8 agosto 2022

Samarcanda, la capitale dell’impero di Tamerlano. La città più famosa della Via della Seta. Posta a 700 metri di altezza, è anche la più fresca – o meglio: la meno calda 😎 – delle città imperiali. Racconta infatti la leggenda che Amir Timur (qui non piace il nome occidentale Tamerlano, perché la radice del nome ricorda il fatto che, a causa di una ferita di guerra, fosse zoppo) per scegliere la sua futura capitale facesse inviare dei carri carichi di carne nelle città principali e che quella sul carretto inviato a Samarcanda fosse quella che iniziasse a marcire più tardi, indicando cosi condizioni climatiche più miti.
Come guida nella nostra giornata a Samarcanda abbiamo una simpatica ragazza di nome Zarnigor (Zara per gli amici). Trent’anni, sposata da quattro anni, due figli. Chiacchierando ci spiega che non è normale in Uzbekistan sposarsi così tardi. Le ragazze si sposano a 18 anni e subito mettono in cantiere il primo figlio. Lei ha voluto studiare e realizzarsi nel lavoro, ma normalmente le pressioni del clan familiare fanno si che buona parte delle ragazze segua questa tradizione. Quando una ragazza si sposa, di norma si trasferisce a casa del marito o comunque la nuova famiglia si stabilisce nella zona della città dove vive la famiglia di lui. Lei stessa, che aveva sempre vissuto nella zona urbana di Samarcanda, con il matrimonio si è trasferita in campagna 🤷🏻♂️ Emancipazione si, ma tradizioni familiari ancora fortissime, quindi. Zara ha frequentato per quattro anni l’Istituto Statale per Lingue Straniere e, anche se non è mai stata in Italia, parla un buon italiano.






Sempre allegra e sorridente ci accompagna alla prima tappa del nostro tour: il Mausoleo Gur Emir, o Mausoleo di Tamerlano. Gur Emir significa infatti “tomba del re” in tagiko. Questo complesso architettonico, caratterizzato da una stupenda cupola blu a coste (a Tamerlano piaceva questo decoro e tutte le cupole erette durante il suo regno sono fatte così), comprende le tombe di Amir Timur (Tamerlano), dei suoi figli Shokhrukh e Miranshah, dei nipoti Ulugbek e Muhammad.
Quello che ci appare un monumento splendido ha rischiato di essere perso per sempre a causa dell’incuria sovietica. Restaurato dal Primo Presidente Karimov (notiamo che ci tengono a ripetere sempre la numerazione dei loro due presidenti, forse per sottolineare che stanno parlando dei capi dell’Uzbekistan indipendente) il sito aveva già visto crollare i due minareti che erano posti ai lati del portale d’ingresso. Il restauro sia dell’esterno che dell’interno è stato eccezionale, con grande utilizzo di oro per riportare a nuovo i decori della sala principale.


A livello architettonico il mausoleo è molto importante perché è un prototipo dei successivi mausolei dei Grandi Moghul indiani (l’Impero Moghul in India fu fondato da uno dei discenti di Tamerlano: Zahiriddin Muhammad Bobur Podshoh o più semplicemente Babur), in particolare il Mausoleo di Humayun a Delhi e il Taj Mahal ad Agra. Quello che subito salta all’occhio è la piccola dimensione di molte delle pietre tombali site nello spazio interno del mausoleo. Ci spiega Zara che sono solo tombe decorative e che indicano semplicemente la posizione delle tombe reali che fisicamente sono site nella cripta sotto la sala principale. Al contrario di altre civiltà, in cui il leader veniva sepolto da solo nel suo mausoleo, i timuridi condividevano la sepoltura con familiari, sant’uomini e alti funzionari del loro regno. Zara ci fa notare come ci sia una tomba separata dalle altre e sovrastata da un palo con appesa una coda di volpe. Quello è il simbolo che in quella tomba è sepolto un sant’uomo.


