Skip to content

2025

Echmiadzin

Nikon D750 con Nikkor 24-70 e Nikkor 70-200, iPhone 16 Pro

16 Aprile 2025

Lasciamo Yerevan per raggiungere il non troppo lontano Monastero di Geghard. Sorge nella spettacolare gola del fiume Azat ed è parzialmente scolpito nella roccia. Venne fondato nel IV secolo da San Gregorio l’Illuminatore intorno ad una grotta dove sgorgava una sorgente sacra. Per questa ragione il nome originale del monastero fu quello di Ayrivank, che significa “il monastero della grotta”. Il nome comunemente usato oggi, Geghard, significa “il monastero della lancia”, con riferimento alla lancia che ferì Cristo durante la crocifissione, che secondo la leggenda sarebbe stata portata in Armenia dall’apostolo Taddeo e conservata nel monastero insieme a molte altre reliquie (oggi è esposta nella Cattedrale di Echmiadzin).

La Chiesa di Katoghike venne costruita nel 1215 mentre il gavit, per metà scavato nella roccia, è antecedente al 1225. È costituito da quattro massicce colonne che sostengono un tetto di pietra con un foro centrale che permette l’ingresso della luce. Gli spazi ricavati intorno alle colonne hanno soffitti diversi fra loro, mentre lo spazio centrale è sormontato da una cupola decorata a muqarnaṣ.

Ma la parte più spettacolare consiste nelle due camere a nord est del gavit. La prima è uno zhamatun con ricavati nella roccia gli stemmi della famiglia Proshyan, compresa un’aquila con un agnello fra gli artigli, e due incredibili khachkar scolpiti nella nuda roccia che fanno da contorno ad un uscio decorato che porta alla Cappella dei Proshyan. Costruita come lo zhamatun nel 1283, su donazione del principe Prosh, presenta pareti con decorazioni a rilievo raffiguranti animali, guerrieri, croci e motivi floreali.

Nell’architettura sacra armena lo zhamatun è un locale che serviva a uno scopo semireligioso e semilaico (come un vestibolo) mentre il gavit forniva spazio extra per i fedeli e veniva utilizzato anche per ospitare tombe nel suo pavimento e come sala per le riunioni.

Dal gavit si accede anche ad un secondo ambiente, una chiesa scavata nella roccia risalente al 1240 che ospita anche la famosa sorgente. Uscendo dal complesso e salendo su un terrazzo laterale si può raggiungere un altro zhamatun da cui, grazie ad un crollo nella parete, si può intravedere quello sottostante della Cappella dei Proshyan. Usciti da questa meraviglia si resta poi irretiti dalla bellezza della natura che circonda il monastero, che si rivela uno dei posti più belli del viaggio.

Torniamo indietro col pulmino e ci fermiamo per visitare l’area archeologica che conserva il Tempio di Garni. Questo è il solo tempio Greco-Romano colonnato rimasto in Armenia. Risalente all’epoca dell’imperatore romano Nerone fu probabilmente fatto costruire da re Tiridate I nel I secolo d.C. in onore al dio del sole Mihr. Si narra che il re dovette chiedere a Nerone il benestare per assumere la corona avendo già ottenuto quello dei Parti (la sua dinastia era di origine Parta). Decise di recarsi a Roma portando con se tutta la sua famiglia. L’imperatore fu compiaciuto del gesto e, oltre il benestare, concesse un finanziamento per la ricostruzione della antica capitale e per l’erezione di questo tempio. 

In seguito alla conversione dell’Armenia al cristianesimo all’inizio del IV secolo il Tempio venne convertito in una residenza estiva per Khosrovidukht, sorella di Tiridate III. Forse per questo sopravvisse alla distruzione dei templi pagani perpetrata dai cristiani. Normalmente infatti i templi venivano abbattuti ed al loro posto erette delle chiese. In questo caso invece la chiesa fu eretta al fianco del tempio. Scorgiamo anche delle scritte in arabo sulla parete esterna perchè durante il dominio mussulmano il Tempio fu convertito in moschea.

Visitiamo anche gli scavi delle terme dove oltre alle sale del calidarium e del frigidarium è rimasto conservato un mosaico nel pavimento degli spogliatoi.

Ultima tappa la Gola di Garni altrimenti nota come Sinfonia delle Pietre. La gola, scavata dal fiume Goght, è a breve distanza dal Tempio (tanto che ad un certo punto lo si intravede) ed è costituita da enormi colonne simmetriche esagonali e pentagonali di basalto (alte quasi 50 metri) che sembrano essere realizzate a mano per la loro straordinaria simmetria. Queste meravigliose rocce si sono formate in condizioni di alta pressione a causa del raffreddamento e della cristallizzazione della lava vulcanica.

