Skip to content

2022

Bukhara

11 agosto 2022

a nostra guida per Bukhara è la signora Mubashira che arriva puntuale al nostro albergo per accompagnarci nella visita della città vecchia. Parla un ottimo italiano – è stata più volte in Italia come traduttrice per varie missioni commerciali – ed è una donna arguta e di spirito. Ci racconta come anche lei da ragazza vivesse poco oltre il nostro albergo, nel ghetto (l’albergo è a pochi metri dalla sinagoga di Bukhara) anche se ora, dopo matrimonio e divorzio, preferisca vivere nella città nuova. Parlandoci di se, ci racconta che ha due figli che studiano ingegneria in Cina. Due ragazzi che oltre a parlare, come tutti qui, uzbeko, tagiko e russo, parlano anche inglese e cinese mandarino. Un biglietto da visita non di poco conto per il loro futuro. E questo mi rammenta quanto avevo appreso preparando il viaggio. Mentre il grosso dell’emigrazione di basso livello è ancora diretta verso la Russia – proprio perché tutti parlano il russo qui – è la Cina che sta allargando la sua influenza sull’Asia centrale per strappare queste repubbliche dall’orizzonte di Mosca. Mubashira ci spiega che a Bukhara la lingua principale è il tagiko, completamente diverso dall’uzbeko. L’uzbeko è una lingua turca, il tagiko è una lingua iranica molto, molto simile al farsi persiano.

Iniziamo il nostro tour dal Mausoleo di Ismail Samani (detto comunemente Mausoleo dei Samanidi), sito in un parco appena fuori dalla città vecchia. Costruito nel 905 d.C. raccoglie appunto le spoglie della famiglia samanide: dell’emiro Ismail Samani, del padre e dei figli. Questa era una dinastia di origine persiana che governò dall’819 al 1005 le regioni del Khorasan (l’attuale Afghanistan) e della Trasoxiana (l’attuale Uzbekistan – nell’antichità il fiume Amu Darya era chiamato Oxus), avendo come loro capitale proprio Bukhara.

Insieme al Kalon questo Mausoleo è l’unico monumento risparmiato dalla furia distruttrice dei mongoli di Gengis Khan. I mongoli devastarono l’Asia centrale e non solo, radendo al suolo le città dopo averle espugnate ed averne massacrato gli abitanti. Per molti anni i superstiti furono costretti a vivere nelle jurte, le classiche tende dei nomadi della steppa, così da rendere il territorio facilmente controllabile alle orde mongole. Della città fu risparmiato solo il minareto Kalon perché Gengis Khan ne vide l’utilità come torre di vedetta. Ed il mausoleo? In realtà non sarebbe arrivato fino a noi se al tempo non fosse stato sepolto dal fango delle inondazioni. Il sito fu riscoperto solo nel 1934 dagli archeologi sovietici. Mubashira ci fa notare che a livello architettonico l’edificio presenti un mix di elementi zoroastriani ed islamici, testimonianza del subentrare della nuova religione alla precedente.

Visitiamo successivamente il vicino Mausoleo Chashma Ayub. Costruito sotto il regno di Tamerlano, il mausoleo ospita un pozzo, la cui acqua è considerata pura e salutare. Quotidianamente è meta di visita da parte di persone comuni e pellegrini che ne bevono l’acqua per mezzo di ciotole. L’acqua è il bene più prezioso di Bukhara ed una volta ne era il segno distintivo. Mubashira ci mostra una mappa in cui sono riportate le cento piscine ed i canali che percorrevano tutta la città. Le cupole turchesi delle sue moschee erano un richiamo per le carovane che dal colore intravisto in lontananza presagivano l’abbondanza d’acqua racchiusa tra le sue mura. Furono i russi a creare una canalizzazione sotterranea e ad interrare i vecchi canali e le piscine. Quest’opera ebbe il pregio di migliorare le condizioni igenico-sanitarie ma allontanarono per sempre le cicogne che erano ospiti fisse della zona. Solo due piscine furono preservate: quella di fronte la Moschea del Venerdì e quella della Lyabi Khause, la piazza centrale.