Nel 1941 un gruppo di archeologi sovietici guidati dall’antropologo russo Mikhail M. Gerasimov riesumò i corpi sepolti nella cripta e cofermò che Amir Timur fosse molto alto per i suoi tempi, circa un metro ed ottanta. L’esumazione confermò inoltre che il morto era rimasto azzoppato per una ferita alla gamba destra. Vi erano inoltre tracce di altre ferite che avevano invalidato anche l’uso del braccio destro. Dal teschio, Gerasimov riuscì anche a ricostruire l’aspetto di Tamerlano, che era caratterizzato da tratti molto vicini a quelli mongoli e non a quelli persiani, come si era sempre creduto.




Per la seconda tappa ci spostiamo nel vicino villaggio di Konigil per visitare la cartiera Meros. Qui infatti viene prodotta con metodo tradizionale l’apprezzata carta di Samarcanda. Intanto due parole sull’incantevole location. La cartiera è immersa nella natura: alberi ombrosi, l’acqua gorgogliante del fiume Siab che muove le pale dei mulini che servono a lavorare l’impasto, una piccola casa del the all’ingresso per gustare il chai. La base della carta è il gelso. La corteccia viene pulita dall’esterno e fatta bollire a lungo. Quindi l’impasto viene sbattuto in dei mortai per fare un composto dalla consistenza omogenea (è in questa fase che viene sfruttata la corrente del fiume per azionare i paioli). L’impasto risultante viene successivamente posto in una vasca con acqua e, filtrato, posto su un grande foglio di tela. Questo viene pressato (sotto una pietra) e poi asciugato in posizione verticale per un giorno. La carta secca risultante è piuttosto resistente. Per eliminare la ruvidità della carta, questa viene spianata su un tavolo con una conchiglia o pezzo di granito, così da ottenere la sua famosa levigatezza. Qui sotto metto un video che ho trovato in cui sono seguite passo passo le varie fasi.
La carta di Samarcanda ha un caratteristico colore giallo. Questo perchè non è sbiancata con prodotti chimici e quindi la sua durata è decine di volte superiore a quella di una normale carta bianca. Da quel che ci dicono, se una semplice carta bianca di buona qualità dura 40-50 anni, la carta di Samarcanda dura 300-400 anni. La cartiera di Samarcanda non produce solo cartoline, blocchi per appunti, maschere, ma anche abiti, bambole e borse. Tutto acquistabile nel negozietto della cartiera. Al di là dei souveir, la carta di Samarcanda è in realtà ampiamente utilizzata nei lavori di restauro dei manoscritti antichi.






La location non comprende solo la cartiera. Proseguendo nella visita infatti abbiamo potuto visitare anche il frantoio, in cui si ricava l’olio da semi di cotone, melone, cumino e sesamo. Il prodotto finale è un olio simile al nostro olio di lino. Successivamente abbiamo visitato il laboratorio del vasaio, dove alcuni di noi si sono potuti cimentare nel modellare la creta (con noialtri che cantavamo il tema del film Ghost in sottofondo 🤪)






Torniamo verso Samarcanda e visitiamo Shah-i-Zinda (il re vivente), un complesso di tombe e mausolei dove, narra la leggenda, è sepolto anche il cugino di Maometto. Kusam Ibn Abbas, cugino del profeta, raggiunse l’Asia centrale a seguito dell’invasione araba nel VII secolo per predicare l’Islam. Le leggende popolari narrano che egli, dopo essere stato decapitato per la sua fede, prese la propria testa e andò in un pozzo profondo (il Giardino del Paradiso), dove starebbe ancora vivendo. Il complesso di Shah-i-Zinda si è formato in più di nove secoli (dal XI al XIX) e ora include più di venti edifici.