Dopo aver pranzato da Sergei Mot nel villaggio di Garni torniamo a Yerevan al Monumento alla Madre Armenia. La statua attuale ha sostituito una precedente statua altrettanto monumentale raffigurante Iosif Stalin, eretta come memoriale della vittoria della Seconda Guerra Mondiale. Realizzata da Ara Harutyunyan in rame battuto, la statua ha un’altezza di 22 metri e grazie al piedistallo di basalto il monumento raggiunge in tutto i 51 metri di altezza. Il Monumento della Madre Armenia simboleggia la pace raggiunta attraverso la forza. Essa vuole ricordare alcune delle figure femminili più prominenti della storia Armena, come Sose Mayrig ed altre, che presero le armi per aiutare i propri mariti negli scontri con le truppe turche e curde. Il basamento ospita il Museo della Guerra e nel cortile sono esposti vari mezzi militari.

Ci spostiamo poi al Monumento del Cinquantesimo Anniversario dell’Armenia Sovietica e da lì scendiamo alla Cascata per raggiungere a piedi la fermata metro di Yeritasardakan e così tornare in albergo. Ceniamo alla Caucasus Tavern (link qui).

17 Aprile 2025

Prima tappa della giornata la Cattedrale di Zvartnots, che in realtà è un sito archeologico visto che della antica cattedrale è rimasto ben poco. Fra il 643 e il 652 d.C. il Catholicos Nerses III, detto il costruttore, fece costruire la Cattedrale di San Gregorio, nel luogo dove si pensava fosse avvenuto un incontro fra il re Tiridate III e San Gregorio l’Illuminatore.

Il titolo ecclesiastico di Catholicos veniva attribuito al capo di alcune chiese che storicamente si svilupparono all’esterno dell’Impero romano. Corrisponde al titolo di Patriarca, usato invece nelle chiese sorte all’interno dei confini dell’Impero.

La chiesa aveva una pianta a tetraconch (cioè con quattro absidi) inscritta in un ambulacro internamente circolare che esternamente era un poligono a trentadue facce che, visto in lontananza, doveva apparire circolare ed era alta ben tre piani. Fu distrutta nel 930 d.C. da un terremoto.

In questo render 3D che vedete sopra c’è la ricostruzione della Chiesa di Gagkashen ad Ani che fu eretta come riproduzione semplificata della già al tempo perduta Cattedrale di Zvartnots.

Bagrat ci spiega che la chiesa presentava una serie di debolezze strutturali che ne avevano minato la stabilità. Intanto era stata utilizzata una malta mista ad ossidiana per rendere più durevole l’impasto. Ma questo aveva portato nel tempo la malta a contrarsi e la chiesa ad abbassarsi di alcuni metri. In più gran parte del peso gravava su pochi pilastri mentre gli archi non erano progettati con una sufficiente capacità di distribuzione delle forze. Il terremoto quindi diede il colpo di grazia ad una struttura già in crisi strutturale.

Dopo aver visitato anche il museo archeologico – dove ammiriamo anche un modellino della cattedrale – ci spostiamo alla Chiesa di Santa Hripsime (Ripsima). Fu costruita attorno al 618 d.C. per volere del Catholicos d’Armenia Gomidas sul sito in cui sorgeva il mausoleo contenente le reliquie di Santa Ripsima, fatto costruire nel 395 d.C. da Isacco il Grande. Il nome della chiesa si deve a Hripsime o Ripsima la cui agiografia normalmente racconta come lei sarebbe stata una giovane nobildonna romana, rinomata per la propria straordinaria bellezza, che viveva in una comunità monastica femminile guidata da una donna di nome Gaianè o Gaiana. Per sfuggire alle mire dell’imperatore Diocleziano tutte queste donne fuggirono da Roma, riparando in Armenia dopo essere transitate per l’Egitto, la Palestina e la Siria. L’imperatore contattò quindi Tiridate III, re d’Armenia, chiedendogli di rimandare indietro Ripsima o di sposarla lui stesso. Tiridate la fece cercare dai suoi servi che, una volta trovatala, le intimarono di sottomettersi al volere del re. Ripsima dichiarò invece che lei e le sue compagne erano già sposate con Cristo e che quindi non potevano prendere un altro marito sulla terra. Infuriato, Tiridate la diede ai torturatori, che le strapparono la lingua, le aprirono lo stomaco, l’accecarono e quindi la uccisero! Ispirate da lei, Gaiana e altre due donne scelsero di seguire la stessa sorte, mentre tutte le altre vergini vennero passate a fil di spada, e i loro corpi gettati alle bestie. Tutto questo avvenne l’ultimo anno in cui San Gregorio l’Illuminatore era imprigionato. L’anno successivo, con la conversione del regno al cristianesimo, il Santo potè raccogliere le ossa delle martiri e costruire una cappella in legno, poi successivamente trasformata in pietra. Questa sarebbe la cripta della chiesa che però non possiamo visitare perchè è in corso la funzione del Giovedì Santo.

