Skip to content

2015

Galapagos

Nikon D5300, Nikkor 18-200, Sigma 150-500, Nikon Coolpix AW100 e iPhone 6

14 agosto 2015

Si parte per le Galapagos. Salutiamo Giovanni, il nostro autista. Abbiamo diviso i bagagli. Il vestiario per le Ande ed i souvenir li abbiamo lasciati sul suo bus e ce li farà trovare in albergo a Quito. Portiamo con noi solo un bagaglio più contenuto, visto che passeremo una settimana in barca.

All’aeroporto facciamo subito una prima fila per far sigillare i bagagli e pagare 20 dollari per una tassa aeroportuale. Due ore di volo ed atterriamo all’aeroporto Seymour, Isla Baltra, Galapagos. Cambiamo fuso orario, passando dal -7 dell’Ecuador continentale al -8 delle Galapagos. Appena atterrati altra fila per il controllo passaporto e per pagare 100 dollari (rigorosamente in contanti) di tassa di ingresso. Questi soldi andranno direttamente al Centro Darwin (link qui), la stazione scientifica che si occupa di preservare l’ambiente e la biodiversità nel Parco Nazionale delle Galapagos (link qui). Superati i controlli troviamo ad accoglierci la nostra guida, Julio Pachay (link qui).

Julio è una guida naturalistica ed è nato e vive alle Galapagos. Ci fa salire su dei torpedoni che ci portano al porticciolo, dove veniamo imbarcati sulla nostra nave, la Golondrina (link qui). Il giro completo dell’arcipelago prevede quindici giorni di crociera. In una sola settimana si vedranno solo alcune isole. Gli itinerari sono prestabiliti ed autorizzati dal Parco Nazionale. Sono comunque pensati per far vedere ai turisti più o meno le stesse specie animali presenti nell’arcipelago. L’accesso alle Galapagos è infatti molto limitato. Sono accolti solo 200.000 turisti l’anno. Si può risiedere sulle poche isole abitate e da lì effettuare delle escursioni giornaliere oppure effettuare una crociera in barca. In questo secondo caso è obbligatorio avere a bordo una guida autorizzata e le escursioni a terra o lo snorkeling sono rigidamente regolamentate. Ogni imbarcazione può far sbarcare i turisti in un determinato posto, ad un determinato orario, onde non far assiepare troppe persone in contemporanea nello stesso punto. A terra bisogna rimanere in gruppo e seguire i sentieri tracciati. Ovviamente non si possono lasciare rifiuti, non si può dare da mangiare agli animali, non si può fumare. La violazione di queste regole comporta l’incorrere in gravi sanzioni. Come ci spiega Julio il problema non sono i piccoli gruppi come il nostro, composto da persone sufficientemente motivate ed attente. Il problema sono i gruppi numerosi, dove immancabilmente ci si ritrova con qualche persona poco intelligente che fa la cosa sbagliata.

Salpiamo subito per Las Bachas. E siamo subito in Paradiso. Una baia dalle acque cristalline. Pellicani che si tuffano davanti a noi per catturare i pesci. Granchi sugli scogli ed iguane sulla spiaggia!

Julio ci accompagna attraverso un sentiero che costeggia la spiaggia e ci fa vedere il perché questo posto si chiami las bachas. Dalla sabbia emerge un relitto, che è il poco che resta in realtà di due chiatte arenatesi qui al tempo della II Guerra Mondiale. Gli Stati Uniti al tempo avevano tre basi navali il cui compito era impedire che l’Impero Giapponese potesse arrivare sulle coste della California: una alle Hawaii, una presso il Canale di Panama e la terza alle Galapagos. Due chiatte (barges in inglese) furono abbandonate qui dopo essersi arenate. I locali non riuscivano a pronunciare correttamente la parola inglese “barges” e venne fuori il nome “bachas”.

Dopo il relitto incappiamo in una classico avvallamento segno che una tartaruga di mare ha deposto qui le sue uova. Poi arriviamo ad una piccola laguna con dei fenicotteri rosa. I fenicotteri rosa non sono comuni alle Galapagos. Ci sono solo qui e nell’isola di Floreana.