La Moschea Bolo Hauz o Moschea del Venerdì è proprio la tappa successiva. Mentre le moschee normalmente sono frequentate tutti i giorni, questa moschea in particolare, costruita nel 1712 di fronte la cittadella, era dedicata alla preghiera dell’emiro di Bukhara. La caratteristica che salta all’occhio sono le sue alte colonne di legno. L’utilizzo del legno era simbolo di magnificenza perché questo era un materiale raro in Asia centrale, al contrario dell’oro che era molto più comune. Il legno delle colonne è di olmo o di noce e fu trasportato fin qui a dorso di cammello.

Visitiamo poi la Cittadella (detta anche Ark o Arq). E qui veniamo a scoprire una storia di questi luoghi che ignoravamo del tutto. Quella che vediamo è una ricostruzione parziale della vecchia fortezza. Questo perché le mura della città e la fortezza stessa furono distrutti durante la conquista da parte dei bolscevichi dell’Emirato di Bukhara. Le mura non furono mai ricostruite e sul loro tracciato ormai sorge la città nuova. Solo la parte principale della fortezza con la sala del trono fu ricostruita, basandosi sulle prospezioni archeologiche, sebbene senza certezze sull’arredo dato che era proibito ritrarne l’interno e non sono quindi giunte a noi sufficienti testimonianze.

I tre principali emirati dell’Asia centrale, Khiva, Bukhara e Kokand furono sottomessi all’Impero Zarista dal generale Konstantin von Kaufman. Gli emirati vennero trasformati in protettorati: la Russia non interferiva con i loro affari interni, ma la politica estera e di difesa era appannaggio dell’Impero. Con la Rivoluzione di Ottobre e l’abdicazione dello Zar Nicola II gli emiri ritennero sciolta la loro fedeltà all’Impero e si resero di nuovo indipendenti, restando comunque a guardare quello che succedeva nella guerra tra bianchi e rossi. Con la vittoria di questi ultimi, gli emiri di Khiva e di Kokand accolsero i bolscevichi, pensando che lo status quo non sarebbe cambiato. L’Emiro di Bukhara invece impedì loro di installarsi nei suoi territori, anche a causa dei suoi forti legami personali con la famiglia Romanov. Dopo un anno di spionaggio, i bolscevichi imprigionarono a tradimento le famiglie reali dei due emirati e spedirono i prigionieri nei gulag. A quel punto i bolscevichi (notavo che Mubashira nei suoi racconti è sempre molto attenta a distinguere tra i bolscevichi ed i sovietici) attaccarono l’Emirato di Bukhara. Ma l’Emiro Mohammed Alim Khan aveva avuto il tempo di prepararsi a resistere e le sue truppe riuscirono inizialmente a fermare l’assalto alla città. I russi, guidati dal generale Michail Frunze, erano sul punto di rinunciare quando Lenin riuscì ad inviare tre aerei nella zona di guerra. Gli abitanti di Bukhara così videro per la prima volta sia degli aerei librarsi in cielo che un bombardamento aereo! Le mura della Cittadella erano composte di paglia mista a fango ed argilla e l’intera fortezza fu distrutta facilmente dai bombardamenti. L’Emiro fu costretto a fuggire in Afghanistan ed anche Bukhara entrò a far parte dell’Unione Sovietica.

Proprio lungo la rampa di accesso erano site le prigioni dell’Emiro, locali che adesso sono visibili con dei manichini al loro interno a rappresentare i prigionieri. Dall’ingresso si accede ad un primo edificio, la Moschea Djome, adibita a museo. La moschea stessa è un edificio risalente originariamente al XVII secolo, circondato su tre lati da un portico (aiwan) con colonne lignee. La moschea ospita una collezione di testi risalenti ad un periodo che spazia dal XVII al XX secolo.

Dopo aver visitato il museo siamo passati alla ricostruzione della Sala del Trono. La sala consiste in un cortile a cielo aperto, chiuso da tutti i lati da un portico decorato da colonne lignee. Ci viene sempre spiegato che questi alti portici, chiamati appunto aiwan, sono sempre rivolti a nord, così da catturare i venti più freschi e dare maggior sollievo rispetto al resto dell’edificio.

Finita la visita alla Cittadella, proseguiamo a piedi (sotto un sole cocente 🌞) fino al Kalon. L’alto minareto (kalon vuol dire proprio grande) sorge nel lato di una piazza su cui si affacciano le imponenti facciate decorate con piastrelle della Madrasa Mir-i-Arab e della Moschea Poi-Kalon. Visitiamo quest’ultima, moschea del 1500 che, oltre al già citato portale piastrellato, si fregia di 288 cupole ed un enorme cortile circondato da una serie di porticati a loro volta sorretti da 288 colonne. L’enorme capienza della moschea permetteva di accogliere in contemporanea fino a 12000 fedeli intenti nella preghiera.

