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2015

sulle Ande

Nikon D5300, Nikkor 18-200, Sigma 150-500 e iPhone 6

6 agosto 2015

Classica giornata che parte come “di solo spostamento” e che invece riserva una sorpresa inattesa! Lasciamo l’Amazzonia per tornare sulle Ande. La nostra meta è Baños, a 160 km da Ahuano. Tutti in curva ed in salita ovviamente. Solite noiose soste lungo la strada, finché a venti chilometri da Baños non ci fermiamo per pranzo e per vedere una cascata, El Pailòn del Diablo. Ammetto che siamo andati a vederla più per fare due passi dopo tanta strada in pulmino che perchè incuriositi dalle guide.

Ci avviamo per un lungo percorso attraverso il verde che ci porta addirittura a passare su un ponte tibetano. Il nostro entusiasmo cresce ma non siamo preparati allo spettacolo che ci si offrirà allo sguardo una volta raggiunta la cascata!

El Pailòn del Diablo è veramente straordinaria, con il suo sentiero scavato nella roccia fin sotto il muro d’acqua! Prima percorriamo il sentiero che si apre sotto la cascata (lo vedete nel video, in basso sulla destra). Sull’ultima terrazza siamo bagnati come pulcini. Poi percorriamo un secondo sentiero che, tramite un altro paio di ponti tibetani, ci porta sopra la cascata stessa – che poi è il punto da dove ho girato il video qui sotto.

Nel pomeriggio raggiungiamo Baños de Agua Santa. Ci sistemiamo all’Hotel La Floresta (link qui) e visitiamo la città. Baños è una località turistica molto gettonata in Ecuador, con molteplici attività outdoor: rafting, kayak, equitazione, mountain bike, ecc.

Noi, restando solo per la serata, non abbiamo tempo per le escursioni e ci limitiamo a visitare la Basilica de Agua Santa e le terme. La chiesa è molto suggestiva, decorata con numerosi quadri ex voto che testimoniano i vari miracoli effettuati dalle acque di Baños. Chiudiamo la serata con una spettacolare grigliata mista e vino rosso alla Steak House Bambu (link qui).

7 agosto 2015

Lasciamo Baños per il Cotopaxi. Con i suoi 5872 metri di altezza è la seconda montagna più alta dell’Ecuador. Battuto solo dal Chimborazo, alto 6310 metri. Il Cotopaxi è un vulcano dal cono perfettamente circolare ed ha eruttato l’ultima volta all’inizio del 1900. È il terzo vulcano più alto del mondo, dopo l’Ojos del Salado in Cile ed il Sabancaya in Perù.

Man mano che ci avviciniamo facciamo sosta in qualche mercatino di paese. Ed il Cotopaxi cattura sempre la nostra attenzione, lì sullo sfondo. Alla vista è straordinario con il suo cono perfetto, cinto da ghiacciai perenni, che si staglia contro il cielo. All’ingresso del parco ci attendono le nostre guide. Facciamo una prima sosta a 3600 metri dove c’è un piccolo museo in cui ci illustrano la storia geologica della zona. C’è anche un locale dove è possibile degustare mate de coca, il the alla coca che – secondo le guide – funge da facilitatore per adattarsi all’altezza. Come mi spiegarono a suo tempo i minatori boliviani di Potosì la storia non è così semplice: bisogna ruminare grandi quantità di foglie di coca insieme ad un catalizzatore, un minerale che permette l’estrazione della sostanza. Ma è pur sempre una bevanda calda che ristora e fare una pausa per berla vale sempre la pena.

Saliamo con il nostri bus fino ad un parcheggio a 4600 metri. Di lì si può raggiungere a piedi il rifugio a 4900 metri. Tira molto vento che spazza le nuvole che sovente sostano sulla cima. Ma il vento mi toglie l’aria e quando provo ad incamminarmi resto senza fiato. Decido allora di restare sull’autobus, non è mai saggio avventurarsi quando il fisico ti manda segnali così espliciti. Un intrepido manipolo di avventurieri però non si fa scoraggiare e, bardato di tutto punto, raggiunge il rifugio. Al loro ritorno il vento ha spazzato definitivamente via le nuvole e, come vedete dalla foto sopra, dal parcheggio la vista del cono avvolto dai ghiacciai è spettacolare!