Tornati alla spiaggia dove eravamo sbarcati ci godiamo il mare ed il sole. L’acqua è fresca, ma una volta dentro mi abituo velocemente. Non per tutti è così. Se siete freddolosi sappiate comunque che sulle imbarcazioni si possono sempre affittare delle mute.

Quando risaliamo a bordo l’equipaggio ci accoglie per un cocktail di benvenuto e per le presentazioni di rito. Le cabine hanno due cuccette a castello ed un bagno con doccia. C’è anche un armadio. Siamo più che comodi. Le navigazioni saranno sempre notturne. Non è il massimo per un riposo tranquillo, ma le distanze sono notevoli e solo così si possono ottimizzare i tempi. Le cabine sono distribuite su tre livelli: sottocoperta, all’altezza del ponte (la mia) e sul castello. Tra rumore del motore (soprattutto sottocoperta) e rollio accentuato (noi) si dorme poco e male. Ci sono comunque tante occasioni durante la giornata per schiacciare un pisolino e recuperare il sonno perduto, per cui non ne risentiamo più di tanto. Ah… di notte si balla, anche parecchio. Se soffrite il mal di mare portatevi della xamamina.

15 agosto 2015

La meta del giorno di Ferragosto è la lontana e disabitata isola di Genovesa. Navighiamo tutta la notte per arrivare esattamente alle 6 del mattino, orario previsto per la nostra escursione a terra. Le Galapagos sono isole vulcaniche e Genovesa incarna alla perfezione questa origine. Gettiamo infatti l’ancora in una caldera allagata dal mare. Emergendo dalle cabine – dopo una notte in bianco per rumore e rollio – il colpo d’occhio su queste pareti a picco sul mare che ci circondano da ogni lato è stupefacente. Bando alle ciance, indossiamo i giubbotti salvagente e saliamo sui due tender per sbarcare. C’è una scala scavata nella roccia che permette l’ascesa all’isola. Ma siamo all’alba e sul gradino in basso dorme un lobo marino (i leoni marini sudamericani sono otarie del genere Otaria flavescens). Non vuole spostarsi ed allora uno dei ragazzi dell’equipaggio lo costringe ad allontanarsi gettandogli dell’acqua davanti. Il lobo non gradisce. Si gira, si allontana e poi fa tutti, ma proprio tutti, i suoi bisogni sugli scalini 💩 E per fortuna che abbiamo le scarpe da trekking. Per la puzza invece non c’è nulla da fare 👃🏻

Gli animali delle Galapagos hanno conosciuto l’uomo solo in tempi recentissimi e non sono abituati a temerlo. Mentre normalmente gli uccelli volano via quando ci si avvicina loro, qui non scappano affatto. E’ una atteggiamento stupefacente, che richiede una notevole dose di attenzione da parte nostra. Siamo spesso tentati di avvicinarci troppo, per scattare una foto in primo piano finanche col cellulare. Julio ci invita quindi ad essere cauti, perché se infastidiamo gli uccelli e li induciamo ad abbandonare un nido con le uova, poi loro non torneranno a covarle.

Il sentiero dove possiamo camminare si dipana sulla cima piatta dell’isola tra arbusti e piccoli alberi. Siamo letteralmente circondati da due specie di sule. A terra nidificano le sule pata negra, le sule dalle zampe nere (Sula granti). Se ne vanno in giro camminando, ti incrociano sul sentiero, si fermano, ti guardano… e restano così finché non cedi loro il passo! Sugli alberi invece nidificano le sule pata rocha, le sule dalle zampe rosse (Sula sula) che personalmente reputo più belle delle pata negra.

Avvistiamo anche un gufetto che si nutre nelle ore diurne anziché di notte. Per fotografarlo è stato fondamentale il mio obiettivo Sigma 150-500 tanto era distante e nascosto in un anfratto. Ovviamente su tutte le isole sono abbondanti i fringuelli di diverse specie.

Come potete vedere sopra, la giornata prevede uno snorkeling. Il tempo è plumbeo e l’acqua è veramente fredda. Personalmente salto lo snorkeling, ma un gruppo ridotto affitta le mute ed ha le prime soddisfazioni: qualche lobo che nuota tra di loro.