Prima dell’uscita dalla moschea incrociamo in banchetto che vende profumi e la nostra guida ci spiega che sono profumi adatti a donne religiose, in quanto non contengono alcool e quindi sono più in linea con i dettami dell’Islam.

Passando attraverso i bazar torniamo alla piazza principale, per ammirare la Madrasa Nadir Divan-Begi. I bazar coperti in origine erano tematici. C’era il bazar dei cambiavalute, quello dei cappellai, quello dei gioiellieri, quello dei tessitori di tappeti. A parte quest’ultimo, gli altri accolgono adesso un mix di negozietti di artigianato, che spaziano dalla paccottiglia a produzioni di altissima qualità.

Un utensile molto venduto nei negozietti di Bukhara sono delle forbici a forma di cicogna. La strana forma in realtà è un mix tra la celebrazione delle cicogne che vivevano in città prima dell’interramento delle piscine e la funzione per cui effettivamente questi strumenti erano dedicati. Avendo l’abitudine di ricoprire di piastrelle decorate gli edifici sacri, si necessitava di preparare anzitempo un disegno su carta del motivo finale. Questo disegno andava poi ritagliato, in modo da utilizzare i tasselli di carta come modelli per scolpire le diverse pietre colorate, pietre che successivamente sarebbero state riunite su una base di gesso a formare la figura originale. Vista la complessità del decoro erano necessarie appunto delle forbici lunghe e leggermente ricurve per operare un lavoro di precisione.

Il complesso della Lyab-i Hauz (o Lyab-i Khauz) rappresenta il centro della città vecchia e comprende la madrasa Kukeldash, la più grande della città e di tutta l’Asia centrale), la Khanqa (una foresteria per i sufi itineranti) ed una seconda madrasa, la Madrasa Nadir Divan-Begi. Il tutto sorge intorno all’howz, l’altra piscina non interrata dai sovietici. Nella piazza c’è anche la gettonatissima statua del Mullah Nasreddin Hodja (oppure Khoja) sul suo asinello, una figura del folklore protagonista di storielle divertenti ed aneddoti. Gettonatissima nel senso che i turisti locali fanno la fila per farsi fotografare ai piedi della statua.

Prima di cena prenotiamo per assistere ad uno spettacolo di danza e moda alla Madrasa Nadir Divan-Begi. Si alternano ballerine e modelle per illustrare sia le danze tipiche che gli abiti in vendita nella locale boutique. Ceniamo nella piazza al ristorante Labi Hovuz.

12 agosto 2022

Prima tappa della giornata è la Madrasa Chor Minor, caso di nomen omen visto che il chor minor vuol dire quattro minareti e l’edificio lo rispecchia in pieno. Al contrario delle madrase classiche, che sono edifici a due piani, in cui in uno erano ospitate le stanze da letto ed in un’altro le aule, qui abbiamo un solo piano. Questo perché la madrasa fu costruita nel 1807 con i fondi del ricco mercante turcomanno, Khalif Khoudoïd, che la intese come una scuola di quartiere. Ragion per cui gli studenti sarebbero tornati a casa a dormire.

Di fronte alla madrasa troviamo una bancarella piena zeppa di anticaglie. Perdiamo molto tempo tra le chincaglierie del periodo sovietico dell’Uzbekistan: medaglie, spillette, cappelli e berretti, divise e vecchi attrezzi, casse di orologi decorati con falce e martello.

Soddisfatta la nostra sete di passato sovietico, saliamo sul bus per raggiungere il Mausoleo di Bakhouddin Nakshband. Il santuario è stato costruito sul luogo di nascita e morte di questo santo sufi, figura di grande rilevanza nell’Islam locale e considerato il patrono di Bukhara. La stessa Mubashira ci racconta che da ragazza con le amiche veniva qui a pregare per accattivarsi la benevolenza del santo in vista di qualche esame 😅 È venerdì e gli addetti al santuario stanno iniziando a stendere ampi tappeti ovunque, perché la preghiera del giorno sarà molto partecipata.

