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2023

Fès

Nikon D750 con Nikkor 24-70 e iPhone 12 Pro

31 Dicembre 2022

Il viaggio parte l’ultimo dell’anno, quasi sul filo del rasoio. L’atterraggio a Casablanca è previsto per le 20,30 circa ma abbiamo deciso di non fermarci per il classico cenone – d’altronde siamo in un paese mussulmano dove il Capodanno non si festeggia, se non per i turisti. Per guadagnare tempo avevamo pianificato già da tempo di spostarci subito a Meknès e di festeggiare on the road. Per tutto il viaggio infatti avremo a disposizione un pulmino con autista, Ahmed, che ci scorrazzerà in giro.

E dato che a mezzanotte sulle strade del Marocco avremmo al massimo potuto ambire ad un succo di frutta o ad una bibita zuccherata – qui l’alcool si trova ma solo in appositi negozi nelle città – avevamo avuto l’accortezza di approfittare dei duty free degli aeroporti di Milano e di Roma per munirci di un paio di bottiglie di bollicine per l’occasione. Festeggiato il capodanno, arriviamo a Meknès intorno alle 3 del mattino e ci concediamo qualche ora di sonno nel bellissimo Riad Bahya (link qui).

Un chiarimento sul termine “riad”. Erroneamente noi turisti lo traduciamo con albergo, perché spesso molti alberghi sono ricavati in dei riad. Riad in arabo vuol dire giardino, quel giardino che rappresenta il cuore dell’edificio ed intorno al quale si sviluppa la singolare architettura della struttura. Sono edifici totalmente chiusi all’esterno, per garantire una completa privacy, fondamentale nella cultura islamica. Costruiti con numerose stanze, distribuite su più piani, si sviluppano appunto intorno ad un giardino o ad un cortile interno. Il giardino è spesso arricchito da fontane, piante, fiori ed è decorato con figure geometriche e arabeschi multi colore.

1 Gennaio 2023

Sebbene con poche ore di sonno sulle spalle, ci alziamo di buon ora per gustare la colazione e iniziare la visita guidata di Meknès, accompagnati da Mousra che, col marito, gestisce il riad che ci ospita. Per la cronaca Meknès è una delle quattro città imperiali del Marocco: Fès, Marrakech, Rabat e Meknès appunto. Devono il loro nome all’opera delle varie dinastie di regnanti che, in tempi diversi, le scelsero come residenza. Sono tutte circondate da una cinta muraria a protezione della città vecchia, la medina. La prima tappa della giornata è sul colle dove sorge invece la città nuova, alla belle vue, il belvedere. Il Marocco è stato a lungo un protettorato francese e qui tutti parlano francese (ma anche spagnolo o italiano). Dal belvedere nella città nuova ammiriamo la vista sulla medina, con i suoi minareti che svettano al di sopra delle mura che la circondano.

Tornati indietro entriamo nella medina dal lato settentrionale, attraverso la Porta Bab Berdieyinne o Porta dei Sellai. Questa porta, che deve il suo nome allo specifico mercato che esisteva in questa parte della città, fu costruita nel diciassettesimo secolo dal sultano Moulay Ismail, il sultano che durante il suo regno fece di Meknès la sua capitale e la abbellì di monumenti. È una porta enorme racchiusa tra due torri squadrate e ricoperta da bellissime piastrelle zellige verdi (le piastrelle zellige sono un assemblaggio di piastrelle tagliate in terracotta smaltata che riproduce un disegno geometrico). A livello architettonico è il prototipo dell’architettura Saadiana. L’unica pecca è lo stato di conservazione della struttura che effettivamente sembra versare in cattive condizioni.

Entrati nella medina ammiriamo dall’esterno la Moschea Bab Berdieyinne. Fu costruita nel XVIII secolo con la tecnica del pisé, tecnica diffusissima in Marocco.

pisé indica una tecnica costruttiva che si basa sulla realizzazione di mura con terra poco umida (per evitare fessurazioni in fase di essiccazione) compattata con appositi strumenti, dentro casseforme lignee di limitata altezza e smontabili, per consentirne lo spostamento. Se con la stessa tecnica si costruiscono mattoni, la risultante si definisce adobe.