Il pomeriggio sbarchiamo sulla spiaggia. Anche qui effettuiamo una escursione tra lobos che sonnecchiano sulla rena, iguane di mare, granchi e nidi di fregate. Bisogna essere sempre vigili con i lobos. Se ci si avvicina troppo, possono mordere.

16 agosto 2015

Dopo una notte meno in bianco della precedente – ci si inizia ad abituare alla navigazione notturna – arriviamo all’alba all’Isla Bartolomé.

Julio tutte le sere ci scrive sulla lavagna il programma del giorno dopo, raccomandandosi sempre di rispettare gli orari di partenza per non limitare il tempo sulle isole.

L’isola è piccola e brulla ma Julio ci assicura che la vista del promontorio che si protende verso la Isla Santiago merita l’ascesa al mirador. Da lì si può ammirare uno dei paesaggi più fotografati dell’arcipelago!

Complice l’orario dello sbarco, l’ascesa al belvedere è meno faticosa del previsto. Dopo esserci goduti il panorama ritorniamo ai tender, per scoprire che sugli scogli ci attendono una coppia di pinguini. Quelli delle Galapagos sono gli unici pinguini che vivono all’equatore. Julio, la nostra guida, ci spiega che esiste una corrente australe di acqua fredda che ne ha permesso l’arrivo. La colonia non è numerosa – anche se ultimamente si è allargata (leggete qui) – e ci dice Julio che bisogna essere fortunati per vederli. Questo evidentemente è l’anno giusto, o noi siamo molto fortunati, perché nuoteremo in compagnia dei pinguini sia la mattina che il pomeriggio. Quelli delle Galapagos sono piccoli, una cinquantina di centimetri di altezza. Solo quelli australiani sono più piccoli di loro.

Dopo colazione sbarchiamo in questa magnifica baia che abbiamo ammirato dall’alto. L’acqua è cristallina ed i due pinguini che avevamo incrociato prima nuotano da un lato all’altro della spiaggia per pescare. A terra, come in tutte le spiagge delle Galapagos, i tafani sono abbastanza fastidiosi. Ma tanto noi vogliamo stare in acqua ed indossate maschera, boccaglio e pinne andiamo a circumnavigare il grosso sperone roccioso.

Sott’acqua ci sono anemoni, stelle marine e grossi pesci colorati. E qualche lobo che nuota. Julio ci spiega che a causa del fenomeno climatico detto El Niño (link a Wikipedia qui) quasi tutto il corallo è scomparso dalle isole. Peccato.

Dopo pranzo sbarchiamo a Sullivan Bay, sull’Isla Santiago. Per prima cosa ci avventuriamo in un’escursione su un letto di lava abbastanza recente, centotrenta anni circa. E’ una lava nera ancora non erosa dagli agenti atmosferici. Al pari di quella del Kilauea, che vidi alle Hawaii, questa lava è molto fluida e quando scorre ingloba molta aria. Ragion per cui una volta solidificata risulta molto porosa e leggera. E’ uscita una giornata splendida ed il sole brilla in cielo. Non vi dico quanto caldo si possa percepire qui sulla lava.

Ok, è ora di un bagno. Torniamo agli scogli e troviamo una nuova coppia di pinguini che trasformiamo nei nostri modelli fotografici. Fatte quel centinaio di foto sia con le reflex che con gli smartphone finalmente è veramente ora di un bagno. Indossiamo maschera, boccaglio e pinne e via in acqua 🤿

La scena che mi si presenta una volta in acqua è da documentario!!! Un enorme tartarughone marino intento a brucare le alghe sott’acqua, un pinguino che nuota a pelo d’acqua più altri due pinguini che lanciano i loro richiami dagli scogli. Ideona! Con la macchina fotografica waterproof posso fare un video salendo in verticale dalla tartaruga sott’acqua ai pinguini sul pelo ed uscendo dall’acqua finire con i pinguini sugli scogli 🎬 Peccato che la macchina waterproof decida di smettere di essere waterproof proprio in quel momento e muore così 😱

Risaliamo per cena – qui si cena sempre presto –  e poi la nave riparte. Altra notte mezza insonne. Per fortuna che di giorno ci sono i famosi tanti momenti morti in cui sonnecchiare e recuperare. La meta di domani è l’Isla Santa Fé.