Ci spostiamo col bus più a valle, a 3800. Qui c’è una laguna ed un bel sentiero ma soprattutto una vista fantastica del vulcano!

Dopo un giro sulle sponde della laguna e qualche altra foto al Cotopaxi – impagabile quella fattaci dalle nostre guide che inavvertitamente girano un video mentre cambiano angolazione del telefono 🤪 – andiamo a Latacunga, dove alloggiamo presso l’albergo Villa de Tacvnga (link qui). L’hotel è ricavato in una antica residenza coloniale spagnola ed ha annesso un buon ristorante. Ahinoi decidiamo di provare a cena un piatto tipico del posto, il chugchucaras. E’ un piatto con carne di maiale, platani, pop corn, e tostado (un tipo particolare di cereale locale) serviti su delle empanadas. Non ci piace un granché… peccato, perché normalmente le pietanze locali sono gustose e appaganti.

8 agosto 2015

Il nostro autista, Giovanni, ci propone un pranzo diverso dal solito. La sua famiglia vive nelle campagne a ridosso di Latacunga ed il suo papà alleva i cuy, i porcellini d’india. Qui sono una leccornia e si servono nelle occasioni importanti. Accettiamo la proposta e così, prima di andare a vedere la Laguna Quilotoa coma da programma, andiamo a conoscere il papà di Giovanni. Vive in un casolare di campagna. Come nelle città anche, e soprattutto, nelle campagne le differenze nella qualità di vita tra noi ed il resto del mondo sono più che evidenti.

La casa di questo signore sempre sorridente è modesta e necessiterebbe di una robusta ristrutturazione. Alleva molti cuy, stipati in gabbie di legno. Ci ha già messo da parte in un sacco una decina di animali e ce li fa vedere. Dopo una bella chiacchierata ed aver visto il nostro futuro pranzo – si, lo so, per chi non è vissuto in campagna l’idea di mangiare un animale con cui si è interagito può sembrare orrenda – ci diamo appuntamento per il pomeriggio e ci avviamo a proseguire la nostra escursione.

La nostra prima sosta è presso un negozio di artigianato lungo la strada per Tigua. E’ La Galerìa 1 del Maestro Julio Toaquiza Tigasi. Tutte opere di artigianato fatte in loco ed anche molto belle. Gironzolando intorno al negozio incontriamo anche un simpatico pastore con i suoi lama.

Per la sosta successiva ci fermiamo al mercato di Zumbahua. Parliamo di un mercato vero, non una versione ad uso turistico. E’ forse uno dei momenti più belli del viaggio sulle Ande. Passiamo il tempo a girare per le varie sezioni in cui è diviso: cibo, animali, abbigliamento mentre le persone del luogo pranzano o sono intente a contrattare. Ah si… mi son dimenticato di dirvelo. Qui si contratta sempre e ovunque. Dal maestro artigiano come al mercato. Sono tutti vestiti alla maniera tradizionale ed i turisti come noi sì, ci sono, ma non sono neanche così tanti.

Restiamo un’oretta buona in giro per il mercato e poi ci avviamo alla Laguna Quilotoa. La laguna è un enorme lago sulfureo che occupa la caldera spenta di un vulcano. Guardarla dall’alto è semplicemente fantastico. Il tempo oggi non ci è favorevole: molte nubi, poco sole ed i colori cangianti dell’acqua si intravedono appena le poche volte che il sole fa capolino tra le nubi.

Al ritorno dalla laguna torniamo a casa del padre di Giovanni. Ora ci sono altri parenti e dei vicini venuti per aiutare. Ci apparecchiano i tavoli nell’aia e finiscono di cucinare i cuy. Il sapore ricorda il coniglio ma è più gustoso. La carne è poca e va rosicchiata.