La moschea è tragicamente famosa perché il 19 febbraio 2010, a seguito di forti piogge che probabilmente avevano indebolito la struttura già compromessa, il minareto crollò nel mezzo delle preghiere del venerdì. La moschea era gremita e dei 300 fedeli presenti al suo interno 41 morirono e 75 risultarono feriti. La nostra guida ci sottolinea come molte delle vittime fossero donne. Nelle moschee uomini e donne pregano tassativamente in spazi differenti. Qui anche gli ingressi alle due zone sono separati ma, mentre per gli uomini l’accesso avviene tramite un enorme portone, per le donne il passaggio si riduce ad una piccola porta. Questo rese più difficile per molte di loro scappare durante il collasso della struttura.

Guardandoci intorno abbiamo l’impressione di essere finiti un po’ nell’universo estetico di Star Wars. Avete presente i Jawa su Tatooine, con i loro inconfondibili cappotti col cappuccio a punta (link qui)?!? Qui tutti nelle prime fredde ore del giorno vestono la gellaba, la tradizionale veste magrebina che ha ispirato Lucas per caratterizzare gli abitanti dei deserti. Il Marocco infatti è, per dirla con i colonizzatori francesi: un paese freddo dal sole caldo. Le mattine la temperatura è sui 6-8 gradi per finire ai 26 dell’ora di pranzo!

Dopo esserci aggirati per i vicoli del mercato – ancora in buona parte chiuso, perché da queste parti i commercianti aprono l’attività in tarda mattinata per prolungarla fino a sera – raggiungiamo il Mausoleo di Moulay Ismail. Il mausoleo, eretto quando il sultano era ancora in vita, è tuttora meta di pellegrinaggi. Moulay Ismail infatti, benché fosse stato un sultano dispotico, viene tutt’oggi ricordato per le sue conquiste, perché scacciò gli spagnoli da Larache e gli inglesi da Tangeri e perché, custode dell’islamismo più ortodosso, stese le basi delle leggi della dinastia alawide.

Due sono le caratteristiche architettoniche della cultura marocchina che la nostra guida ci illustra in questo tour e che rivedremo sempre durante il viaggio.

La prima è la forma ed il numero dei minareti: le moschee hanno sempre e solo un unico minareto dalla forma quadrata, come i nostri campanili, anziché tonda come nel resto del Maghreb o del Medio Oriente. In origine infatti i mussulmani si espansero in terre cristiane e riadattarono le chiese in moschee sfruttandone i campanili per richiamare col canto del muezzin i fedeli alla preghiera. Quindi ad una chiesa con un campanile quadrato subentrava una moschea con un minareto quadrato. Successivamente alla caduta dei califfati arabi buona parte di quei territori furono assoggettati dall’Impero Ottomano. E per distinguersi culturalmente dai “rivali” cristiani, gli Ottomani decisero di innovare la forma dei minareti, costruendoli tondi. E decisero di moltiplicarne il numero a secondo dell’importanza della moschea. In Marocco però la dominazione ottomana non arrivò mai e l’architettura è rimasta fedele all’antica tradizione.

L’altra caratteristica riguarda la vasca per le abluzioni. In Marocco la vasca è spesso all’interno della sala della preghiera perché nella loro prima espansione i mussulmani occuparono territori caldi e non ebbero necessità di modificare la loro architettura primigenia. Fu solo successivamente, quando occuparono territori climaticamente più ostili, come l’Asia Centrale o i Balcani, che dovettero prendere accorgimenti per riscaldare le moschee e spostarono le vasche all’esterno.

L’interno del mausoleo, al quale si accede attraversando due cortili, è decorato con ceramiche zellige e da stucchi elaborati.