17 agosto 2015

In realtà facciamo sosta all’alba presso una coppia di isole di fronte Isla Santa Cruz, chiamate Plazas Sur (Isla Plaza Norte e Isla Plaza Sur per la precisione). Lo spettacolo che la natura ci riserva allo sbarco è straordinario. Un manto di colore cangiante tra le varie tonalità dell’arancione!

Qui infatti le rocce sono ricoperte da Sesuvium edmonstonei, una pianta nota anche come erba di mare o portulaca. È una pianta succulenta, in grado di adattarsi a una varietà di condizioni ambientali e cambia il suo colore a seconda delle stagioni, passando dal verde della stagione delle piogge all’arancio della stagione secca.

Su queste isole, oltre ad una colonia di lobos, vivono delle iguane terrestri. Queste iguane si nutrono di cactus, delle loro foglie e dei loro frutti. Uniche al mondo, sono in grado di mangiarne addirittura le spine. Non si arrampicano sulle piante però. Attendono pazientemente che il loro cibo cada a terra. Julio ci spiega che a differenza delle iguane di mare, che hanno una coda piatta che permette loro di nuotare, queste ne hanno una tondeggiante e quindi non possono muoversi in acqua. I due tipi di iguana appartengono a specie diverse e quindi non si accoppiano tra loro. Anche se ultimamente c’è stata una notevole eccezione e ciò è accaduto. Sono nati una femmina e due maschi ibridi che si arrampicano sui fichi e che nuotano.

Finita l’escursione si riparte per andare all’Isla Santa Fé. Gettiamo l’ancora in una bella baia e come da programma pranziamo presto per avere il tempo di digerire prima dello snorkeling.

Col tender ci portano su un lato dell’isola non distante ed Indossati maschera e boccaglio ci tuffiamo per ritrovarci circondati dai lobos che nuotano intorno e tra di noi. Anche qui incrociamo qualche tartaruga marina. Finito il bagno risaliamo a bordo per prepararci allo sbarco a terra.

Dobbiamo sbarcare sulla spiaggia di fronte la barca. Ma è proibito mettere piede nell’acqua antistante la spiaggia. Il motivo è presto detto. Dato che sulla riva si riposa una colonia di lobos marinos, sotto costa è zeppo di squali in agguato! Roba che a 500 metri ci si poteva fare il bagno, ma qui no!!! Comunque sia, sbarchiamo sugli scogli e gironzoliamo sulla battigia piena zeppa di lobos spiaggiati, impanati di sabbia e sonnacchiosi.

Facciamo un giro dell’isola seguendo un sentiero che si inoltra nell’interno. Qui vive una specie di iguana di terra differente da quella vista stamane. Queste iguane sono molto territoriali, per cui se ne stanno ognuna per i fatti propri.

Seguendo il sentiero raggiungiamo una seconda spiaggia dove incappiamo in un’otaria che non ce l’ha fatta a sopravvivere all’aggressione di uno squalo. Attaccata al ventre è riuscita a portarsi a riva per morire sulla terraferma. La scena ci rattrista, ma sono i ritmi della natura che qui domina sovrana.

18 agosto 2015

La mattina raggiungiamo la Isla San Cristòbal e sbarchiamo sulla spiaggia del Cerro Brujo. Anzi, prima di sbarcare, scorrazziamo sui tender per archi rocciosi e caverne che si aprono sulla punta del promontorio, con il Kicker Rock (la vedete meglio nella foto sotto) sempre sull’orizzonte.

Julio ci spiega che probabilmente tutta la zona tra la scogliera ed il Kicker Rock era un’unica enorme caldera vulcanica poi collassata. Le distanze tra gli estremi di ciò che resta di questa bocca sono enormi e ci danno l’idea della portata delle forze che si sono sprigionate in un remoto passato nelle acque dell’Oceano Pacifico.