Nel tardo pomeriggio torniamo a Latacunga e visitiamo la città e le sue chiese. Iniziamo a notare come per illuminare le architetture sacre siano molto diffusi i neon dai colori vivaci. Che simpatica abitudine… pacchiana! Come esempio, uno per tutti, sopra potete vedere il video che ho fatto in una chiesa di Cuenca. Ditemi voi…

9 agosto 2015

Ci spostiamo ad Alahusì. Questa è una cittadina abbastanza povera, caratterizzata da un’enorme statua di San Pedro che la domina (anche questa un po’ pacchiana a dire il vero), da file di case colorate e gremita di persone che vestono in abiti tradizionali.

Prendiamo le stanze all’Hostal San Pedro. Ma perché siamo venuti qui? Per il treno. Eh si, qui c’è un treno che percorre quello che è rimasto della vecchia ferrovia che da Quito scendeva al mare a Guayaquil. Il tratto ancora in funzione unisce Alausì a Sibambe e percorre la Nariz del Diablo. La Nariz è una montagna di 1900 metri con i fianchi a strapiombo. Non potendo far girare il treno su dei tornanti per fargli discendere queste pendici, gli ingegneri ferroviari si inventarono un meccanismo di scambi che permette al convoglio di scendere a zig zag. Mi spiego meglio.

Il treno, per cambiare direzione, procede per un tratto lungo un binario morto, per poi percorrere a marcia indietro il tratto successivo ed immettersi nel tracciato successivo. Ogni scambio viene attivato a mano da un addetto che salta giù dal treno di volta in volta. Il tracciato complessivo è lungo 2 km e copre un dislivello di 800 metri.

I lavori durarono un anno, con un costo enorme soprattutto in termini di vite umane: furono ingaggiati operai e schiavi, neri, indigeni e giamaicani. In molti morirono a causa delle condizioni climatiche estreme, della febbre gialla e dei morsi di serpenti. Una volta la locomotiva era un ferrovecchio a vapore e ci si poteva sedere sul tetto dei vagoni (dopo essersi procurati un cuscino visto che il tetto non era stato adattato al tour panoramico). Poi negli anni ’90 due giapponesi ebbero la bella idea di alzarsi e fecero una brutta fine. Onde ragion per cui il governo ha proibito la seduta sul tetto ed ora c’è un treno panoramico tutto nuovo con delle ampie vetrate.

Il panorama lungo il tragitto è veramente poco interessante. Il canyon è stretto, brullo e spoglio. Se sul treno vi venissero assegnati i posti a monte (cioè sul lato destro alla partenza) avrete una vista sul panorama molto limitata e per fare due foto sarete costretti a chiedere il permesso a chi ha i posti a valle. Sibambe ahimè è una trappola per turisti. La località infatti consiste di fatto solo di una stazione con le solite bancarelle. C’è anche un gruppo folkloristico che si esibisce in danze locali.

10 agosto 2015

Da Alahusì andiamo sul Chimborazo. Come accennavo prima quando parlavo del Cotopaxi, il Chimborazo è la montagna più alta dell’Ecuador con i suoi 6310 metri. Anche se è più basso dell’Everest, la sua vetta è il punto più distante dal centro della Terra. Questo perché il nostro pianeta è schiacciato ai poli e slargato all’equatore. O forse… forse bisogna cambiare punto di vista. La cima coperta dai ghiacci del Chimborazo è il punto della Terra più vicino al sole. Ed è anche il posto dove lavora l’ultimo mercante di ghiaccio dell’Ecuador (qui l’articolo de Il Post che mi ha fatto scoprire questa storia).

Bene. Arriviamo all’ingresso del parco a 4400 metri e recuperiamo in questo primo rifugio la nostra guida, Pascal detto El Professor. I suoi amici lo chiamano così per l’aspetto, credo.