Usciti dal mausoleo passiamo sotto la Porta Bab Mansour, uno dei tratti meglio conservati della cinta muraria della città. Ammiriamo i prospicienti giardini del palazzo reale – trasformati in un campo da golf e dove trovano ristoro delle cicogne – facciamo qualche acquisto in alcuni negozietti specializzati in artigianato locale (tappeti, tovaglie, ciondoli, ecc) e torniamo al nostro riad per pranzo.

Il pranzo è ottimo e gustiamo la nostra prima portata tajin, portata a base di carne (o pesce) in umido servita nel piatto di terracotta col coperchio conico. È una modalità tipica della cucina marocchina e mangeremo quasi sempre ottimi piatti cucinati in questo modo.

Nel pomeriggio raggiungiamo la cittadina di Moulay Idriss Zerhoun. La tradizione racconta che nell’anno 789 la città fu fondata da Moulay Idriss I, condottiero che portò la religione dell’Islam in Marocco ed fu il capostipite della nuova dinastia degli Idrissidi. Oltre a fondare la città che porta il suo nome, avviò anche la costruzione di Fès.

Il Mausoleo di Idriss, dal caratteristico tetto verde, è però visitabile solo dai mussulmani (in realtà fino al 1916 l’intera cittadina era proibita ai non mussulmani). Noi, appena scesi dal pulmino veniamo “adottati” da un’insistente – sebbene utile – guida locale che ci accompagna fin sulla cima della città vecchia per farci ammirare il mausoleo. Ed immaginiamo anche per dare un’occasione di lavoro ad un negozzietto alla fine della piccola terrazza dove arriviamo. La cittadina ospita anche l’unico minareto tondo del Marocco, costruito da un abitante della città dopo il suo ritorno dal pellegrinaggio a La Mecca.

Lasciata Moulay Idriss è giunta l’ora di un po’ di archeologia col sito romano di Volubilis. Capitale di un regno cliente dell’Impero Romano prima ed inglobata nell’Impero successivamente, lo sviluppo di Volubilis era legato alla fertilità delle terre coltivate che, ancora oggi, circondano le rovine – giuro che a volte alcuni scorci ricordano la Toscana! Ben conservati sono l’Arco di Caracalla, un arco di trionfo risalente al III secolo, ed un mosaico che raffigura Bacco ed Arianna.

La sera raggiungiamo Fès e dormiamo nel Riad Dar Hidaya (link qui), nel mezzo della città vecchia. Il nostro pulmino ci lascia all’esterno delle mura e dal riad ci vengono a prendere per accompagnarci… anche perché vi assicuro che nel dedalo di viuzze che abbiamo percorso per raggiungerlo ci saremmo sicuramente persi.

Ceniamo nel riad stesso e veniamo coinvolti dal personale in un turbine di danze 🕺🏼💃🏻

2 Gennaio 2023

Nuova città, nuova guida: Luca (beh… lui è molto estroso e dice di chiamarsi così perché il suo nome è abbastanza simile al nostro Luca), stesso inizio del tour rispetto ad ieri: la medina di Fès vista dall’alto, dal piazzale del Forte Borj Sud.

Da lì col pulmino raggiungiamo la medina. La città vecchia è un inestricabile dedalo di vie e viuzze. Nella medina, detta anche Fes el-Bali, vive una popolazione totale di circa 40000 persone ed ha fama di essere la più grande area urbana del mondo in cui sia vietato – o meglio impossibile – il transito delle automobili. Le sue strade e stradine sono circa 9000 e la nostra guida ci dice che, di queste, solo una quarantina avrebbero un nome.