Il tempo non è un granché. Fa caldo ma il cielo è quasi sempre coperto. Un peccato perché la spiaggia è incantevole ed in pieno sole sarebbe stata ancora più bella. Questo però alla fine è un dettaglio perché comunque tra sabbia bianca abbacinante, lobos impanati nella sabbia ed un bagno in un’acqua favolosa restiamo più che soddisfatti di questo paradiso.

Nel pomeriggio sbarchiamo sull’Isla Lobos, dove nidifica la bellissima sulpata azûr (Sula nebouxii).

Le sule dai piedi azzurri sono indubbiamente tra gli uccelli più belli ed eleganti delle Galapagos. Oltre agli incredibili piedi colorati tra l’azzurro e l’acquamarina hanno la peculiarità di essere monogame. Nel video sopra potete vedere il marito mentre porge alla moglie i rametti per costruire il nido ed attua un’elegante danza per donarglieli.

Queste sule depongono poche uova a terra, nel caso di questa coppia soltanto una. Fanno un baccano tremendo con i loro richiami ma sono dolcissime tutte prese dal loro rituale.

Risaliti a bordo ci spostiamo a Puerto Baquerizo con la nostra ormai solita scorta di fregate al seguito. La sosta non è prevista nell’itinerario, ma il comandante dice che dobbiamo rifornire la cambusa. Ora… calcolando che quasi tutto l’equipaggio scende a terra e alla risalita nessuno porta vettovaglie, immaginiamo che sia stata una scusa per una sosta fuori programma. Magari l’equipaggio aveva voglia di mettere i piedi a terra. E sinceramente anche a noi non dispiace farlo, per cui accogliamo con entusiasmo la possibilità di sbarcare.

San Cristòbal è una delle poche isole abitate nell’arcipelago. Nella cittadina di Puerto Baquerizo ci sono molti negozzietti di souvenir, qualche ostello e varie agenzie specializzate in escursioni. Facciamo qualche compera e ci rilassiamo tre due chiacchiere ed una birra.

19 agosto 2015

La prima escursione della giornata è su Isla Española, a Punta Suarez. Sbarchiamo e ci incamminiamo lungo il sentiero. E ci troviamo davanti letteralmente un manto di iguane marine addossate l’una all’altra.

Juan ci spiega che stanno aspettando di accumulare sufficiente calore grazie al sole prima di entrare in attività. Sono veramente accalcate l’una sull’altra, completamente immobili, ed a ben guardarle sembrano quasi delle piccole Godzilla 🤪

Il sentiero ci fa scendere lungo una scogliera su una piccola spiaggia dove, meraviglia, troviamo delle femmine di Lobos che allattano dei piccoli nati da poco. Juan ci dice che sono nati il giorno prima visto che tra la sabbia individua i resti della placenta.

Risalendo lungo la scogliera incrociamo un nugolo di uccelli diversi. Ma prima di proseguire tra gli scogli osserviamo anche una scena particolare che ho la prontezza di filmare.

Noi ovviamente non ci avremmo fatto caso. Infatti è Julio che, notevolmente incuriosito, ce ne fa notare l’unicità. Tra gli scogli un airone della lava ha infilzato col becco un fringuello di Darwin e lo affoga prima di mangiarlo. Julio ci dice che la scena è del tutto inattesa ed una volta tornato in Italia l’ho caricata su YouTube per permettergli di poterla condividere con i ricercatori del parco.

Sul tetto della scogliera le onde incanalandosi nelle crepe della roccia danno addirittura vita ad un soffione. Poco più in là incrociamo anche una colonia di albatros e li ammiriamo decollare lanciandosi nel vuoto con le loro lunghe ali.

Tornando all’imbarcadero ho l’occasione di replicare la celebre foto di Salgado con la mano quasi umana di un’iguana 📸 ma soprattutto assistiamo a molte iguane che si lanciano in acqua e nuotano dalla costa ad un gruppo di scogli poco distanti.

Nel pomeriggio andiamo a rilassarci nella Bahía Gardner, una spiaggia incantevole dove stendiamo i nostri teli per sonnecchiare un po’. D’altronde… cosa potrebbe andare storto?!?

C’è maretta nella colonia dei lobos nostri vicini di spiaggia… Un maschio dominante rientra da una nuotata e scaccia i giovani che insidiavano le sue femmine. I quali trotterellano allegramente verso di noi. Che siamo costretti a traslocare per non venir asfissiati dall’intenso odore emanato dai lobos.