Pascal è un membro della comunità locale che gestisce il parco del vulcano. Ci racconta che una volta l’ha scalato tutto, raggiungendone la cima. La scalata va fatta in notturna perché di giorno il calore del sole rende il ghiaccio instabile. Si arriva sulla cima, si vede l’alba e si scende. Con lui ci spostiamo con il nostro pulmino fino al secondo rifugio, a 4800 metri. E qui un terzo del gruppo alza bandiera bianca. L’altezza si sente. C’è da fare a piedi questa salita fino al terzo rifugio, a 5000 metri. Ce la farò?!? Mi dico: proviamoci, alla peggio torno indietro. Al contrario della giornata sul Cotopaxi, oggi c’è il sole e poco vento. Mi sento bene e mi unisco al gruppetto che segue Pascal. Il sentiero si snoda alle spalle del rifugio e si passa davanti il piccolo cimitero dove sono sepolti coloro che sono morti nel sentivo di scalare la montagna 😬 Ci avviamo e piano piano, facendo frequenti soste per rifiatare, raggiungiamo la nostra meta. Il rifugio è chiuso, la cioccolata calda che agognavamo dovrà aspettare. Ci sediamo su dei sassi per recuperare un po’.

Poi Pascal ci esorta ad un ultimo sforzo, sopra il costone di fronte a noi c’è una laguna. Dobbiamo vederla! Sono soli altri 100 metri da salire! Noi cincischiamo, rialzarsi è pesante, l’ossigeno è rarefatto. Comunque dai, ci incoraggiamo l’un l’altro e ci avviamo. E’ la stagione secca, lo ricordate? Ve lo dicevo quando parlavo dell’Amazzonia. Raggiungiamo la laguna ma in questa stagione è ridotta solo ad una pozzanghera! Ma non fa niente. Ormai siamo a 5100 metri sul livello del mare. Non sono mai arrivato così in alto. Quattro anni fa in Bolivia, al Sol de Mañana, raggiungemmo i 4950 metri. E li raggiungemmo con le auto, non a piedi. Sono molto contento di questo traguardo.

Fun fact. Durante una delle soste della salita scherziamo con Pascal: più tardi, quando siamo a valle, il Chimborazo erutta e facciamo delle belle foto. Pascal ride e ci rassicura. Questo vulcano è spento da tempo immemore. In quel momento non lo sappiamo ma c’è veramente un’eruzione in corso. Dopo trent’anni dagli ultimi segni di attività ed un secolo da una vera eruzione, è il Cotopaxi che si è risvegliato! Lo scopriremo giorni dopo e lo vedremo cacciar fumo dalla caldera l’ultimo giorno, da Quito.

Di ritorno ad Alahusì facciamo sosta lungo la strada per visitare la chiesa di Maria Natividad de Balbanera, la prima chiesa cattolica dell’Ecuador. Arriviamo ad Alahusì giusto in tempo per incrociare il treno, che passa beatamente in pieno centro città…

11 agosto 2015

Lasciamo Alahusì per raggiungere Cuenca. Lungo il tragitto, tratteggiato dai soliti paesaggi stupendi, facciamo tappa alle rovine di Incapirca. Incapirca in quechua vuol dire “muro dell’Inca”. Il nome si riferisce al tempio del sole, monumento abbastanza ben conservato all’interno di quella che era una fortezza degli invasori Inca. Queste zone infatti erano abitate dalla popolazione dei Cañari, che combatterono strenuamente prima di essere assoggettati dal potente impero Inca.

Dopo pranzo lasciamo Incapirca e raggiungiamo Cuenca. Prima di andare in albergo andiamo a visitare una fabbrica di cappelli Panama, la Homero Ortega (link qui). Che c’entra una fabbrica di cappelli Panama in Ecuador, direte voi?!? Se si chiamano Panama saranno fatti a Panama, no?!? Ecco, no. Non è così. Il cappello è invece tipico dell’Ecuador. Veniva però utilizzato dai lavoratori del Canale di Panama e fu Roosevelt in un discorso a riferirsi a lui come cappello Panama e quindi tutti lo conosciamo così. Qui lo chiamano semplicemente el sombrero.