Ancora sul bus per visitare il Palazzo d’Estate dell’Emiro di Bukhara (o Sitorai Mohi Khossa). Questo palazzo fu edificato dall’ultimo emiro, Mohammed Alim Khan. L’Emirato era entrato nell’orbita dell’Impero Russo sotto il padre dell’Emiro, Abd al-Ahad Khan (ricordate che vi avevo detto che era un protettorato russo?). Il giovane Alim era stato mandato per tre anni, dagli 11 ai 14 anni, a San Pietroburgo a studiare, ospite alla corte dei Romanov (come ostaggio diremmo noi 😬) e poi vi era ritornato a 18 anni, per altri tre anni, per frequentare l’accademia militare. Era rimasto affascinato da San Pietroburgo e aveva anche intessuto uno stretto rapporto con la Principessa Olga, la primogenita dello Zar.

Quando nel 1911 divenne Emiro, chiamò a Bukhara gli architetti sanpietroburghesi e fece costruire un palazzo che ricordasse nella architettura e nell’arredo quelli della capitale russa. Il luogo fu scelto per la posizione più ventilata rispetto alla città e visitando le stanze del palazzo effettivamente si notano richiami evidenti all’arredo occidentale – basti pensare alle stufe di maiolica con fregi che rappresentano tedeschi festanti che brindano con delle birre (NON dimenticate che al tempo dell’emirato vigeva una stretta sharia, con le donne coperte dal burkha e l’alcool severamente proibito).

Mubashira ci racconta che quando, nel febbraio 1917, ci fu la prima rivoluzione in Russia che portò all’abdicazione di Nicola II, l’Emiro scrisse alla Principessa Olga offrendole come rifugio sicuro la città di Bukhara e come residenza il suo Palazzo d’Estate. Ma la giovane principessa preferì rimanere con la sua famiglia e fu poi massacrata con loro ad Ekaterinburg. Fu questo il motivo che spinse successivamente l’Emiro a non accogliere supinamente i bolscevichi, come fecero i regnanti di Khiva e Kokand, ma a organizzare una resistenza armata.

Dopo aver visitato il palazzo principale passiamo ad una dependance ora trasformata in un museo degli abiti tradizionali. L’abito che più mi colpisce è il burkha. È un burkha integrale, di quegli che hanno anche una retina a coprire gli occhi. Mubashira ci spiega che i burkha avevano colori diversi a seconda della fascia d’età della donna. E le due bande che pendevano posteriormente dalla nuca all’orlo erano legate in caso di donna sposata o lasciate libere in caso di donna nubile.

Ci spostiamo nel parco fino all’edificio dell’harem. L’ultimo emiro aveva 4 mogli e circa 40 concubine. Chiacchierando scopriamo che qui al termine concubina viene assegnato più il significato che noi attribuiamo alle dame di compagnia. Non erano amanti dell’emiro, ma belle ragazze che assistevano le mogli e che venivano date in spose dall’emiro ai sudditi facoltosi o ai dignitari stranieri che se ne invaghissero.

Sull’edificio campeggia una stella di David. A Bukhara gli ebrei spesso erano commercianti ma anche gioiellieri. Agli uomini però era proibito entrare nell’harem e quindi mandavano in questo edificio le proprie mogli. Ed in questo edificio avvenivano le compravendite di preziosi. Il parco originale constava di 12 ettari contro i 5 attuali e di molti più edifici. Ma i bolscevichi ne distrussero buona parte e sono stati recuperati solo i pochi rimasti in piedi. Questo edificio in particolare ospita adesso un museo dei famosi tappeti di Bukhara.

Ultima tappa la Casa-museo del mercante Fayzulla Khodjaev. Questo era un giovane ricco mercante di spirito repubblicano. Fu mandato dal padre a studiare a Mosca e lì realizzò quanto fosse enorme il gap tra la tecnologica società europea e quella legata alle tradizioni della sua patria. Tentò con un suo movimento politico di trasformare l’Emirato in una monarchia costituzionale ma fu costretto a fuggire. Condannato a morte, rientrò a Bukhara con l’occupazione bolscevica e fu posto alla guida della Repubblica Socialista di Bukhara prima e di quella Uzbeka successivamente. Nel 1937 fu arrestato e sparì nei gulag a seguito delle purghe staliniane.