I mausolei hanno splendide facciate coperte da piastrelle delle varie sfumature del blu e del turchese, con scritte in arabo. Lingua che gli uzbeki non parlano più, tra l’altro… L’importanza di questo mausoleo per i fedeli è enorme perché, se si fosse impossibilitati a compiere il pellegrinaggio rituale a La Mecca, questo può essere rimpiazzato da un pellegrinaggio sulla tomba di una persona santa, come quella di Kusam Ibn Abbas.



Ci spostiamo all’enorme Moschea di Bibi-Khanym (o Bibi-Khanum). Nel XV secolo è stata una delle più grandi e più belle moschee del mondo islamico. Fu costruita usando la ricchezza saccheggiata da Tamerlano durante la conquista dell’India. I problemi di staticità della struttura però si rivelarono fin da subito. I lavori di restauro furono continui, finché alla fine del XVI secolo la struttura fu abbandonata al suo destino e fu erosa dagli agenti atmosferici e semidistrutta dai terremoti. Il restauro fu ripreso dai sovietici e continua tutt’ora. Qui sopra ho pubblicato alcune fotografie trovate in rete che illustrano lo stato di abbandono del sito, prima che iniziassero i lavori di restauro.
Le cupole della moschea sono tutte a coste, come sempre nell’epoca di Tamerlano, e nel cortile si trova un piedistallo di pietra per contenere un Corano fatto di pregiati blocchi di marmo decorati. Ci racconta Zara che, secondo la locale tradizione locale, se una donna camminasse carponi sotto il piedistallo del Corano, avrebbe molti figli.




Ma la leggenda più famosa sulla moschea è quella che la lega alla figura di Bibi-Khanum (non la moglie di Tamerlano ma la più favorita, ci spiega sempre Zara). Secondo la leggenda, la moschea fu costruita dalla moglie prediletta del Tamerlano, Bibi-Khanum, in onore del suo ritorno da una spedizione in India. Secondo i suoi desideri, la moschea doveva essere la creazione più grandiosa di Samarcanda. Un architetto, che guidava la costruzione della moschea, si innamorò perdutamente della bella regina e ritardò in ogni modo il completamento dei lavori. Bibi Khanum era furiosa per il ritardo, poiché Timur sarebbe dovuto tornare molto presto e l’edificio non era ancora pronto. Quando la regina chiese all’architetto di affrettarsi con la costruzione della moschea, l’architetto pose una condizione: l’edificio sarebbe stato pronto in tempo, ma solo se lei gli avesse permesso di baciarla. In risposta, la regina ordinò ad una serva di portare uova dipinte di diversi colori e disse all’architetto: Guarda queste uova. Sono tutte diverse solo dall’esterno, ma dentro sono uguali. Lo stesso per le donne! Posso darvi una qualsiasi delle mie schiave a vostra scelta. Allora l’architetto chiese di portare due bicchieri, uno dei quali riempì d’acqua, e l’altro di vino bianco: Guarda questi bicchieri. Hanno lo stesso aspetto. Ma se bevo dal primo, non sento niente. Se invece bevo dall’altro, mi brucerà. Lo stesso fa l’amore. La regina dovette accettare i termini dello sfacciato architetto, ma il suo bacio fu così caldo, che le lasciò una traccia luminosa sulla guancia. Timur tornò vittorioso dalla sua spedizione e fu deliziato dal dono della moglie: la maestosa moschea era stata completata nei tempi previsti. Ma il sovrano non poté fare a meno di notare la traccia del bacio sulla guancia dell’amata moglie. Oltraggiato, Tamerlano ordinò di uccidere l’architetto, che si lanciò dal minareto per sfuggire alle guardie. Il sovrano decretò che da allora in poi le donne del suo impero portassero il velo, secondo lo stile arabo.
A piedi raggiungiamo la vicina Piazza Registan. Il nome vuol dire “luogo sabbioso” perché in passato qui scorreva un canale che poi cambiò percorso. Registan era una piazza pubblica, dove la gente si riuniva per ascoltare i proclami reali, annunciati dagli squilli di enormi tubi di rame chiamati dzharchis. La piazza è incorniciata da tre madrase spettacolari: la Madrasa di Ulugh Beg (1417-1420), la Madrasa di Sher-Dor (1619-1636) e la Madrasa di Tilya-Kori (1646-1660).