Ah… mi sa che non ve l’ho detto. I lobos puzzano come pochi. Sarà il grasso, sarà che rigurgitano spesso per espellere i carapaci dei crostacei di cui si nutrono, sarà l’urina, ma puzzano! Certo non siamo al livello dell’anno scorso alla colonia di otarie di Cape Cross in Namibia, dove ce n’erano a migliaia… Però anche qui, che sono in poche, puzzano. Quindi è meglio stare a debita distanza con teli e zaini.

20 agosto 2015

La mattina sbarchiamo su Isla Floreana, a Punta Cormorant. Julio ci spiega che l’isola prende il nome da Juan José Flores, primo presidente dell’Ecuador, sotto la cui amministrazione l’arcipelago fu rivendicato. Le Galapagos sono famose grazie a Darwin ma oggettivamente sono isole brulle, povere di acqua ed abitate da animali poco attraenti. Erano utilizzate come punto d’appoggio da balenieri e pirati (avete visto il bellissimo film Master and Commander?!?) ma nessuna nazione le aveva mai colonizzate. Così ad un certo punto fu l’Ecuador a farlo, battezzandole Arcipelago di Colón, Arcipelago di Colombo. Cristoforo Colombo, che vabbè navigò nell’Oceano Atlantico, non nel Pacifico… Ma comunque era un bel nome! Inutile dire come nessuno le conosca con il loro nome ufficiale 🤷🏻‍♂️

A Punta Cormorant vediamo (da molto, molto lontano) altri fenicotteri rosa e le tracce delle tartarughe marine che da poco hanno deposto le loro uova e sono tornate in mare.

Ci spostiamo poi a Isla Santa Cruz, per sbarcare a Puerto Ayora, 5000 abitanti, la metropoli dell’arcipelago. Prima escursione, il Centro Darwin (link qui).

Il Centro è in assoluto uno dei posti in cui è più semplice avere una visione globale delle varie specie di tartarughe presenti in tutte le isole. Gli uomini del parco infatti, per evitare che formiche e topi mangino le uova delle tartarughe, le raccolgono e le fanno schiudere nel centro. Poi ad 8 anni riportano le giovani tartarughe nel posto esatto dove avevano prelevato le uova. L’opera è meritoria e fondamentale visto che la popolazione si è contratta da duecentomila unità stimate a ventimila. In ogni isola vivono tartarughe di specie diverse, caratterizzate da carapaci dalle forme caratteristiche.

Il Centro Darwin è molto suggestivo e permette di osservare con facilità le tartarughe. Anche perché in natura questi animali vivono nell’interno delle isole, nelle zone di erba alta, dove se anche fosse possibile andare (ed i turisti non possono andare oltre le spiagge) sarebbe difficile scorgerle. Grazie a Julio abbiamo la possibilità di andare a visitare una fattoria all’interno dell’isola, all’interno della riserva El Chato. Qui le tartarughe sono libere ed immerse nel loro ambiente naturale.

Mentre a Puerto Ayora il tempo era clemente, all’interno pioviggina. Julio ci spiega che è una fortuna, perché è in queste condizioni che le tartarughe sono attive e si nutrono. Così possiamo rimirare questi preistorici giganti brucare l’erba e spostarsi lentissimamente. La cosa stupefacente è che conosciamo pochissimo delle tartarughe giganti. Ne esiste una sola specie alle Seychelles e tutte le altre vivono in queste isole. Nessuno sa esattamente quanto a lungo vivano. Si stima sui 150-200 anni. Ci spiega sempre Julio che la parte scientifica dell’Ente Parco esiste da una trentina d’anni e quindi si conosce con esattezza l’età solo delle tartarughe più giovani.

Serata cocktail al Bongo Bar di Puerto Ayora 🍸 E’ la nostra ultima sera in queste isole fuori dal tempo… Qui c’è addirittura il wifi di Schrödinger che c’è ma al contempo non c’è: ti connetti ma va così lento che non parte nemmeno un messaggino testuale 😂

21 agosto 2015

Escursione all’alba a North Seymour. Come sempre, ogni volta che sbarchiamo c’è sempre qualcosa di nuovo da vedere. Qui ci attendono le fregate in calore.