Fatto singolare ed eccezionalmente unico nella storia recente, quest’anno la Pasqua Cattolica – che cade domenica 20 aprile 2025 – coincide con quella Ortodossa per una sovrapposizione piuttosto rara degli eventi lunari sui quali si basa la celebrazione pasquale e dei calendari gregoriano e giuliano adottati dalle due comunità ecclesiastiche.

Andiamo finalmente a visitare la Santa Sede della Chiesa di Armenia, la Cattedrale di Echmiadzin, sede del Catholicos d’Armenia e di tutti gli armeni. La chiesa sorge in un vasto complesso con giardini e palazzi adibiti a varie funzioni istituzionali. La chiesa fu costruita originariamente tra il 301 ed il 303 d.C., datazione che la rende l’edificio di culto cristiano più antico del paese e di tutta l’ex Unione Sovietica. La chiesa fu quindi dedicata alla Theotókos (Madre di Dio), ma col passare del tempo ci si riferì sempre più frequentemente all’edificio con il nome di Echmiadzin (il luogo dove discese l’Unico Figlio). La cattedrale è stata modificata e restaurata varie volte nel tempo prima di assumere la forma attuale. Nel parco che la circonda sono conservati numerosi khachkar, tra cui spiccano alti e nivei i khachkar gemelli, riproduzione di due opere d’arte distrutte nel Cimitero di Julfa in Naxçıvan.

Anche nella Cattedrale sono in corso le celebrazioni eucaristiche del Giovedì Santo ma comunque possiamo ammirare lo splendore degli affreschi e dei decori dell’interno.

Nel complesso di Echmiadzin visitiamo anche la Chiesa di Santa Gaianè (Gaiana). Prende il nome dalla badessa di Ripsima e fu costruita nel 630 d.C. per volere del catholicos d’Armenia Esdra I. La sua fisionomia architettonica è rimasta intatta, nonostante parziali restauri alla cupola ed al soffitto realizzati nel 1652 d.C.

Dopo un pranzo rapido in una della tante food court intono il complesso torniamo a Yerevan per visitare la Casa Museo di Sergei Paradjanov (link qui), il più famoso regista, sceneggiatore ed artista armeno. Secondo in Unione Sovietica solo a Tarkovskij, la sua opera affronta in chiave surrealista e visionaria le tradizioni popolari delle regioni caucasiche. Paradjanov è stata soggetto a fortissime censure da parte delle autorità sovietiche, subendo anche per due volte l’arresto.

La sua opera cinematografica più famosa è Il Colore del Melograno, film che racconta la vita del trovatore armeno del Settecento Sayat-Nova, dall’infanzia alla corte regale, dal ritiro in un convento alla morte. Paradjanov stesso afferma in una tavola introduttiva che il film è un tentativo di spiegare la vita di Sayat-Nova in modo poetico, con immagini ispirate alle sue opere, oltre che alla sua vita. Il film è diviso in capitoli introdotti da pannelli che presentano passaggi dalle poesie di Sayat-Nova sebbene Bagrat ci confermi che non è un cortometraggio facile da seguire o interpretare.

Nella casa museo ci sono molte opere di Paradjanov che si rivela ai nostri occhi padrone dei molti materiali con cui riusciva a creare oggetti mirabili, sebbene sempre caratterizzati dalla sua vena surrealista. Esempio lampante il Treno del Comunismo dove le mosche adagiate sulla locomotiva stanno ad indicare che il treno è ormai fermo. Senza contare che le mosche solgono posarsi sugli escrementi! Bagrat ci spiega che spesso le autorità sovietiche erano spiazzate dalle sue opere, non riuscendo sempre ad inquadrarle e questo ha permesso all’artista una iniziale maggiore libertà d’espressione.

Bagrat ci spiega inoltre che Paradjanov è tornato d’interesse per noi occidentali grazie al video musicale 911 di Lady Gaga che presenta numerosi richiami al suo lavoro artistico, specialmente a Il Colore del Melograno che viene citato in uno dei manifesti cinematografici inquadrati alla fine del video.

Ultima tappa la Moschea Blu, l’unica moschea attiva in territorio armeno. Trasformata in una biblioteca e nel Museo della Città di Yerevan sotto il regime sovietico, dopo il 1991 fu sottoposta a un radicale restauro finanziato dal governo iraniano. Questo ne fa una moschea sciita in una nazione dove i (pochi) mussulmani sono sunniti.

Decidiamo di cenare alla Dari Tavern (link qui), dove mangiammo la prima sera in città.

18 aprile 2025

Lasciamo Yerevan in una giornata splendida con l’Ararat perfettamente visibile sia dalla città che dall’aeroporto di Zvartnots 👋🏻

Puoi tornare alla tappe principali del viaggio grazie al menu qui sotto