Nella fabbrica c’è anche un museo ed una giovane guida ci spiega il processo di lavorazione. Serve un giorno e mezzo ad un artigiano per intrecciare un cappello. A seconda di quanto è fitto l’intreccio varia il pregio del cappello stesso. Il costo finale spazia dai venti ai mille dollari. Tutta la procedura di fabbricazione dei cappelli è molto interessante. Alla fine del tour c’è la zona espositiva dove il gruppo si scatena nella prova cappelli e nello shopping. Dato fondo alle carte di credito andiamo finalmente in albergo.

L’Hostal La Orchidea (link qui) ha il vantaggio di essere in pieno centro, sebbene sia una sistemazione senza molte pretese. Comunque prima di cena approfittiamo per un giro. Cuenca è, insieme a Quito, una delle più belle città dell’Ecuador, con un centro storico ricco di vestigia coloniali e di belle chiese. Rispetto agli altri posti dove abbiamo sostato finora qui siamo veramente in una città. Non si vedono persone vestite con abiti tradizionali, le vie sono piene di negozi ed il traffico è abbondante. Ceniamo al Restaurante Raymipampa (link qui), nel centralissimo Parque Abdon Calderon. Finalmente un locale aperto fino a tardi! Che qui si traduce in aperto fino alle 22,30 🤪

12 agosto 2015

Dobbiamo prendere una decisione. Il nostro programma originario prevedeva di passare tutto il giorno a Cuenca. La sera che a Quito fummo ospiti di Fabio Tonelli, lui ci anticipò che il 13 Agosto ci sarebbe stato uno sciopero generale contro il Presidente Correa. Fabio stesso era tra i tanti organizzatori. Ci spiegava che, come sovente avviene in Sud America aggiungo io, Correa dopo due mandati presidenziali voleva cambiare la costituzione per diventare presidente a vita. Fabio stesso in passato aveva votato per Correa, ma ci diceva che lo aveva sostenuto solo perché lo considerava meno peggio della persona che andava a sostituire. Comunque sia, Fabio ci aveva assicurato che lo sciopero non avrebbe interessato il volo da Guayaquil alle Galapagos del 14 Agosto. Ma c’era il rischio che il 13 Agosto i campesinos avrebbero potuto bloccare le strade, con il rischio concreto per noi di non riuscire a raggiungere Guayaquil in tempo e di perdere il volo. Dato che un pomeriggio a Cuenca non vale quanto una settimana alle Galapagos, decidiamo all’unanimità di partire dopo pranzo.

Ragion per cui: visita di Cuenca a marce forzate!!! Un peccato perché la città è proprio bella. Visitiamo entrambe le sue cattedrali. La Cattedrale dell’Immacolata Concezione, più nota come Nuova Cattedrale di Cuenca è imponente. E’ dedicata alla Vergine e nella cripta sono seppelliti i membri delle famiglie di Cuenca che ne hanno finanziato la costruzione. Lo stile è neogotico ma la facciata a prima vista sembra stranamente monca. Per un un errore di progettazione le torri non possono sostenere il peso delle campane, per cui sono appunto monche della parte finale! In compenso la chiesa ha delle cupole azzurre fantastiche.

Saliamo fino alla cima del tetto per ammirarle. Vi ricordo che siamo a 2500 metri per cui la salita per la lunga scala a chiocciola è… come dire… una bella impresa! Ma… ma… Sul tetto c’è anche la statua dell’Imperatore Palpatine di Guerre Stellari?!? Ah, no. La guida ci spiega che è la statua di Santa Anna. Io non sono convinto però… Di spalle è proprio Palpatine! Dev’esserci un culto Sith a Cuenca #sapevatelo 🤪

Bellissima anche la Iglesia del Sagrario, maglio nota come Vecchia Cattedrale di Cuenca, al cui interno troviamo delle statue lignee a grandezza naturale di Gesù e degli apostoli. E che dire poi di tutti gli edifici in stile coloniale?!? Bellissimi. All’inizio della mattina il tempo è incerto, ma a metà mattinata volge al bello. Pranziamo all’Inca Lounge (link qui), un locale lungo il Rio Tomebamba. Il proprietario è un ragazzo dell’Oklahoma che si è trasferito qui. E visto che lui è americano un cheeseburger ed una birra ci stanno proprio.