I maschi gonfiano il gozzo colorato di rosso per attirare le femmine. Non sono bellissimi? Tipo noi quando mettiamo delle cravatte sgargianti 😎 Tornando seri, i maschi esibiscono il loro paramento dal colore vivido sia quando sono a terra sia quando sono in volo in modo da massimizzare la possibilità di attirare le femmine.

Anche qui ci sono esemplari di sula pata azur, che hanno anche un nido abbastanza riconoscibile. Julio ci invita a fotografare una scena perfetta con allineati tre degli animali iconici dell’arcipelago: un’iguana con alle spalle una sula ed una fregata 📸

In tarda mattinata abbiamo il volo di ritorno per Quito. In tutta la crociera abbiamo avuto molto tempo da spendere a bordo, proprio per le ferree regole che governano lo sbarco dei turisti nel Parco Nazionale delle Galapagos. Ne ho approfittato per montare con iMovie il video che vedete qui sopra. Ho fatto tutto sull’iPhone: le foto, i filmati (a velocità normale, in slow motion, in timelapse), le transizioni e le scritte in sovrimpressione, la sincronizzazione della musica. Ero molto ispirato…

Dopo uno scalo a Guayaquil, atterriamo a Quito nel pomeriggio. Come raccontavo in precedenza, il vulcano Cotopaxi aveva eruttato da una quindicina di giorni ormai. Dato che si trova a circa 140 km da Quito, la colonna di ceneri che si alza dal cratere era ben visibile al nostro atterraggio nella capitale.

Alloggiamo di nuovo all’Hotel Real Audiencia (link qui) e ceniamo ad un ristorantino dietro l’angolo dell’albergo, lo Sheriff Colonial.

22 agosto 2015

Abbiamo una mezza giornata a disposizione prima del rientro a casa ed abbiamo inserito un’ultima escursione. La nostra meta è il mercato di Otavalo. Purtroppo i mercati non si tengono tutti i giorni ed inserirli nel proprio itinerario non è mai facile. Di buon ora la mattina saliamo su un pulmino – questa volta non è bello largo come quello con cui abbiamo viaggiato in precedenza – ed accompagnati da Ivan Collantes facciamo una prima sosta in un’altra località dedicata all’Equatore.

Questa località sulla Mitad del Mundo si chiama Quitsato (link qui) ed è caratterizzata da un enorme meridiana, costituita da una piazza con un obelisco al suo centro, e con il vulcano Cayambe sullo sfondo. Il sito è un progetto no-profit della comunità locale il cui scopo è preservare aspetti cruciali delle conoscenze astronomiche delle culture pre-colombiane della regione. Il sito si sostiene economicamente con la vendita di libri e dvd dedicati all’astronomia e all’archeologia. Uno dei membri della comunità ci illustra il loro progetto di cambiare l’orientazione delle carte geografiche passando dall’orientazione Nord-Sud ad una Est-Ovest, geopoliticamente neutra visto che seguirebbe il corso del Sole (link qui).

Riprendiamo il cammino per effettuare una seconda sosta ad Imbabura, dove ci godiamo la vista dal miralago della Laguna de Yahuarcocha. Da lì diamo un passaggio ad una ragazza vestita in abiti tradizionali che ci canta alcune canzoni della sua gente. E ci vende anche alcuni scialli tessuti dalla sua famiglia.

Arriviamo infine al mercato di Otavalo. Che è un mercato enorme dove poter compare tutto, ma veramente tutto, quello che uno avrebbe potuto comprare in qualunque altro posto dell’Ecuador, ma a prezzi inferiori.

Ma la cosa veramente affascinante del mercato di Otavalo, come di tutti i mercati, è essere specchio della popolazione che lo anima.

Finiti gli acquisti ci fermiamo per pranzo presso una locanda sul mirador della Laguna de Cuicocha. La vista è molto rilassante e ci godiamo il nostro ultimo pasto in Ecuador.

Puoi tornare alla tappe principali del viaggio grazie al menu qui sotto