La Madrasa di Ulugh Beg (sulla sinistra) fu la prima ad essere costruita ed è caratterizzata da questo immenso portale munito di un arco acuto e decorato da ornamenti geometrici stilizzati. Uno dei suoi due minareti è l’unico che può essere visitato ed è munito di un buco sul soffitto da cui si può ammirare la piazza sottostante. Gli scalini dei minareti sono sempre numericamente pochi ma molto alti. Questo perché i gradini alti costringono gli imam a piegarsi per salire, inchinandosi così ogni volta ad Allah. Fu solo nel XVII secolo che il sovrano di Samarcanda, Yalangtush Bakhodur, ordinò la costruzione della Madrasa di Sher-Dor (sulla destra). Nel decoro della facciata risaltano subito i mosaici della tigre con un sole nascente sul dorso, sia perché l’islam proibirebbe la raffigurazione di esseri viventi su edifici religiosi, sia perché questi decori rappresentano i più antichi motivi religiosi persiani mitraici. Dieci anni dopo fu costruita la Madrasa di Tilya-Kori (al centro) che comprende anche una moschea, la Moschea d’Oro. Questa prende il nome dall’abbondate doratura della sua sala principale.





Tutte e tre le madrase ospitano botteghe di artigianato locale e sono spesso utilizzate come sfondo per le foto dei matrimoni. In Uzbekistan infatti ci si può sposare in qualunque giorno della settimana. Le spose vanno alla cerimonia con abiti bianchi di foggia occidentale ma zeppi di paillettes. Successivamente col fotografo fanno vari servizi indossando abiti tradizionali, a nostro giudizio notevolmente più belli di quelli sfruttati per la cerimonia ufficiale.


Dopo essere tornati in albergo per un po’ di ristoro, andiamo a cena da una famiglia nelle campagne di Samarcanda. Così abbiamo l’occasione di provare per la prima volta il plov (lo pronunciano plof). Si tratta di riso lasciato cuocere nello zirvak, un intingolo a base di carne stufata (di solito montone o capra), carote, cipolle, e verdure. Viene servito su un grande piatto da portata messo al centro del tavolo: una montagna di riso cosparsa con l’intigolo e i pezzi dello stufato. A volte a mo’ di decorazione vengono aggiunte uova di quaglia sode tagliate a metà.


Dopo cena torniamo a Piazza Registan perché dalle 21,00 alle 23,00 viene proiettato uno spettacolo luminoso sulle facciate delle tre medrase.


Lo si può ammirare gratuitamente dalla piattaforma panoramica a lato della piazza o, pagando il biglietto, dall’interno della piazza stessa per sentirsi immersi nello spettacolo luminoso.
9 agosto 2022


Lasciamo Samarcanda per le white mountains, una zona montuosa alle spalle di Bukhara. Il nome è legato alle abbondanti cave di marmo, famose perché da qui sono stati estratti i marmi che decorano le fermate della metropolitana di Mosca, San Pietroburgo e Tashkent.
Arrivati in zona recuperiamo la nostra guida per i prossimi due giorni, Ruslan. Ruslan è di Nurata (ma trovate anche la traslitterazione Nurota) e parla un buon inglese. Ci accompagna al villaggio di Dara. Questo villaggio è una meta usuale per chi da Bukhara volesse passare una giornata di picnic al fresco. Siamo in montagna e sotto le fronde degli alberi la temperatura è deliziosa. Il villaggio, dove vivono circa 200 persone, è un’isola verde in un paesaggio brullo e roccioso dove viene praticata la pastorizia, basata sull’allevamento di pecore e capre.





Scendiamo dall’autobus ed andiamo a fare un giro nel villaggio. Una famiglia ci invita ad entrare in casa loro e, come segno di ospitalità, ci offrono un paio di forme di pane. Sono gentilissimi e accettiamo il loro invito. Ci portano del burro e delle palline di formaggio di capra.