Dopo pranzo ci avviamo per il lungo trasferimento a Guayaquil. Sono circa 200 km da percorrere. Il tempo cambia di nuovo e salutiamo le Ande sotto un cielo plumbeo ed un po’ di pioggerellina. Una volta scesi al livello del mare le temperature salgono notevolmente ed il clima diventa afoso. Lungo la strada per Guayaquil siamo circondati da bananeti su bananeti. Guayaquil è la più grande ed importante città dell’Ecuador. Si affaccia con il suo porto sulla foce del Rio Guayas ed è il polmone economico dello stato. In contrasto con i posti dove siamo stati finora è una città moderna ma non bella. E con un traffico che non vi dico… Il richiamo che pervade le affollatissime strade è agua agua. Sono i venditori di acqua che offrono per un dollaro una bottiglietta d’acqua fresca. E con questa afa la si compra senza problemi.

Alloggiamo al The Park Hotel (link qui), in centro, vicino al Comune e al Malecón 2000 – il lungofiume ristrutturato da poco. Le stanze sono delle piazze d’armi e vanno a compensare gli spazi ristretti delle ultime sistemazioni a Cuenca e Alahusì. Ceniamo al ristorante consigliato dall’albergo, il Restaurant 88. Mangiamo bene ma il posto è caro. Poi ci facciamo una passeggiata sul Malecòn. E’ un posto tranquillo, con una forte presenza delle forze dell’ordine.

13 agosto 2015

Il dilemma di essere per un giorno interno a Guayaquil è che c’è veramente poco da fare per un turista. Decidiamo di provare l’ebbrezza di visitare la città su uno di quei classici bus dal tetto scoperto. Nel frattempo notiamo che in città le forze dell’ordine si stanno preparando per la manifestazione di protesta. Tanti, tanti poliziotti in tenuta antisommossa: casco, manganello e scudo. E ogni tanto anche qualche pattuglia dell’esercito con soldati armati con M16 o Kalashnikov. I manifestanti si intravedono raramente, solo in piccoli gruppi. Comunque tutto sembra tranquillo e ci avviamo a fare il nostro giro.

L’autobus ci scarrozza in giro per farci ammirare il Malecòn, i palazzi del governo, un paio di parchi, l’aeroporto, la stazione degli autobus ed il primo centro commerciale costruito a Guayaquil!!! Già quando ci invitano ad ammirare l’aeroporto capiamo che non c’è proprio niente da vedere qui 😂

Oddio no dai, forse sono stato troppo drastico. Ci sono statue e rotonde con vari arredi urbani. È una città moderna ma noi siamo tarati alla sonnolenza delle cittadine sulle Ande e allo stile architettonico coloniale di Quito e Cuenca e ritrovarci catapultati tra casermoni in cemento armato e nel caos del traffico ci destabilizza 😅

Passata la mattinata, pranziamo al Malecòn presso delle cooperative di pescatori – pasto ottimo tra l’altro. Dopo pranzo visitiamo la Catedral Metropolitana de Guayaquil ed il Parque Seminario, popolato da iguane terrestri e tartarughe.

Poi verso le 18, col corteo che si avvicina, preferiamo rientrare in albergo. Il corteo passa sotto le nostre finestre ed è imponente. Non ci sono incidenti (scopriremo che invece a Quito ce ne sono stati) anche se buona parte delle attività commerciali hanno preferito chiudere per sicurezza. Proviamo a fare un giro ad ora di cena in cerca di qualche locale meno turistico, ma è proprio tutto chiuso e alla fine siamo di fatto obbligati a cenare all’Uni Cafè, il ristorante dell’UniPark Hotel, proprio dietro il nostro albergo. Il cibo comunque è molto buono. Dopo cena vorremmo rifare un’altra passeggiata sul Malecòn, ma anch’esso è stato chiuso per motivi di sicurezza. I manifestanti ormai sono passati ai festeggiamenti – sparano dei fuochi d’artificio – mentre la piazza sotto il comune è zeppa di poliziotti che, ancora bardati e provati dal clima tropicale, attendono di essere riportati in caserma.

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