Ancor più che a Meknès è qui che notiamo il bilinguismo delle varie scritte su cartelli e sedi istituzionali. Arabo (in caratteri arabi e latini) e berbero. Nel 2011 infatti una riforma costituzionale ha elevato la lingua berbera (il tamazight del Marocco centrale) a lingua ufficiale a fianco dell’arabo. Questo per meglio integrare e sottolineare le peculiarità e l’importanza storico-culturale dell’etnia berbera nella storia del Marocco. I berberi furono sottomessi durante l’invasione araba ma, sebbene si fossero convertiti all’Islam, venivano tassati come i non credenti e tenuti al margine della vita politica. L’accumularsi dei soprusi portò alla cosiddetta Grande Rivolta Berbera del 740-743 che affrancò al-Maghreb al-Aqsa, così si chiamava il Marocco, dal controllo del califfato omayyade. Sebbene il potere politico sarebbe stato gestito sempre da varie dinastie arabe, il Marocco grazie all’impegno berbero non fu mai più assoggettato al controllo del successivo califfato abbaside o sottomesso dagli ottomani.

Se foste incuriositi maggiormente sull’argomento vi consiglio questo paper in italiano disponibile gratuitamente su Academia (link qui)

La medina racchiude le botteghe artigiane della città, divise per settori. Per esempio, girando per i vicoli, sbuchiamo in Place Seffarine, dove i ramai sono intenti a battere i loro prodotti. Visitiamo vari negozi di artigianato ma la visita più suggestiva è sicuramente quella alla Conceria Chouara, una delle più grandi e famose. La conceria è circondata da vari negozi con terrazze, dalle quali è possibile osservare il duro lavoro degli artigiani. All’ingresso ci vengono consegnati dei piccoli rametti di menta da tenere sotto il naso così da mitigare il cattivo odore. Noi siamo stati fortunati perché, forse per il clima di gennaio, forse per il poco lavoro in corso, non abbiamo penato come raccontato da chi sia stato qui d’estate.

La conceria consiste di innumerevoli fosse piene di coloranti naturali che decorano l’intera area, con gli artigiani intenti alla lavorazione di pelli di agnello, bue, capra e cammello. Il primo passo che viene eseguito nelle concerie tradizionali è quello di introdurre le pelli in enormi tini pieni di calce ed escrementi di piccione, lasciandole a riposo per diversi giorni. Successivamente, vengono rimossi i resti dei peli ancora attaccati alla pelle, per poi colorare i pezzi selezionati introducendoli in grandi vasche colme di coloranti naturali. Quando le pelli sono sono ormai colorate e asciutte, gli artigiani si occuperanno di trasformarle in borse, scarpe e giacche.

Lasciata la conceria proseguiamo la visita nei vicoli della medina, tra negozi di artigianato e vecchi caravanserragli. Percorriamo stradine così strette che i carichi possono essere spostati o tramite carrelli spinti a mano o a dorso di muli. Le viuzze sono così intricate che effettivamente senza la nostra guida ci raccapezzeremo con difficoltà.

Finiamo il tour nella farmacia “tradizionale” dove producono rimedi a base di argan. L’argan è una pianta endemica del Marocco e dai suoi semi si ricava un olio dalle proprietà nutritive, cosmetiche e medicamentose. Assistiamo a varie dimostrazioni e… facciamo acquisti!

Prima di lasciare Fès ci fermiamo per una foto di rito davanti il portone monumentale del Palazzo Reale. Per la cronaca esistono 22 residenze reali in tutto il Marocco e nessuna è visitabile. Ci dice la nostra guida che il re risieda alternativamente in tutte quante. La struttura del portone in realtà consiste di ben sette porte di dimensioni diverse, che rappresentano i sette giorni della settimana e i sette livelli della monarchia. Le enormi porte di bronzo sono incorniciate da migliaia di piccole piastrelle di ceramica dalle tonalità azzurre (in rappresentanza di Fès) e verdi (in rappresentanza dell’Islam), che compongono varie forme geometriche. Porta fortuna toccare il portone e noi non ci tiriamo indietro.

Lasciata Fès sostiamo nella Foresta di Cedri Gouraud, famosa per ospitare una colonia di bertucce che a bella posta aspettano noi turisti per una rapida transazione: cibo in cambio di pose fotografiche 🤪

La sera raggiungiamo la Kasbah Dounia (link qui).

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