Il loro grande orgoglio è una delle figlie (mi sembra di capire che abbiano cinque figli in tutto), un’atleta di wrestling (uno sport molto diffuso in questa parte del mondo). Sul muro campeggiano ben tre medaglie d’oro! Lei si chiama Shakhlo Khidirova ed è timidissima ed assolutamente non vuole farsi fotografare, nonostante l’incitamento degli orgogliosissimi genitori. Ho cercato sul web ma ho trovato solo questo video in cui ahimè non vince l’incontro 🤷🏻♂️
Dopo questa sosta inattesa proseguiamo il nostro giro lasciando il villaggio ed incamminandoci per un leggerissimo trek sulle alture alle spalle del villaggio. Il terreno è brullo ed incrociamo alcuni ragazzi che badano alle greggi. Siamo intorno all’ora di pranzo, il sole picchia come non mai e ci limitiamo ad un giro in cerchio di 3 km per spaziare un po’ lo sguardo su queste lande. Se fosse curiosi vi lascio qui il percorso registrato con Wikiloc.




Per pranzo raggiungiamo la guesthouse di Ruslan (link qui) a Nurata. Poi a piedi andiamo a visitare Nurata. In realtà sono solo due le location da visitare. La prima è il santuario di Chasma, sorto sulle omonime sorgenti (chasma in tagiko vuol dire fonte santa). L’acqua delle sorgenti ha la fama di essere miracolosa e di poter curare qualsiasi malattia. Ruslan ci racconta che le leggende narrano come taaaaanto tempo fa qui cadde un meteorite (infatti nur vuol dire luce) e le sorgenti sacre apparvero dal nulla in questo posto desertico. L’acqua delle sorgenti ha una temperatura costante di 19,5 gradi centigradi e contiene 15 microelementi, tra cui argento e bromo. Le sorgenti formano un laghetto in cui vivono delle trote (chiamate karabalik, che vuol dire pesce nero), sacre anch’esse visto che vivono in acqua sacra.



Torreggianti sul santuario, sorgono i resti della Fortezza di Alessandro Magno. In realtà poco rimane della serie di fortificazioni e contrafforti risalenti alla fondazione della città di Nur da parte di Alessandro Magno circa 2300 anni fa. Il forte aveva lo scopo di difendere gli insediamenti del sud dai nomadi della steppa provenienti da nord.
10 agosto 2022

Giornata dedicata all’archeologia quella di oggi. Dobbiamo visitare due siti dove è possibile ammirare dei petroglifi. Il primo è letteralmente bordo strada a Oqtepa(vi stanno addirittura costruendo a fianco un hotel con spa e jurte per chi volesse provare l’ebrezza di dormire nello stile dei nomadi ma con tutti i confort a 10 metri 😎). Le incisioni rupestri sono di facilissimo accesso e rappresentano scene di caccia. Ci spiega Ruslan che in queste zone erano presenti delle sorgenti. Sosta obbligata per le carovane ma anche luogo dove si concentrava la fauna, che quindi veniva cacciata. Se ho capito bene i petroglifi dove compaiono dei cammelli dovrebbero risalire al XVI-XVII secolo e rappresentare le carovane in sosta qui.