La casa della sua famiglia è stata trasformata in museo anche per mostrare come vivessero le famiglie agiate del tempo. La casa è caratterizzata da un alto aiwan ligneo rivolto a nord e da tre ambienti chiusi dal soffitto a diversa altezza. Più basso per essere abitato in inverno e non disperdere il calore. Di altezza intermedia per le mezze stagioni ed alto per l’estate

La location è anche utilizzata per i servizi fotografici delle giovani coppie in abiti tradizionali. Anche noi possiamo indossarli e ci trasformiamo per pochi minuti in coloratissimi uzbeki 😊

A cena siamo ospiti di una famiglia locale, alla Laziz House (link qui). E visto che casa loro non è distante dal Chor Minor, andiamo a vederlo tutto illuminato. Giriamo ancora per Bukhara ma l’unico altro monumento illuminato di sera risulta essere solamente il Kalon.

13 agosto 2022

Oggi è la nostra giornata libera a Bukhara. Niente visite guidate. La mattina si apre comunque con un fuori programma. Come avevo già accennato, il nostro albergo è nel ghetto. Come scopriremo meglio più tardi, la popolazione in questo quartiere si assottiglia sempre più. Man mano che le case vengono vendute, sono accorpate e trasformate in alberghi.

Alcune però mantengono intatte alcune stanze con l’arredo originario. Il direttore dell’albergo ci propone di visitare le loro due stanze storiche. Accettiamo con entusiasmo e rimaniamo estasiati dai due ambienti. Sono stanze molto belle, con i tipici armadi incassati nelle pareti con le nicchie per gli oggetti ed i decori in maiolica.

Finita la colazione il direttore, su nostra richiesta, ci accompagna gentilmente a piedi al mercato, al bazaar principale di Bukhara. Ci avverte solo di mettere al sicuro i soldi. Mentre nella città vecchia non esiste borseggio (tra polizia turistica ed abitanti il controllo è ferreo), qui come in tutti i mercati il rischio, sebbene basso, esiste. Ci perdiamo quindi nei vari padiglioni del mercato, da quello del pane a quello della frutta secca, da quello delle cianfrusaglie (serve un finto Rolex con cinturino di gomma?!? 🤪) a quello dei tessuti.

Dopo questa ubriacatura di cultura locale torniamo al punto di partenza perché il rabbino ci aveva accordato un’apertura tutta per noi della sinagoga, che con i suoi 420 anni è la più antica dell’Asia centrale. Il rabbino, dopo averci mostrato una parete arredata con le foto delle persone famose venute in visita, ci spiega come la popolazione di fedeli sia calata dagli storici 23000 ebrei ai circa 200 di oggi. Calo legato per lo più all’emigrazione verso l’Occidente ed Israele. La torah, scritta su pelle di gazzella, sempre secondo la tradizione, avrebbe mille anni.

Finito questo tour, dopo pranzo, il gruppo si divide. Molte botteghe artigiane sono ospitate nei vecchi caravanserragli. Scovo per caso anche una scuola di artigianato dove appunto troviamo dei giovani apprendisti intenti ad imparare arti e mestieri.

La sera ceniamo al ristorante Chinar (link qui) e poi ne approfittiamo del fresco per un ultimo giro perché domani ci toccherà un lungo spostamento in autobus.

14 agosto 2022

400 km di spostamento per raggiungere la zona di Ayaz Kala. Qui ci sono i ruderi di alcune fortezze che visiteremo domani con una nuova guida. Ai piedi della fortezza più grande sorge il campo di jurte dove dormiremo. La jurta è la classica tenda dei popoli nomadi dell’Asia. Una struttura in legno, rivestita di tappeti di feltro di lana di pecora.

Passiamo il pomeriggio qui a rilassarci. Ci sono dei cammelli che si aggirano liberamente intorno al campo. Ed una famiglia di turisti kazaki di passaggio insiste per fotografarsi con noi occidentali (e comunque il papà era evidentemente brillo). Peccato per la barriera linguistica. Si vedeva che i figli avrebbero avuto piacere a parlare con noi. Ma di noi nessuno parlava il russo 🤷🏻‍♂️

Ceniamo nella jurta-ristorante – qui sopra potete vedere come la nonnina (o forse dovrei dire babushka?!?) ci prepara il pane nel forno tandoor. Dopo cena ci raggiunge un gruppo musicale che ci permette di apprezzare i canti ed i balli tipici dell’Uzbekistan.

Per continuare a leggere il diario clicca qui oppure salta alle varie tappe col menu qui sotto