarcofagi conservati qui è impressionante. Resto stupito dal trovare molte teche dal vetro danneggiato e riparato con del nastro adesivo trasparente! Sono per lo più teche contenenti sarcofagi e non so bene il perchè di questa precarietà.



Lasciato il museo risaliamo e ci spostiamo verso Giza. Il Cairo è una città in evoluzione. Il Presidente Al Sisi sta costruendo molte opere ed edifici. Per collegare il centro città con il nuovo museo, il GEM, a Giza già avevano costruito una grande arteria stradale. Per farlo avevano letteralmente tagliato in due un quartiere abusivo, abbattendo anche in parte gli edifici sulla direttrice della strada. Ancora l’anno scorso era facile vedere le pareti colorate dall’intonaco degli appartamenti abbattuti. A distanza di pochi mesi molte case sono state ridipinte e sono stati affissi sulle pareti dei palazzi grandi cartelloni con le effigi dei faraoni egizi.





Le Piramidi di Giza: Cheope, Chefren e Micerino. Le grandi piramidi appartengono tutte all’Antico Regno e la più grande, la Piramide di Cheope, è l’unica delle sette meraviglie del mondo antico arrivata sino a noi. La forma piramidale è comune nelle antiche civiltà perché facilmente esemplifica l’aspirazione di ascendere al cielo, una linea di pensiero naturale nell’essere umano di ogni tempo e luogo. Questa aspirazione si concretizzò per la prima volta nella storia grazie ad un’esplosione tecnologica al tempo della IV Dinastia egizia grazie all’invenzione di tecniche di costruzione megalitica che permisero di passare dalla tomba a mastaba alla tomba piramidale. Furono erette una dopo l’altra ben 5 piramidi, due a Dhashur e 3 a Giza.


Dopo aver eretto queste piramidi evidentemente non fu più economicamente sostenibile proseguire. La produzione del Nilo non era più sufficiente a finanziare questi progetti “faraonici”. Ricerche recenti hanno infatti evidenziato come esistesse al tempo un secondo ramo del Nilo, il Canale di Ahramat (ne ho parlato qui), parallelo a quello attuale, che non solo estendeva la zona fertile ma aveva reso agevole trasportare su chiatte il granito dal sud direttamente ai siti di Giza e Dhashur.
La religione egizia vedeva nel faraone un Dio vivente, un’incarnazione del Dio Horus. E la piramide era la tomba di questo Dio, tomba che ne assicurava il passaggio nell’aldilà. Questo rassicurava il popolo che i cicli celesti continuassero a funzionare correttamente e che di conseguenza il Nilo continuasse ad inondare regolarmente le sponde e a rendere fertile l’Egitto. Fu quindi questo legame tra religione e società che spinse la popolazione egizia a sostenere la costruzione di queste opere colossali, grazie al contributo di torme di operai specializzati che popolarono gli enormi cantieri necessari a tal fine.




Ultima tappa della giornata è il giro in barca sul Nilo al tramonto. Un’occasione di svago che, complice la musica che viene diffusa a bordo, ci ha permesso di farci un’idea di quanto sia piena di vita la sera la Corniche (così viene chiamato il lungo Nilo), con locali sulle sponde o ricavati all’interno di grosse imbarcazioni all’ancora. Finito il tour andiamo a cena al San Giovanni ElNile (link qui) un eccellente ristornate sulle sponde del fiume appunto.
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