Comunque questo è un sito minore. La nostra meta principale è Sarmishsoy, che invece presenta incisioni risalenti ad un periodo compreso tra 2000 e 5000 anni fa.
La strada è ben asfaltata ma a 5 km dall’arrivo il nostro autista accosta. Davanti a noi c’è un piccolo cantiere stradale e lui teme che la strada non sia più facilmente percorribile e di non avere spazio per fare inversione. Noi saremmo per proseguire, o quantomeno raggiungere il cantiere per prendere informazioni, ma lui è irremovibile. Chi volesse, può proseguire a piedi!
Valutiamo che il sole picchia già tanto, sono le 11, ma è molto ventilato. Un terzo di noi decide di provare, ci portiamo una bottiglietta d’acqua e muniti di cappello raggiungiamo il cantiere.
In realtà abbiamo adocchiato un camion con cassone che in cuor nostro vorremmo “noleggiare” agli operai per un passaggio, facendo leva sul forte vantaggio che ci offre il cambio dollaro-som 😇
E così è! Ci si avvicina Alì che in russo ci chiede se parlassimo russo appunto. Ovviamente no! Però con noi c’è Ruslan che chiacchiera a lungo con i due operai. Loro in effetti debbono andarci a breve a Sarmishsoy, recuperando anche altri due compagni per strada, perché è lì che dovranno trascorrere la pausa pranzo.
E così ci ritroviamo in Asia centrale sul cassone di uno sgangherato camion, seduti su lastroni di cemento armato!



Il che è stata anche una bella fortuna perché in effetti quei 5 km a piedi sarebbero stati veramente duri. Appena arrivati ringraziamo Alì, che rifiuta anche il piccolo regalo che volevamo lasciargli 💰 A Sarmishsoy c’è un resort, chiuso in questa stagione. Sotto uno degli alberi dell’ingresso sono riuniti gli operai. Subito contrattiamo con uno di loro, proprietario di un pulmino, il prezzo per un passaggio al ritorno e così possiamo andare tranquilli ad esplorare il canyon ed i suoi petroglifi.
La camminata nel canyon di Sarmishsoy non è lunghissima. Le incisioni rupestri sono molte e spesso sono facilmente accessibili. Il sole picchia veramente tanto e qui non c’è assolutamente riparo. Notiamo dalle descrizioni di Ruslan che la fauna è molto cambiata. Ci fa vedere incisioni di gazelle, yak e tigri, tutti animali che non vivono più qui.





Camminando incrociamo una conduttura dell’acqua danneggiata da cui sgorga più che uno zampillo, una vera fontana. E questo mi fa riflettere su un altro elemento che avevo notato la mattina precedente, durante lo spostamento da Samarcanda a Nurata. Mi aspettavo lungo la strada un paesaggio brullo, le famose steppe infuocate che nel medioevo venivano percorse dai cavalli mongoli e tatari. Invece vedevo molto verde, molti campi coltivati. Ed ho ricollegato quanto letto sul Lago d’Aral e la sua distruzione. Le opere idrauliche sovietiche avevano permesso di coltivare cotone, una pianta avida d’acqua, nel deserto. Ma l’enorme inefficienza di questo sistema, che ne disperdeva circa l’80 %, ha fatto si che l’Amu Darya ed il Syr Daria non portassero più acqua sufficiente a sostentare i livelli dell’Aral. E qui ne avevo la prova. Una fontana d’acqua in piena vista che si andava a perdere nella gola secca di un canyon senza che importasse a nessuno.


Tornati al resort il nostro pulmino viene liberato delle taniche di carburante che custodiva sui suoi sedili 😬 e a spinta viene rimesso in moto 😬😬 e così veniamo riaccompagnati all’autobus, dove ci attendeva il resto del gruppo.
Lasciamo Ruslan a Navoiy (tornerà via bus di linea a Nurata) e dopo aver pranzato in un chiosco lungo la strada, raggiungiamo Bukhara.



Il nostro albergo è il Grand Nodirbek, nella città vecchia, a letteralmente due passi dalla piazza centrale. Prese le stanze ci facciamo due passi per la città vecchia, completamente pedonale, e ad ora di cena siamo ospiti del Ristorante Dalon. Ceniamo sulla terrazza, con la sua superba vista al tramonto sul minareto più alto e famoso di Bukhara, chiamato Kalon (ma trovate spesso anche la grafia Kalyan). Il minareto è l’unico monumento illuminato durante la notte e, giustamente, dopo cena non resistiamo ad andarlo a vedere.
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